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La prima sfida dell’ultimo Piano è proprio quella di avviare un nuovo ciclo di investimenti capace in un decennio di quasi raddoppiare la potenza elettrica rinnovabile. Le dinamiche degli investimenti sono ampiamente insufficienti. Le imprese opereranno se nel loro interesse e non perché abbiano a cuore le sorti del Pianeta. Lo faranno se potranno far conto su condizioni di certezza e stabilità della politica. Condizioni necessarie ma insufficienti in assenza di altre due: consenso sociale e credibilità della politica. Opposizioni ai progetti energetici sono riscontrabili ovunque, ma non nel modo parossistico osservato del nostro Paese. L’energia è divenuta un diritto acquisito senza però essere disposti a pagarne il costo sociale.
La politicizzazione dell’energia ha frenato i processi decisionali
La politicizzazione dell’energia ha frenato i processi decisionali anche per la crescente debolezza dei governi: più attenti agli immediati costi politico-elettorali delle loro decisioni che agli interessi generali di lungo termine. Nell’energia basta poco per bloccare tutto, senza nemmeno far più notizia, trovando anzi nei media una favorevole cassa di risonanza. Che ne siano interessate fossili o rinnovabili è ininfluente, visto che le maggiori opposizioni si rivolgono oggi a queste ultime. La politica ne è responsabile: perché cavalca ogni sorta di protesta lungo «geometrie variabili»: favorevole a una tecnologia a Roma (se si è al governo); contraria in periferia (se si è all’opposizione), o viceversa. Per rendere efficace una qualsiasi strategia energetica è pregiudiziale dar risposta a tre esigenze.
Prima: riportare a unità e coerenza la policentrica governance dell’energia, frammentata in una pluralità di centri decisionali che ha prodotto un groviglio normativo, burocratico, giurisdizionale.
Seconda: integrare la politica energetica in quella economica e industriale, come accade in Germania o in Francia, tanto più rilevante ove si consideri il ruolo di leva che l’energia potrebbe svolgere nella crescita della nostra economia.
Terza: poter far affidamento sulla credibilità della politica, perché gli impegni che essa assume sono la base delle decisioni degli agenti economici.
Ruolo dello Stato è di concedere rapidamente le autorizzazioni per le azioni indicate come strategiche; farlo in tempi compatibili con le esigenze delle imprese; non modificare in corso d’opera le politiche decise o promesse come avvenuto incredibilmente col Governo Conte che ha scippato fondi destinati alle rinnovabili per finanziare l’acquisto di quote dell’Alitalia per 650 milioni.
Serve credibilità per una politica energetica proiettata nel lungo termine
La credibilità della politica implica, in sostanza due cose. Uno: che una qualsiasi strategia sia proiettata nel lungo termine, dati i lunghi tempi di realizzazione delle decisioni. Due: che la politica sia impermeabile al mutare delle maggioranze governative (o dei Ministri dell’Industria: dieci nei trascorsi dieci anni!). Condizioni che nel nostro Paese non possono dirsi rispettate, come accaduto per lo sfruttamento delle nostre risorse di petrolio e metano considerato ‘urgente e strategico’ nella SEN del 2013 (Governo Monti) e nella legge ‘Sblocca Italia’ del 2014 (Governo Renzi) per essere sconfessato dai due successivi governi.
Molte imprese estere e italiane, credendo nei (falsi) impegni della politica, avevano progettato, investito, assunto. Nonostante la sconfitta giuridica del referendum No-Triv del 2016, operare in Italia in questo settore è divenuto impossibile, con la cancellazione di 15 miliardi euro di investimenti. Il blocco delle attività decretato poi dal MISE dietro la pressione del M5S sta causando la chiusura di molte imprese, l’espulsione di molte migliaia di occupati, la distruzione di un distretto industriale di eccellenza. Di fatto, si sono privilegiate le importazioni di petrolio e metano, magari da aree in crisi come Libia e Algeria, piuttosto che far conto sulla produzione nazionale.
In conclusione: se con le dimissioni del Governo non si perde gran che vista l’inazione che l’ha connotato, l’agenda delle scadenze pone seri dubbi sulla possibilità di dar seguito alle decisioni che si imporrebbero. Il nuovo governo dovrà prontamente por mano alla versione definitiva del PNIEC, ma la parola, come detto, spetterà agli agenti economici. Saranno essi disposti a rischiare i loro denari sul labile assunto che questa volta la politica rispetterà gli impegni che ha preso? Il passato insegna che vi sono solide ragioni per dubitarne.
Come recita un aforisma attribuito ad Abraham Lincoln: «Si possono ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo».
Alberto Clô è Direttore responsabile della rivista Energia.
L’articolo è stato pubblicato su Il Foglio del 28 agosto.
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