Consumiamo troppa acqua, o meglio ne sprechiamo più di quanto possiamo permetterci. I prelievi d’acqua risultano più che raddoppiati dagli anni ’60 ad oggi. Una tendenza che non accenna ad arrestarsi.
Vi sono aree che prelevano ogni anno mediamente oltre l’80% della loro risorsa disponibile per usi agricoli, industriali e urbani. Il World Resource Institute, che raccoglie dati (per nulla incoraggianti) attraverso i suoi modelli idrogeologici, le classifica come aree dal rischio di stress idrico “estremamente elevato”. A fronte di siccità o della necessità di maggiori prelievi queste aree rischiano di non vedere uscire l’acqua dai rubinetti, con tutte le problematiche (igieniche, sociali, economiche) connesse. Sono 17 i paesi che il WRI ritiene a maggior rischio, patria di circa un quarto della popolazione mondiale.
Purtroppo il tema delle emergenze idriche resta sotto i riflettori mediatici appena il tempo di un acquazzone estivo. E non è solo un modo di dire. I temporali che stanno interessando anche la nostra penisola in queste settimane arrivano a causare anche gravi danni, catturando buona parte dell’attenzione. Ma a bene vedere sono due facce della stessa medaglia.
A portare all’attenzione il tema dello stress idrico quest’anno è Chennai, lo scorso anno era Cape Town, quello prima Roma
A portare all’attenzione il tema dello stress idrico quest’anno è Chennai, sesta città più popolosa dell’India, ma prima di lei c’erano stati Cape Town nel 2018 e Roma nel 2017. Le cause del continuo crescere dei prelievi sono da ricercare nella crescita demografica, nello sviluppo socioeconomico e nell’urbanizzazione. Tre tendenze della nostra epoca, che troveranno verosimilmente conferma anche nel prossimo futuro. A complicare il tutto, i cambiamenti climatici che influenzano le precipitazioni rendendole più variabili, con la possibilità di una maggiore frequenza di periodi di caldo estremo (come il luglio appena passato) i quali a loro volta comportano maggiori prelievi di acqua. Se a questo si aggiunge una cattiva gestione della risorsa, lo scaturire di un’emergenza è a uno schioppo di dita.
Tra le situazioni più critiche troviamo l’India. Nella classifica risulta al 13esimo posto, ma a ben vedere la popolazione a rischio in questo paese è oltre 3 volte quella aggregata degli altri 16 paesi della lista. Vi è poi l’area del Medio Oriente e Nord Africa (chiamata MENA) che ospita 12 dei 17 peasi. La temperatura elevata e secca di certo non aiuta, ma sono la cattiva gestione della risorsa e l’aumento della popolazione a complicare la situazione. Situazione che potrebbe a sua volta complicarsi ulteriormente a causa dei cambiamenti climatici, tanto che la Banca Mondiale stima le perdite economiche connesse alle carenze idriche per ragioni climatiche tra il 6 e il 14% del PIL della regione entro il 2050.
Da notare poi come, sebbene non faccia parte della suddetta regione, spicchi nel grafico anche l’Italia. Come mai se il nostro Bel Paese ha sempre goduto di acqua in abbondanza? Da una parte troviamo gli effetti della cattiva gestione della risorsa (tanto che nel nostro paese se ne spreca oltre il 40%), dall’altra, la situazione si va aggravando in quanto l’intero Mediterraneo è uno dei cosiddetti “hot spot” del cambiamento climatico: aree dove sono stati riscontrati cambiamenti congiunti in molti dei parametri climatici, come la temperatura e le precipitazione e loro variabilità. Come riporta il CNR “Nel bacino del Mediterraneo, in particolare, la temperatura media estiva è cresciuta di circa un grado negli ultimi cinquant’anni, parallelamente all’aumento del rischio di onde di calore estive”.
In Italia sprechiamo oltre il 40% della nostra acqua
Nella classificazione del WRI, non possono dirsi troppo tranquilli neanche i paesi esclusi dai 17 paesi a rischio estremo. Sono infatti 44 quelli ritenuti a rischio elevato (che prelevano tra il 40 e l’80% della risorsa disponibile ogni anno), casa di un altro terzo della popolazione. Sommati ai precedenti, ne risulta che le persone che vivono in paesi a rischio di stress idrico sono più della metà.
Ma allora come fare? Il WRI indica 3 vie per ridurre lo stress idrico. La prima è aumentare l’efficienza dell’industria agricola (utilizzo di semenze che richiedono minor dispendio di acqua, tecniche di irrigazione, sviluppo di nuove tecnologie etc.). La seconda è investire in infrastrutture “grigie” (tradizionali opere d’ingegneria civile, come acquedotti e impianti di trattamento) e “verdi” (come zone palustri o bacini idrografici sani), queste possono infatti operare in tandem per ridurre le perdite e gli sprechi di acqua migliorandone al contempo la qualità. Infine il trattamento, riuso e riciclo dell’acqua, fase essenziale per una buona gestione della risorsa, soprattutto dove questa risulta scarsa. Nell’area MENA, dove la risorsa è scarsa e preziosa, l’82% delle acque reflue viene sprecato senza essere riutilizzato. Una tendenza che è possibile invertire, come dimostra l’esperienza dell’Oman, che raccoglie e tratta il 100% delle acque reflue e ne riuso fino al 78%.
Foto: AusAID / Flickr
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