4 Settembre 2019

Degrado ambientale: futuro casus belli tra Stati?

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Agosto 2025, il Presidente degli Stati Uniti lancia un ultimatum al suo omologo brasiliano affinchè ponga fine alla deforestazione massiva della Foresta Amazzonica. Pena: il blocco navale dei porti e l’attacco aereo di infrastrutture critiche.

Uno scenario suggestivo quello immaginato su Foreign Policy da Stephen M. Walt dell’Università Harvard, che può apparire poco verosimile e forse un po’ bizzarro, ma che al contrario inquadra un problema geopolitico molto serio con uno stampo estremamente realista, come solo uno dei massimi teorici di relazioni internazionali sa fare: fino a che punto gli Stati e la comunità internazionale sono legittimati ad intervenire per prevenire un danno ambientale irreversibile dalle ripercussioni globali?

“It’s only a matter of time until major powers try to stop climate change by any means necessary”

Non mancano dettagli plausibili a corredo dell’incipit che ne apre la riflessione: il report delle Nazioni Unite che condanna i catastrofici effetti globali della distruzione della foresta tropicale; il veto della Cina nel Consigli di Sicurezza ONU; la costituzione da parte del Presidente USA di una “coalition of concerned states”, che ricorda molto la “coalition of the willing” di bushiana memoria.

Certo, lo scenario dipinto è annoverabile come fantapolitica, ma in poche righe si può trovare molto di ciò che influenzerà la geopolitica e le relazioni tra gli Stati. Il tema della transizione energetica e della lotta ai cambiamenti climatici è sempre più pervasivo, dentro e tra le nazioni, a livello tuttora forse più comunicativo che pratico e in maniera a tratti confusa e contraddittoria, ma di certo finirà sull’altare del grande gioco delle Potenze. Soprattutto se la minaccia è percepita come reale, ma anche se può servire come “semplice” pretesto per raggiungere altri fini.

“how far would the international community be willing to go in order to prevent, halt, or reverse actions that might cause immense and irreparable harm to the environment on which all humans depend?”

Come ricorda lo studioso, la sovranità degli Stati è un elemento fondante dell’attuale ordine internazionale, sebbene non si possa affermare che sia effettivamente assoluta. Eccezioni a parte, i governi sono legittimati a fare quel che vogliono all’interno dei loro confini. Le eccezioni rientrano nell’alveo del diritto internazionale e l’intervento militare è legittimato unicamente in caso di autodifesa (anche preventiva, se fondata) o di risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Di fatto, gli Stati accettano intromissioni nella loro sovranità in cambio dei benefici provenienti dalla cooperazione internazionale.

Dal 2005, inoltre, tutti i paesi membri della Nazioni Unite hanno appoggiato la dottrina del “Responsibility to Protect”, volta a legittimare l’intervento umanitario in caso di genocidi, pulizia etnica crimini di guerra e contro l’umanità. Che possa estendersi anche ai crimini contro l’ambiente? Dopotutto, le Nazioni Unite hanno da tempo riconosciuto il degrado ambientale come una “minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale” e c’è chi sostiene che il Consiglio di Sicurezza possa legittimare l’intervento militare in caso di inadempienza o incapacità di frenarlo. Forse non oggi, ma domani, nel caso si vadano avverando i worst-case scenarios sull’evoluzione del clima.

“here’s a cruel paradox : in a world of sovereign states, each is going to do what it must to protect its interests”

Ed è a questo punto che Walt evidenzia il cinismo di una politica realista di stampo machiavellico. Il caso scelto è topico, per diversi aspetti. Il Brasile è un grande paese, ma non è una super potenza. La Foresta Amazzonica è risorsa cruciale per tutto il mondo, visibilmente identificabile e vederla bruciare può urtare la sensibilità anche dei più duri negazionisti, diversamente dall’impatto emotivo che può suscitare un dato sulle emissioni di CO2 degli Stati Uniti o della Cina. I paesi che più sono responsabili del cambiamento climatico sono infatti anche quelli più restii alle ingerenze esterne: Cina, Stati Uniti, India, Russia e Giappone sono i 5 principali emettitori mondiali. Quattro di loro sono potenze nucleari. Interventi di soft power come le sanzioni rischiano di essere poco efficaci, irrealistici quelli di hard power.

Diverso il caso delle potenze minori, come il Brasile per l’appunto. Nei loro confronti è possibile minacciare interventi coercitivi o imporre sanzioni economiche. La comunità internazionale potrebbe in alternativa sovvenzionare i paesi affinché preservino e tutelino i territori più sensibili, ma questo approccio rischierebbe di diventare “un incentivo per questi paesi ad adottare politiche ambientali irresponsabili, nella speranza di ottenere compensazioni economiche”.

Nuovi dilemmi si aprono con l’aumentare delle implicazioni globali del degrado ambientale, e le soluzioni sono ancora da indagare. Laconica tuttavia la conclusione di Walt: “in a world of sovereign states, each is going to do what it must to protect its interests.” Non c’è minaccia comune che possa cambiare le carte in tavola, e di conseguenza la possibilità di nuovi conflitti non può che aumentare. E con essa dovranno aumentare gli sforzi per prevenirli.

Leggi l’articolo Who Will Save the Amazon (and How)? di Stephen M. Walt su Foreign Policy

Foto: PxHere

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