6 Settembre 2019

Giri, capogiri, piroette: la fine dell’O&G italiano

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Il nuovo governo PD-5S si apre all’insegna della sostenibilità e dell’ambiente. Il primo termine viene citato 8 volte nei 29 punti che compongono il programma del nuovo governo, il secondo 6.

Per contro, il termine energia compare solo come parte di “efficientamento energetico”, mentre transizione è stata indicata come “ecologica” anziché “energetica”: forse perché ritenuta più environmentally friendly o per darne una connotazione più ampia (e all’occorrenza più vaga).

Di fatto, i riferimenti a sostenibilità e ambiente risultano estremamente vaghi: “vincere la sfida della sostenibilità ambientale”, “una convincente transizione in chiave ambientale del nostro sistema industriale”, “strategia di crescita fondata sulla sostenibilità”, senza indicazione alcuna delle azioni e degli strumenti con cui perseguirli.

Anche quando, al punto 7, si parla di un Green New Deal all’italiana si evita di parlare di energia, con un solo timido accenno al “progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili” che si perde nel marasma di “un radicale cambio di paradigma culturale”, “protezione della biodiversità e dei mari” e “contrasto ai cambiamenti climatici”. Cosa ciò significhi rispetto agli ambiziosi obiettivi fissati nel recente Piano Energia-Clima non è dato sapere.

Eppure è sul fronte dell’energia, o meglio dell’industria energetica, che, al punto 9, si esplicitano due obiettivi concreti:

(a) “introdurre una normativa che non consenta, per il futuro, il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per estrazione di idrocarburi”;

(b) promuovere accordi internazionali che vincolino “anche i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo a evitare quanto più possibile concessioni per trivellazione” (sic!).

Il neo Ministro degli Esteri Luigi Di Maio dovrà, dovrebbe, quindi prodigarsi in trattative con paesi come Algeria, Libia, Egitto, Israele e Cipro – da alcuni dei quali importiamo petrolio e metano e in cui Eni opera in posizione di leadership – chiedendo loro, con la mano sinistra, di interrompere una loro importante se non unica fonte di reddito e, con la destra, di garantirci comunque le forniture specie di metano di cui abbisogniamo.

Nel mentre non mancherà di scontrarsi coi cugini d’oltralpe – che potrebbero approfittarne per subentrare al ridotto ruolo di Eni – con il rischio di scivolare in qualche nuova buccia di banana: come avvenuto con l’incontro coi leader dei gilet gialli, movimento sorto contro un modesto aumento dei prezzi del gasolio.

Non esattamente quello che si ripropone la nuova alleanza con il suo Green New Deal, che porterà inevitabilmente a un sensibile incremento dei prezzi energetici per famiglie e imprese.

Ma le giravolte non riguardano solo il fronte 5S. Non sono meno evidenti quelle del PD. Sul fronte interno, infatti, se si andrà verso un definitivo blocco delle trivellazioni, sull’intera attività mineraria nel nostro Paese e su gran parte della sua industria potrà porsi una pietra tombale.

Decisione che stride apertamente, da un lato, con la sonora bocciatura giuridica (ma non politica) del referendum No-Triv del 2016, e, dall’altra, col gran declamare le virtù della ‘democrazia diretta’ con la proposta di legge costituzionale per introdurre nel nostro ordinamento il referendum propositivo, approvato in prima lettura nel febbraio scorso.

Nonostante il grande invocare le virtù della democrazia diretta, il nuovo Governo si appresta a smentire il referendum del 2016

Del responso referendario del 2016 la politica se n’è fatta sonoramente un baffo, come accaduto del resto per altri referendum che in passato avevano ottenuto l’approvazione dell’elettorato (finanziamento pubblico dei partiti, abolizione ministero agricoltura, etc.).

Se n’era già fatto un baffo il PD, rapido nel dimenticare lo scontro interno che aveva accompagnato il percorso referendario, con la sconfitta del fronte del NO capeggiato dal governatore Michele Emiliano. Il Governo Gentiloni nella SEN del 2017, siglata dai Ministri dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e dell’Ambiente Gianluca Galletti, non conteneva alcun riferimento alla valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi considerata invece ‘urgente e strategica’ nella SEN 2013 (Governo Monti) e nel decreto legge dall’ironico titolo ‘Sblocca Italia’ del 2013 convertito in legge nel 2014 (Governo Renzi) che aveva portato al consulto referendario.

Molte imprese avevano progettato, investito, assunto sul presupposto che la politica rispettasse gli impegni assunti per legge. Mal gliene incolse, con la non escludibile possibilità tuttavia per loro di chiedere risarcimenti dei danni subiti da parte dello Stato (come accadde con l’uscita dal nucleare dopo il referendum del 1987).

Se ne è poi fatto un baffo il Governo Conte-1 con la decisione, su sollecitazione del M5S, ma col supporto della Lega, di introdurre nella cosiddetta ‘Legge Semplificazione’ dell’11 febbraio 2019 – recante anche qui ironicamente “disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese” – il blocco di ogni nuova autorizzazione per la ricerca/estrazione di idrocarburi, non più ritenute “urgenti e strategiche”.

La perdita di credibilità per il mancato rispetto degli impegni presi sul fronte Oil&Gas rischia di riverberarsi anche sul fronte PNIEC/Green New Deal

Operare in Italia era divenuto d’altra parte sempre più impossibile, con l’uscita di molte imprese estere e la cancellazione di investimenti per 15 miliardi euro. Se lo ‘scambio’ 5S-PD entrerà nell’azione del governo anche solo creando una situazione di incertezza normativa e amministrativa, le conseguenze saranno ben precise e si spera che i contraenti ne abbiano piena contezza:

(a) crollo dell’industria dei servizi alla ricerca/estrazione di idrocarburi che vanta livelli di eccellenza tecnologica su scala mondiale; i distretti di Ravenna e Piacenza – che già hanno subito gravi crisi – saranno i più colpiti, con buona pace dei sindaci, sindacati, esponenti PD che da anni si battono per un loro rilancio;

(b) uscita di imprese estere e ulteriore cancellazione di investimenti nell’ordine di miliardi di euro;

(c) aumento delle importazioni di petrolio e metano magari da aree politicamente tribolate, come Libia ed Algeria, ritenute comunque preferibili all’Adriatico o alla Basilicata;

(d) non ultimo: ulteriore caduta della credibilità della politica, incapace, per la sua schizofrenica mutabilità, di rispettare gli impegni presi.

Quale operatore, a fronte del nuovo Piano Energia-Clima o Green New Deal che dir si voglia, sarà disposto a investire, rischiando suoi denari, sull’illusoria speranza che questa volta la politica rispetterà gli impegni assunti?

Quel che più brucia è che una gloriosa storia iniziata a metà dell’Ottocento andrà a concludersi amaramente, cancellando un altro pezzo dell’industria italiana. Il tutto nella più generale indifferenza.

Alberto Clô è direttore responsabile di Energia

Foto: nikidinov / Pixabay


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