Il rischio climatico può influire sulla stabilità del sistema finanziario, sulla solidità dei singoli intermediari o interferire con i canali di trasmissione della politica monetaria e sulla stabilità dei prezzi. Le banche centrali ne hanno preso atto e stanno ponendo un’enfasi crescente su questo tema. Nell’articolo pubblicato su Energia 3.19, Ivan Faiella (Banca d’Italia) presenta una breve rassegna dei principali meccanismi con cui il rischio climatico può trasmettersi al sistema finanziario fino a poter diventare una ‘faccenda per banchieri centrali’.
“Nel nostro Paese, come nel resto del mondo, il clima sta cambiando: il 2018 è stato l’anno più caldo (…) dal 1961 e, in base a studi che ricostruiscono il clima in un passato più remoto, il più caldo da almeno due secoli; già il 2017 si era caratterizzato per un inasprimento delle condizioni climatiche con significativi fenomeni siccitosi su gran parte del territorio nazionale e gravi conseguenze sulle risorse idriche.”
“Questi mutamenti influiscono sull’economia reale sia con il progressivo aumento delle temperature (che ad esempio influisce sulla domanda e sulla disponibilità di energia elettrica e sulla produttività dei fattori) sia con l’aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni meteorologici estremi (i cui costi di ripristino distolgono risorse economiche che potrebbero invece essere usate in modo produttivo).”
Il rischio climatico si può considerare come un’ulteriore componente del rischio finanziario, suddivisibile a sua volta in due classificazioni: rischio fisico e rischio di transizione
“A sua volta ciò si riflette sul sistema finanziario per cui il rischio climatico si può considerare un’ulteriore componente del rischio finanziario. Un rischio che ha una componente materiale (un rischio fisico) ad esempio quando si manifestano eventi naturali quali frane o alluvioni che interferiscono con le funzioni produttive di imprese e famiglie, aumentandone la vulnerabilità finanziaria e riducendo il valore delle attività eventualmente date in garanzia per ottenere credito”.
“Vi è poi un’altra componente di rischio insita nel processo di decarbonizzazione, un rischio di transizione che si materializzerebbe qualora il passaggio verso un’economia low carbon avvenisse in modo disordinato e inatteso. Se infatti molte delle emissioni future non potranno concretizzarsi (…) una buona parte delle risorse energetiche e delle infrastrutture legate allo sfruttamento dei combustibili fossili (…) non potrebbe essere utilizzata”. Si innescherebbe quindi una corsa alla cessione dei titoli delle società più esposte e il rischio che queste non riescano a “far fronte passività contratte con il sistema bancario, con conseguenze che potrebbero incidere in modo persistente sulla crescita economica”.
L’Autore passa in rassegna GLI IMPATTI CLIMATICI SULL’ECONOMIA REALE…, come il fatto che “il progressivo aumento delle temperature si tradurrà in una riduzione della produttività del lavoro”, e quelli non meno rilevanti …SUL SISTEMA FINANZIARIO: “Qualora i soggetti colpiti dagli eventi siano coperti da assicurazione, gli effetti potrebbero pesare sulla situazione finanziaria delle compagnie assicurative (il cui) deteriorarsi della posizione finanziaria (…) potrebbe a sua volta influire sulla stabilità finanziaria se queste dovessero interrompere l’erogazione di alcuni servizi o se il valore dei loro titoli si svalutasse bruscamente influendo negativamente sui bilanci di altre istituzioni finanziarie che li detengono nei loro portafogli”.
Giunge quindi a chiedersi: PERCHÉ LA QUESTIONE CLIMATICA È UNA FACCENDA PER BANCHIERI CENTRALI? Per dare risposta ripercorre il percorso che ha portato i banchieri centrali a prendere coscienza della necessità di analizzare e seguire la correlazione tra rischi climatici e finanziari, partendo dal monito lanciato nel 2015 dal Governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney.
Nelle CONCLUSIONI, la constatazione che seppur si siano intensificate le pressioni affinché il sistema finanziario tenga conto dei rischi ambientali e climatici, nondimeno il settore rischia di farsi cogliere non completamente preparato: “la valutazione degli impatti climatici sul sistema finanziario sconta ancora una scarsa disponibilità di informazioni e una difficoltà nel concettualizzare come gli impatti ambientali – e le politiche per la loro mitigazione – si trasmettano all’economica reale e al sistema finanziario.”
L’aspetto più importante di cui tener conto è che gli obiettivi di decarbonizzazione siano chiari, certi e di lungo respiro. “Solo così gli investitori conosceranno con chiarezza la direzione intrapresa e che la sfida dei cambiamenti climatici è in cima all’agenda dei governi nazionali e delle istituzioni europee. Le banche centrali sono pronte a fare la loro parte.”
Il post presenta l’articolo Rischi climatici e rischi finanziari: una faccenda da banche centrali? (pp. 46-51) di Ivan Faiella e pubblicato su Energia 3.19
Ivan Faiella è ricercatore presso il Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia e membro del Comitato Scientifico di «Energia»
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