2 Settembre 2019

Il PNIEC e il phase-out degli impianti a carbone

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Non sappiamo ancora se avremo un nuovo Governo, ma se si avrà la sua prima urgenza in ambito energetico e ambientale sarà la stesura entro fine anno della versione definitiva del PNIEC, che sarà vincolante e sanzionabile.

Molti gli interrogativi che ancora aleggiano attorno al PNIEC: dalla necessaria collaborazione tra GSE e Terna, da un lato, e operatori, dall’altro, per tenere il passo con le scadenze previste, ai ritardi nell’attuazione dei provvedimenti che possono rendere più remunerativi gli investimenti nelle rinnovabili. Questioni affrontate da GB Zorzoli nel suo articolo pubblicato su Energia 2.19, nel quale affronta anche il cruciale e delicato tema del phase-out degli impianti a carbone reso più complicato del dovuto dall’elevato livello d’incertezza e dall’imprevedibilità degli iter autorizzativi. Ne riproponiamo alcuni passaggi.

“Poiché la finalità del PNIEC è la riduzione delle emissioni climalteranti, in caso di inadempienze per le rinnovabili il confronto con Bruxelles sarebbe facilitato dal rispetto della scadenza del 2025 per il phase-out degli impianti a carbone, che potrebbe quindi diventare una scelta obbligata. Da predisporre pertanto con la massima attenzione ai problemi che crea.”

Il rispetto del phase-out degli impianti a carbone potrebbe diventare una scelta obbligata in caso di inadempienze sul fronte rinnovabili

“Innanzitutto, quasi dovunque in Europa l’abbandono del carbone nella generazione elettrica incontra opposizioni politiche e sociali. Il caso più emblematico è quello tedesco. In Germania l’occupazione diretta nel settore è scesa a circa 20.000 unità, ma si tratta di manodopera altamente sindacalizzata e geograficamente concentrata (la metà nella sola Renania), quindi in grado di esercitare una significativa pressione politica, che è viceversa debole o inesistente da parte dei 330.000 occupati nelle rinnovabili, sindacalmente e politicamente disaggregati, in quanto la produzione è territorialmente distribuita in unità di piccola taglia, in molti casi prive di presidi locali. Anche in Italia, malgrado il peso di gran lunga inferiore del carbone nel mix elettrico (circa 8 GW), si sta già verificando una situazione analoga.”

“In secondo luogo, la soluzione più conseguente con una transizione volta a decarbonizzare l’economia è la sostituzione della capacità dimessa con una equipollente che utilizzi fonti rinnovabili. Nel caso italiano, piani pubblici (SEN, PNIEC) e analisi di società private (come quelle di Elemens e OIR) concordano nell’attribuire quasi per intero a eolico e fotovoltaico la capacità addizionale da qui al 2030, assegnando al primo il massimo contributo realizzabile con le tecnologie presumibilmente disponibili e al secondo il compito di fornire quella aggiuntiva, richiesta per conseguire il target previsto.”

Una capacità di 12 GW sembra in apparenza sufficiente per coprire il vuoto lasciato dal phase- out del carbone

Come analizzato nell’articolo, “la capacità annua da realizzare nel 2021-2025 per rispettare gli obiettivi del PNIEC dovrà essere pari a circa 2 GW, cui vanno aggiunti 2 GW installati nel 2019-2020. Una capacità di 12 GW sembra in apparenza sufficiente per coprire il vuoto lasciato dal phase-out del carbone, ma le maggiori difficoltà che probabilmente lo sviluppo delle rinnovabili incontrerà nella fase di decollo del PNIEC introducono margini di incertezza.”

“Inoltre, i nuovi impianti dovrebbero essere sufficientemente contigui agli impianti a carbone da dismettere da rientrare nella stessa zona [le zone sono sezioni della rete di trasmissione che, per ragioni di sicurezza del sistema, hanno limiti fisici di scambio con altre zone geografiche, per cui si creano congestioni quando la domanda è elevata, isolandole dal resto della rete] e, per quanto possibile, dotati di accumulo, in quanto solo in parte potranno essere assistiti dai sistemi di accumulo di Terna.”

“Inoltre, secondo il PNIEC la capacità aggiuntiva dal 2020 al 2025 sarà quasi tutta fornita da impianti eolici (5,4 GW) e fotovoltaici (6,7 GW). I primi saranno concentrati nei siti con adeguati regimi di vento, che in molti casi si trovano all’interno delle zone dove esistono alcune delle centrali a carbone più critiche dal punto di vista della stabilità del sistema, ma non è sempre così, mentre non meno della metà dei secondi sarà installata su coperture civili o industriali. Si tratta quindi di capacità fotovoltaica la cui ubicazione geografica non è prevedibile e nemmeno governabile e che, per contribuire all’adeguatezza del sistema, dovrà essere aggregata da operatori dotati di sistemi di accumulo in grado di sopperire alle carenze di stoccaggio dei soggetti aggregati.”

“Per ridurre le congestioni, che provocano la zonalizzazione della rete, oltre alla piena implementazione dei Piani di Sviluppo 2016 e 2017 di Terna, il PNIEC punta sull’incremento di 1.000 MW della dorsale adriatica, già previsto dal Piano di Sviluppo 2018. Per la Sardegna, che è la situazione più critica, il PNIEC ricorda che è in valutazione il progetto del cavo HVDC Sardegna-Sicilia-Sud, già proposto nel Piano di Sviluppo 2018 di Terna, ma il tempo disponibile da qui al 2025 è grosso modo la metà di quello oggi richiesto per realizzare opere meno impegnative.”

“In conclusione, per il 2025 non si può ragionevolmente contare sui potenziamenti della rete, mentre per l’effetto congiunto di eventuali ritardi nel conseguimento degli obiettivi previsti e della parziale non congruità tra gli insediamenti dei nuovi impianti a rinnovabili e quelli delle centrali a carbone emergono margini di incertezza, per i quali ad oggi non si dispone di valutazioni da parte del governo o di istituzioni pubbliche.”

Il post riprende passaggi dell’articolo di G.B. Zorzoli I costi del non decidere (pp. 22-29) pubblicato su Energia 2.19

G.B. Zorzoli è membro dell’Associazione Italiana Economisti dell’Energia e del Comitato Scientifico di «Energia»

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