18 Settembre 2019

La crisi del clima: è tempo di adaptation

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(continua)

In tale contesto, ci sembra interessante segnalare un recente rapporto pubblicato da due prestigiose Istituzioni – il World Resources Institute e il Global Centre on Adaptation – che ha titolo “Adapt now: a global call for leadership on climate leadership”. Il Report sottolinea l’importanza dell’adattamento quale necessaria risposta alla crisi climatica. Semplificando, l’adaptation potrebbe essere interpretato come il reciproco della mitigation: più è piccola la seconda, più è grande il primo, ovvero meno mitigo le emissioni e meno prevengo, più devo adattarmi. Ecco perché sentiamo, e sentiremo in futuro, sempre più parlare di adattamento.

Poiché il genere umano non previene (mitigazione) dovrà pararsi dai colpi tremendi del clima (adattamento)

Con un’altra immagine potremmo dire che mitigation e adaptation possono essere viste come due azioni le cui quotazioni sono inversamente correlate. Ciò che sta accadendo – in seno sia alla comunità scientifica che a quella economico-finanziaria – è che l’adaptation, da area di studio di nicchia, si sta espandendo e la ragione di ciò è fin troppo chiara: poiché il genere umano non previene dovrà pararsi dai colpi tremendi del clima. Ciò che non faccio oggi, dovrò farlo domani, in altra forma. Ciò non significa che l’adaptation sia, necessariamente, una strategia di riparazione ex-post, poiché vi è spazio anche per azioni ex-ante.

In parole povere: l’ideale sarebbe prevenire l’inondazione eliminandone la causa, ossia l’eccesso di emissioni (mitigation); poiché non mitigo posso adattarmi all’inondazione ax-ante, ad esempio alzando un muro, oppure a posteriori, ovvero reagendo in modo resiliente quando l’inondazione ormai si è verificata.

L’adattamento dovrebbe essere complementare e non alternativo alla mitigazione, ma…

Ora, il report di cui stiamo scrivendo è esplicito nel sottolineare come l’adaptation non sia un’alternativa all’azione di mitigazione, al contrario quest’ultima dovrebbe essere realizzata con sforzo raddoppiato. Tuttavia – di qui il realismo del report – poiché non preveniamo a sufficienza è tempo di adattarsi, giacché non farlo equivarrebbe ad affrontare in modo naïve, senza adeguata preparazione, impatti che saranno tremendi.

L’adaptation può essere fonte di sviluppo e di crescita economica: investendo 1,8 trilioni di dollari dal 2020 al 2030 si potrebbe generare un ritorno pari a 7,1 trilioni

Forse l’aspetto di maggiore interesse del report è la good news che esso ci consegna: l’adaptation può essere fonte di sviluppo e di crescita economica. Per i dettagli rimandiamo il lettore al rapporto, qui citiamo solo alcuni numeri esemplari. Senza adattamento, il cambiamento climatico potrebbe:
(a) deprimere le rese agricole del 30% entro il 2050;
(b) far crescere il numero degli abitanti del pianeta che soffrono di scarsità idrica da 3,6 a 5 miliardi;
(c) generare nelle aeree costiere danni dell’ordine di 1 trilione di dollari annui entro il 2050;
(d) spingere sotto la linea di povertà più di 100 milioni di persone dei paesi in via di sviluppo.

L’adaptation può contrastare tali danni attesi. Il dividendo dell’adaptation sarebbe triplo: minori danni ambientali, benefici economici, benefici sociali ed ambientali. In particolare, la ricerca giunge alla conclusione che investendo 1,8 trilioni di dollari in adattamento dal 2020 al 2030, si potrebbe generare un ritorno pari a 7,1 trilioni. La quota più significativa di questi ritorni, 4 trilioni, è rappresentata dall’aumentata resilienza delle nuove infrastrutture, mentre 1,4 trilioni è ascrivibile all’accresciuta resilienza delle risorse idriche e 1 trilione alla protezione delle foreste di mangrovie che giocano un ruolo cruciale nella difesa contro le inondazioni delle coste.

I numeri sono certo significativi e ingenti, se si pensa che si sta ipotizzando un investimento pari circa al PIL italiano e un ritorno addirittura triplo. Altri dati interessanti sono quelli che si riferiscono ai benefici che potrebbero derivare dalla predisposizione di sistemi di “early warning”: ad esempio, dare l’allarme di una tempesta in arrivo con un anticipo di 24 ore implicherebbe una riduzione del danno del 30%. In altri termini, spendendo circa 800 milioni di dollari in sistemi di allarme in paesi in via di sviluppo si genererebbe una riduzione del danno compreso tra 3 e 16 miliardi all’anno. In sintesi, il rapporto benefici/costi dell’adaptation è enorme: secondo lo studio, esso è compreso tra 2 e 10, e in alcuni casi anche maggiore.

Il rapporto promuove l’azione: rendere visibile il rischio climatico nei mercati finanziari così da far confluire risorse economiche verso concrete azioni di adattamento…

Ma al di là dei numeri ciò che è interessante è il messaggio principale che il report ci consegna: l’adaptation è non solo strategia necessaria, ma conveniente. Di fatto, ciò che il report auspica è una rivoluzione finanziaria che spinga verso un sistema economico che riservi ampio spazio all’adaptation, essendo esso – per usare le testuali parole dello studio – un imperativo umano, economico e ambientale.

La questione chiave diventa quindi quella di favorire e implementare lo spostamento di fondi necessario a una diffusione su ampia scala dell’adattamento. Il rapporto, che ha alle spalle un team di Commissioners di alto livello che annovera personalità quali Bill Gates e Ban Ki-moon, definisce un periodo di sedici mesi, da settembre 2019 a dicembre 2020, quale tempo necessario per dare luogo ad azioni congruenti con l’obiettivo: la riduzione del rischio climatico rendendolo visibile nei mercati finanziari e facendo confluire risorse economiche verso concrete azioni di adattamento.

…anche l’Italia (area sensibile agli impatti del climate change) farebbe bene ad aderirvi

In altre parole, ciò che si vuole è la diffusione di una green economy che sia consapevole dell’entità ingente dei rischi climatici e, conseguentemente, riservi ampio spazio all’adaptation. Al momento 18 paesi sostengono il progetto. L’Italia – a cui madre natura ha regalato 7.500 km di coste e collocato in un’area geografica sensibile all’impatto futuro del climate change –  non compare nella lista. Forse è il caso di aderire, che dite?

Qui trovi il report: Adapt Now: A Global Call for Leadership on Climate Resilience

Enzo Di Giulio è economista, preside della Scuola Enrico Mattei di Eni Corporate University e membro del Comitato Scientifico di Energia.

Foto: Pixabay


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