24 Settembre 2019

La crisi del clima: il fallimento delle policy

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Un punto di partenza utile per il vertice ONU sul clima di New York potrebbe essere un’operazione di verità che faccia tabula rasa dell’autoinganno nel quale il genere umano si è crogiolato negli ultimi tre decenni. Una semplice e chiara azione di verità sintetizzata da una frase banale: “le politiche climatiche non stanno funzionando perché non le stiamo applicando: ci stiamo ingannando”.

Un’operazione del genere potrebbe avere per Sapiens il valore di una catarsi collocandolo di fronte alla bruta verità. Infatti, al di là delle dichiarazioni ampollose e dell’esplicitazione di target ambizioni, sta accadendo proprio il contrario di quanto si dice di voler fare. Si dice Nord ma si va verso Sud, si dice positivo ma si rimane nel quadrante negativo.

I fatti e i numeri nella loro oggettiva semplicità lo testimoniano. Citiamo qui i più importanti: oltreché insufficiente, l’Accordo di Parigi non viene rispettato. Esso proietterebbe il Pianeta verso una temperatura compresa tra 2,7 e 3,5 °C, dunque ben al di sopra dei 2 °C desiderati, per non parlare della distanza rispetto al più ambizioso obiettivo di 1,5°C ribadito dall’IPCC.

Le politiche climatiche non stanno funzionando perché non le stiamo applicando: ci stiamo ingannando

I dati più recenti disponibili sulle emissioni di anidride carbonica testimoniano che si sta andando nella direzione opposta a quella dichiarata a Parigi: nel 2017 e nel 2018 le emissioni di CO2 sono cresciute, cioè non vi stato un cambio di trend rispetto al passato.

Perché accade tutto ciò? Semplicemente perché le policy – validi ed efficienti strumenti finché rimangono confinati ai libri di testo, ai report o ai testi degli accordi internazionali – diventano improvvisamente spuntate quando sono calate nella realtà. E ciò accade non perché siano intrinsecamente fallaci, piuttosto perché non le si adotta con sufficiente vigore.

La metafora è abusata ma efficace, e dunque può essere riproposta: Sapiens è un fumatore che vuole smettere di fumare ma non ci riesce perché gli fa difetto la volontà.

Quali leve abbiamo a disposizione? Decarbonizzazione, efficienza, decrescita, sequestro e stoccaggio del carbonio, geoscienze..

Vediamo quali sono le leve di cui dispone ma che non muove: uno, la decarbonizzazione del mix energetico. È assai facile dimostrare come il mix energetico dell’energia primaria mondiale non si stia affatto decarbonizzando. Se confrontiamo il mix del 1990 con quello del 2017 (ultimi dati IEA disponibili) scopriamo che la quota dei fossili è stabile all’81%, le rinnovabili sono cresciute di un 1% passando dal 13 al 14% mentre il nucleare è diminuito di un 1%.

La decarbonizzazione guadagnata attraverso la crescita delle rinnovabili è stata compensata dal decremento del nucleare, la quota dei fossili resta invece invariata all’81%

In altri termini, la decarbonizzazione guadagnata attraverso la crescita delle rinnovabili è stata compensata dal decremento del nucleare. Ciò è puntualmente registrato dall’intensità carbonica del mix che nel 1990 era pari a 2,33 (tonn. CO2/tep) mentre nel 2017 è pari a… 2,33. Si noti l’uguaglianza dei due numeri alla seconda cifra decimale a distanza di 27 anni! Certo, a livello di generazione elettrica la situazione è più dinamica, ma rispetto all’energia primaria – che è ciò che conta per le emissioni globali – il tempo è fermo. Dunque, prima arma di policy spuntata: decarbonizzazione Kaput, fino ad oggi.

L’intensità carbonica del mix energetico nel 1990 era pari a 2,33 tonn. CO2/tep mentre nel 2017 è pari a… 2,33 tonn. CO2/tep!

Passiamo all’efficienza energetica, terra fertile dalle brillanti prospettive di coltivazione. Qui, innegabilmente si assiste a qualche miglioramento con un decremento dell’intensità energetica mondiale dal 1990 ad oggi intorno al 35%. Ciò è indubbiamente positivo, ma è qualcosa di quasi inerziale, insito nel progresso tecnologico. Il miglioramento non è sufficiente a compensare la crescita del reddito che traina i consumi energetici. E, infatti, le emissioni crescono. Dunque, la seconda arma non è sufficientemente potente. Il potenziale c’è ma è non catturato.

L’efficienza energetica è come una donna o un uomo bella/o, ricca/o e intelligente, ma che nessuno sposa…

Gli studi mostrano come molte opzioni di miglioramento di efficienza sono a costo negativo – cioè l’investimento è minore del ritorno – ma quel vantaggio non è catturato, rimane lì, sospeso nell’iperuranio degli studi: comportamento batte razionalità ingegneristica due a zero. Dunque, con un’immagine, si potrebbe dire che l’efficienza energetica è una donna – o un uomo, se preferite – bella, ricca e intelligente che nessuno sposa. Ciò è strano ma accade, e se accade ci sarà una ragione. E la ragione è che quella donna – o uomo – è sì una summa di virtù ma non è facilmente accessibile. Vive in un castello protetto da un fossato – le famose barriere, molte delle quali comportamentali – che non la fanno avvicinare. Di nuovo, fino ad oggi è così.

Cosa rimane dopo una decarbonizzazione del mix che non c’è e un’efficienza che non è in buona salute? Lo stop della macchina, come suggerisce uno sparuto gruppo di studiosi, cioè la decrescita? Ci permettiamo di dire che è contro la natura di Sapiens: sarebbe come cercare di trasformare un leone in un erbivoro! Forse in un nuovo futuro etico-tecnologico, Sapiens – come già fu nel Medioevo – smetterà di guardare a terra e volgerà lo sguardo al cielo. Non possiamo escluderlo. Oggi, tuttavia, è vero il contrario. Materia batte spirito 10 a 1, e non è un’iperbole.

Resta il sequestro e lo stoccaggio del carbonio, rivoluzione copernicana che risolve il problema alla radice tagliando il nesso fossili-carbonio e rendendo i primi carbon free. Il motore di questo aereo rimbomba sulla pista di decollo da almeno due decenni senza che il velivolo abbia mai staccato il volo: troppo costoso alzare il colosso nel cielo.

Decrescita, investimenti in tecnologie e sviluppo delle geoscienze. Quali armi restano se l’incertezza ci circonda?

Annullata anche quest’arma, restano le geoscienze: immettere nell’atmosfera sostanze specifiche quali, ad esempio, il carbonato di calcio e creare artificialmente un effetto schermante della radiazione solare. Duecento anni dopo il 1816 – il cosiddetto anno senza estate causato, sembra, dall’eruzione del vulcano indonesiano Tambora che concorse, tra l’altro, alla sconfitta di Napoleone a Waterloo (troppa pioggia, troppo pesante il terreno per le dinamiche manovre della cavalleria dell’Imperatore) – il genere umano prova a riprodurre per via artificiale qualcosa di simile agli effetti schermanti delle eruzioni vulcaniche. Diverse istituzioni, tra cui l’Università di Harvard, finanziata tra gli altri da Bill Gates, lavorano in questo campo.

Siamo ai primordi: tutto è incerto. Dagli aspetti tecnici a quelli economici, per tacere di quelli relativi al coordinamento internazionale. Come gestire la possibilità dello sconvolgimento del clima italiano a seguito di calcite sparata dagli americani? Chi decide, come, dove, quante e quali sostanze immettere nell’atmosfera? Chi governa il processo? L’accordo si preannuncia più complesso di Parigi e Kyoto messi insieme.  Scura è la notte.

Enzo Di Giulio è economista, preside della Scuola Enrico Mattei di Eni Corporate University e membro del Comitato Scientifico di Energia


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