L’estate tremenda del clima – una specie di scorribanda della natura che altro non è che un compendio di ciò che ci attende negli anni a venire – era stata introdotta da un articolo dell’Economist del 17 giugno che preannunciava eventi fatali in quel di Groenlandia: “The Greenland ice sheet is melting unusually fast”, titolava il magazine. Per efficacia espressiva riportiamo il grafico proposto dal settimanale inglese che mostra, più della parola, quanto si fosse di fronte a qualcosa di strano.
Il ghiaccio andava sciogliendosi a velocità fuori scala. Poi, a luglio, c’era stato il fragore di Zermatt. I video facilmente reperibili in rete mostrano l’esondazione caotica dell’acqua, il correre vorticoso di fiumi di acqua e di fango in pieno centro a Zermatt, Svizzera. Una cittadina alpina inondata dall’acqua in un giorno estivo irrorato dal sole. E allora, da dove veniva quell’acqua se la giornata era bella e assolata e il cielo senza una nube? Semplice: si era sciolto un ghiacciaio. Ecco qualcosa di nuovo di fronte a noi: l’acqua figlia del sole, non più della pioggia.
Poi c’erano state le notizie dalla Siberia: 13 milioni di ettari di foresta andati in fumo – un’area grande quanto la Grecia, secondo Greenpeace Russia – senza che vi fosse possibilità e forza di spegnimento da parte di qualsiasi autorità, nazionale o sovranazionale, pubblica o privata: troppo alto il costo, troppo piccolo l’uomo di fronte all’urlo della natura.
Poi, ancora la Groenlandia, in pieno agosto: fiumi d’acqua serpeggianti tra ghiacciai millenari, alimentati dagli stessi ghiacci che si sciolgono al soffio caldo dell’anticiclone africano migrato fino a quelle nordiche latitudini (sic!). 12 miliardi di tonnellate di ghiaccio sciolto e confluito nelle vastità dell’oceano, ad alimentare un innalzamento del livello dei mari che potrebbe raggiungere, secondo il climatologo James Hansen, “several meters” in 50-150 anni.
Poi è stata la volta dell’Amazzonia: tre campi di calcio bruciati in un minuto: questo il ritmo dell’incendio come riportato sui giornali agostani. Macron contro Bolsonaro, e la decisione del G7 di destinare 20 milioni di dollari a favore della povera Amazzonia per un danno generato da politiche miopi.
Infine a settembre è arrivato Dorian, con venti che spazzano il Centro America a 300 km orari e una potenza catalogata nel punto estremo della scala: uragano categoria 5: non si registrava un uragano di forza analoga dal 1980, con Allen, e una potenza di venti del genere dal 1935. Dorian, una specie di punto esclamativo posto dalla natura a conclusione della frase terribile che essa stessa è andata scrivendo nei mesi torridi dell’estate.
Forse mai come quest’estate, l’opinione pubblica e i media hanno acquisito consapevolezza della dimensione distruttiva della crisi climatica
Forse mai come quest’estate, l’opinione pubblica e i media hanno acquisito consapevolezza della dimensione distruttiva della crisi climatica. Ciò che fino a qualche anno fa era dominio di gruppi ristretti di scienziati è diventato, in breve tempo, conoscenza diffusa, sapere dell’uomo comune. Finanche su diverse spiagge del Belpaese mi è accaduto di ascoltare cittadini comuni parlare di clima, di sfaceli della natura originati dal cambiamento climatico, di acqua del mare che sale e mangia le coste. Un pezzo di buon senso e un pezzo di sproposito: anche le mareggiate erano ricondotte ai cambiamenti climatici (mai si approfondirà a sufficienza la vocazione di Sapiens per gli estremi, la sua tendenza a passare da un polo all’altro, costante gravitazionale del genere umano).
Si potrebbe dire che con l’estate 2019 Sapiens varca la frontiera dello scenario delineato dalla scienza, come fosse un fumatore accanito che scopre sulla propria pelle – le similitudini tra le due battaglie scientifiche, sul clima e sul fumo, sono molteplici – che quanto gli andavano dicendo i dottori era vero: il fumo è causa di cancro ai polmoni. E tuttavia – mistero! – a differenza del fumatore che reagisce smettendo di fumare o sbraitando in una crisi di rabbia, Sapiens sta fermo immobile come una preda imbambolata di fronte a un anaconda che tra poco la divorerà.
(continua)
Enzo Di Giulio è economista e membro del Comitato Scientifico di Energia.
Foto: PxHere
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