20 Settembre 2019

La ‘non’ politica energetica

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Com’è mutata la politica energetica dagli anni ’50 ad oggi? Da osservatore esterno del mondo dell’energia, ma persona di lungo mestiere, Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, commenta su Energia 3.19 l’evoluzione della politica energetica del nostro Paese, divenuta oggi una ‘non politica’, e tenta di indicare la via per uscire dall’attuale impasse.

La politica energetica d’oggi in Italia “non obbedisce a una unitaria logica di sistema ma si svolge nella dinamica di un «ecosistema a tanti soggetti»”: grandi gruppi industriali, proliferanti operatori di piccole e medie dimensioni; autorità regolatorie di vario tipo (nazionali e internazionali); forti interessi e poteri categoriali e di lobbying; preoccupazioni e tensioni spesso non previste o prevedibili. “Il tutto in una progressiva dispersione di una volontà politica vocata agli interessi generali del Paese.”

Una politica diametralmente diversa da quella d’un tempo “lucida (…), di forte guida dall’alto e di grande assunzione di responsabilità politica (…), focalizzata sugli interessi nazionali, centrata su un sistema a unico protagonista (un’azienda pubblica di fatto monopolista), attenta solo a garantire al Paese, nel variare delle congiunture internazionali, l’approvvigionamento energetico necessario per il suo impetuoso sviluppo”.

C’è invece una governance energetica nazionale dal “carattere policentrico” che risulta “scoagulata”, priva di “una lucida conduzione sistemica del settore”, incapace di far “convergere le sue componenti e i suoi processi in condivisi intermedi orientamenti decisionali (politici, aziendali o territoriali che siano)”.

Un policentrismo disordinato che “non è puro vizio di frammentazione politica e decisionale, ma è il riscontro dovuto ma quasi incontrollabile alla impensata moltiplicazione dei soggetti operanti nella realtà” che hanno cambiato il sistema “nelle sue più intime valenze”, producendo “un primato della strategia aziendale rispetto al primato dell’interesse nazionale” e mettendo in gioco “comportamenti e competenze non abituali nel settore in quanto molto di cultura «industriale»: l’attenzione ai margini; la sofisticazione dei contratti; l’appoggio sullo sviluppo tecnologico; l’esplorazione di spazi di mercato retail; la propensione a operare anche nel lontano Giappone, come in Arabia Saudita”.

Il settore elettrico diventa quindi un ecosistema che ha assorbito una sottile logica di ‘quasi mercato’, dove ogni soggetto porta avanti la sua logica ‘di impresa’

“(.…) Difficile pensare a una politica energetica che «riporti a unità e a coerenza strategica» tutti i player della attuale dinamica elettrica ed energetica. (…) Ci vorrebbe un «piano» (ma) chi ha letto gli ultimi tre documenti italiani in merito (…) ha potuto constatare che in essi non ci sono le condizioni strutturali per essere un piano vero e proprio”: non vi si delineano le scelte prioritarie; non vi si accenna a un qualsiasi strumento o processo; non vi si prevedono adeguati monitoraggi di verifica”.

Un “ecosistema a più soggetti è difficile da gestire, figurarsi da pianificare”. E allora come fare? “La sfida principale diventa allora l’interpretazione delle variabili in gioco, cosa naturale nella realtà economica e sociopolitica, ma anche nel settore energetico, vista la sua evidente rilevanza sistemica, questo primato dell’interpretazione va «obbedito»”. Per riuscirvi è necessario:

  • tenere presenti gli orientamenti della generale regolazione del settore; individuare le priorità infrastrutturali;
  • gestire l’intervento di incentivazione (finanziaria, fiscale, amministrativa) in modo che non si creino squilibri fra le attese e i comportamenti dei vari attori;
  • giocare strategicamente nel campo dell’innovazione tecnologica e della modernizzazione delle reti di trasmissione e distribuzione;
  • collegare sempre più strettamente la politica energetica con la più generale politica industriale;
  • considerare il territorio non più come luogo del dissenso e dei veti ma come il luogo dove può diventare concreta la convergenza quotidiana dei soggetti coinvolti;
  • seguire lo spostamento dell’intervento pubblico verso la dimensione localistica (con la crescente importanza dei poteri locali e delle aziende municipalizzate);
  • individuare e sostenere la potenziale condivisione anche intermedia degli interessi in gioco, e magari una potenziale piattaforma di loro convergenza.

Conclude l’Autore che “in un ecosistema a più soggetti l’obiettivo di una politica moderna è di fatto un lavorare collettivo, molto distante da politiche che scendono dall’alto e da opzioni coltivate senza l’accettazione e il confronto con il policentrismo (e spesso la frammentazione) della realtà di fatto e della governance di settore (…) l’avvio di una politica capace di stare nel concreto delle dinamiche oggi operanti è l’unica strada che mi sembra possibile, anche se conosco bene la flebile tenuta della attuale classe politica”.

Il post presenta l’articolo La non politica energetica scritto da Giuseppe De Rita e pubblicato su Energia 3.19

Giuseppe De Rita è Presidente del Censis

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