In concomitanza con il tifone Hagibis che va devastando il Giappone arriva il monito del FMI: se si vuole salvare il pianeta dal disastro serve una carbon tax da 75 dollari (contro gli attuali 2). Ma il pasto non è gratis e i rischi sociali possono essere elevati..
Ora abbiamo un numero: 75 dollari per tonnellata di CO2 ($/ton.CO2). È questa la somma che occorre pagare per portare le emissioni di carbonio entro livelli compatibili con i 2°C. Non che prima il numero mancasse. Innumerevoli studiosi hanno proposto, usando modelli più o meno complessi, stime del pricing della CO2 compatibili con i 2°C. Ma la voce della scienza, si sa, è flebile: raramente raggiunge l’orecchio del policy maker.
Questa volta, però, la voce e forte e chiara e l’emittente autorevole. Si tratta del Fondo Monetario Internazionale che nell’ultimo Fiscal Monitor approfondisce il tema delle policy per il clima e giunge alla conclusione che occorre mettere sul piatto 75 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa nell’atmosfera se si vuole salvare il pianeta dal disastro.
7,3 milioni gli abitanti evacuati in Giappone per via del tifone Hagibis, quanto la popolazione di Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Abruzzo e Basilicata!
Ci permettiamo qui l’enfasi retorica sostenuti, ammesso che ce ne fosse bisogno, da quanto sta accadendo in questi giorni in terra di Giappone: il tifone Hagibis, il più potente degli ultimi 60 anni, lo colpisce con venti superiori a 200 km/h. Il Governo ha ordinato l’evacuazione di 7,3 milioni di abitanti. Ripetiamo il numero: 7,3 milioni di persone: come se il governo italiano dovesse evacuare contemporaneamente tutti gli abitanti di Trentino, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Abruzzo e Basilicata!
In questo contesto da tregenda, sale la voce del Fondo Monetario Internazionale. I punti principali del report possono essere così sintetizzati: l’Accordo di Parigi non ci porta a 2°C ma a 3°C. Senza alcuna forma di pricing si arriverebbe ai 4°C.
Se introduciamo entro il 2030 una carbon tax pari a 75$/ton.CO2, spostiamo i consumi energetici dai fossili alle fonti verdi e, in tal modo, riduciamo sensibilmente le emissioni, fino a renderle compatibili con i 2°C. Se la tassa fosse più bassa, ad esempio 50$ nei paesi industrializzati e 25$ in quelli in via di sviluppo, la temperatura salirebbe a 2,5°C, cioè troppo.
75$ è il valore giusto ed implicherebbe un incremento del 200% del prezzo del carbone e del 70% di quello del gas. Il prezzo dell’elettricità aumenterebbe in media del 43% mentre quello della benzina del 14%.
Oltre alla riduzione delle emissioni di carbonio, una tassa di 75$ implicherebbe un miglioramento della qualità dell’aria tale da prevenire, nel 2030, 725.000 morti premature dovute a inquinamento.
725.000 le morti premature dovute a inquinamento che verrebbero evitate al 2030 grazie a una carbon tax da 75$
Riportiamo qui sotto l’infografica del FMI che spiega in modo efficace la relazione tra ampiezza della tassa, impatto sul prezzo dell’elettricità e temperatura.
Vanno sottolineati due aspetti: il Fondo Monetario Internazionale non sta sponsorizzando lo strumento carbon tax a detrimento di altri sistemi, ad esempio il trading delle emissioni. Di fatto, le proprietà dei due strumenti sono assai simili. L’importante è portare in un modo o nell’altro il prezzo della CO2 a un livello congruo.
Il pasto non è gratis: ciò che nei manuali di economia viene asetticamente rappresentato dallo spostamento di una curva, nella realtà equivale a lacrime e sangue
Il secondo aspetto concerne i costi. Il pasto non è gratis. Oltre ai costi diretti sulle famiglie che pagheranno di più per i propri consumi di energia, ci saranno impatti significativi sui settori ad alta intensità carbonica – si pensi all’industria del carbone, i cui lavoratori dovranno essere sostenuti, riqualificati e ricollocati – per non parlare dell’impatto sui paesi produttori di energia fossile. Ciò che nei manuali di economia viene asetticamente rappresentato dallo spostamento di una curva, nella realtà equivale a lacrime e sangue.
Il Fondo Monetario Internazionale sottolinea come la tassazione del carbonio dia luogo a cospicue entrate fiscali – 1,5% del Pil dei paesi del G20 nel 2030 – che possono essere utilizzate sia a sostegno delle fasce di popolazione più deboli e/o maggiormente colpite dalla carbon tax, sia a favore della green economy. Possibili forme di impiego del fiscal revenue sono gli investimenti green, sconti fiscali a compensazione del maggior carico posto sui beni energetici, o semplicemente trasferimenti universali. Le opzioni non mancano.
Le cospicue entrate fiscali derivanti dalla carbon tax andrebbero utilizzate sia a sostegno delle fasce di popolazione più deboli e/o maggiormente colpite dalla tassa
La tassa proposta è di certo rivoluzionaria, non nel concetto ma nell’entità, se si pensa che la carbon tax media vigente oggi nel mondo è pari a 2$/ton CO2, contro i 75$ proposti dal Fondo. Rivoluzionaria anche negli effetti: si pensi all’impatto recessivo che la misura potrebbe avere sui paesi produttori di fonti fossili, e a cascata sul sistema economico internazionale.
Di qui la necessità, sottolineata dal FMI, di un coordinamento internazionale dell’azione fiscale, complemento dell’Accordo di Parigi, che dia sostegno politico ed economico – anche attraverso compensazioni tra paesi – alla nuova policy.
A dirla tutta, più che complemento, un accordo fiscale del genere sarebbe il vero Paris Agreement. Infatti, più di un accordo sugli obiettivi, fino ad oggi non funzionante, sarebbe utile un accordo semplice e chiaro sugli strumenti.
Onde evitare un effetto recessivo, servirebbe un coordinamento internazionale dell’azione fiscale (che darebbe anche una nuova ragion d’essere all’Accordo di Parigi)
Certo, rimane aperta la questione dell’accettabilità sociale di una carbon tax cospicua. Per rimanere in zona parigina, le potreste dei gilet gialli francesi – originati dalla carbon tax introdotta da Macron che sarebbe dovuta salire a 100€/ton CO2 nel 2030 – ha evidenziato quanto ampia, ancora, sia la distanza tra ideali ambientali e portafoglio. D’altra parte è anche vero che nella progredita Svezia vige una carbon tax che dai 28$/ton CO2 del 1991 è salita quest’anno a quota 139$.
L’introduzione della tassa nel contesto più ampio di una riforma fiscale basata su compensazioni di vario genere – ad esempio riduzione della tassazione sul reddito e maggiori trasferimenti sociali – ne ha reso possibile l’attuazione senza sconvolgimenti sociali.
Ciò dimostra che colpire fortemente il carbonio è possibile, ma ci ricorda anche che va fatto nel modo opportuno e che, comunque, ogni realtà ha la sua specificità: non tutti i paesi sono ricchi e progrediti come la Svezia. Altrove, la manovra potrebbe essere osteggiata in modo considerevole.
Colpire fortemente il carbonio è possibile, ma va fatto nel modo opportuno
Per concludere, la proposta del Fondo Monetario Internazionale riporta la questione del pricing del carbonio al centro dell’attenzione internazionale. In un certo senso, ci riporta al dibattito europeo di circa 20 anni fa su carbon tax, riforma fiscale e doppio dividendo.
All’epoca, l’ipotesi di spostare la tassazione dei paesi membri dal reddito all’ambiente fece maturare parecchie speranze. Gli studi dimostrarono che la realtà è più complessa di quanto congetturato nel rapporto Delors e che il doppio dividendo – meno inquinamento e più occupazione – non sempre si manifesta.
La proposta del FMI riporta il dibattito a 20 anni fa, ma la novità è che questa volta il messaggio proviene dall’establishment
Poi, l’ipotesi tassazione del carbonio cadde in una specie di sonno dogmatico e rimase sottotraccia nel dibattito sulle policy, per riapparire di tanto in superficie nelle proposte di qualche policy maker. Oggi, il Fondo Monetario Internazionale la dissotterra e la propone all’attenzione pubblica, e lo fa non in modo generico ma indicando un numero limpido: 75$ per tonnellata di anidride carbonica.
Al di là della correttezza di questa cifra – il valore ipotizzato qualche anno fa dalla IEA era circa doppio – il report FMI rappresenta un messaggio autorevole rivolto ai paesi. La novità è nel fatto che il segnale proviene non dall’area green, ma dal cuore dell’establishment mondiale. L’establishment parla all’establishment. Saprà ascoltarsi?
Enzo di Giulio è membro del comitato scientifico della rivista Energia
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Foto: MaxPixel
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