Si è tenuto il 28 ottobre a Bruxelles l’ennesimo colloquio trilaterale fra Unione Europea, Russia e Ucraina sul nuovo contratto per il transito del gas russo attraverso l’Ucraina e verso l’Europa. A differenza del precedente, che mostrava qualche timido passo verso un’intesa, quello appena concluso si è rivelato un totale fallimento. Quali scenari si aprono a questo punto? 3 i principali, e il più probabile è favorevole alla Russia.
Se l’Ucraina si è mostrata collaborativa, disposta, spinta da necessità economiche, a portare avanti l’ultima fase di un profondo processo di ristrutturazione del sistema nazionale di trasporto del gas naturale (con lo scorporo dei gasdotti dalla compagnia di Stato e l’istituzione di un gestore indipendente), la Russia è rimasta ferma sulle sue posizioni.
L’Ucraina s’è mostrata collaborativa, mentre la Russia è rimasta ferma sulle sue posizioni
Forte del suo ruolo di primo fornitore europeo e potendo contare su rotte alternative all’Ucraina (Nord Stream e Turkish Stream), Mosca non ha alcuna intenzione di cedere su un contratto di transito di lungo periodo, ancor più alla luce delle numerose dispute legali con l’Ucraina, alcune delle quali particolarmente onerose, come quella che lo scorso anno ha sancito la compensazione di 2,6 miliardi di dollari da parte di Gazprom a Naftogaz per gli obblighi di transito.
Nessun accordo quindi, nonostante il 31 dicembre, data di scadenza del contratto in essere stipulato nel 2009, sia ormai dietro l’angolo. Ma qual è il filo che collega Ucraina, Russia e Unione Europea?
Per la Russia, l’Ucraina, rappresenta attualmente il più importante paese di transito del gas: oltre il 40% nel 2018, pari a circa 87 mld mc, e quantitativi simili sono previsti anche per l’anno in corso. Per l’Ucraina, gli introiti derivanti dal transito del gas russo garantiscono il 3% del PIL e il 4,5% delle esportazioni del paese.

Fonte: Elaborazioni Rie su dati Bloomberg
Per l’Europa, un eventuale blocco delle forniture potrebbe avere delle conseguenze per nulla marginali. Se si escludono i paesi ex-sovietici, il Vecchio Continente ha acquistato da Gazprom nel 2018 200,8 mld mc, di cui circa 87 passati per i gasdotti ucraini. A farne le spese sarebbero soprattutto quei paesi che dipendono quasi totalmente da questo gas e incapaci nel breve periodo di approvvigionarsi altrove, come Bulgaria, Serbia, Bosnia ed Erzegovina.

Fonte: Elaborazione Rie su dati Gazprom (per importazioni) e BP Statistical Review 2019 (per consumi)
Cosa attendersi ora? 3 possibili scenari: accordo e mantenimento dello status quo, nessun accordo e cessazione del transito di gas russo dall’Ucraina, accordo intermedio di breve periodo
Cosa attendersi ora? Con la consapevolezza di semplificare, si possono individuare 3 principali scenari. Primo, firma dell’accordo e mantenimento dello status quo. È il più ottimista ed è auspicato da Ucraina ed Europa, ma è sicuramente il meno probabile perché per nulla vantaggioso per la Russia. Presuppone la firma di un nuovo accordo di 10 anni o più, per un volume di transito minimo di 60 mld mc, con la possibilità di incrementarlo di ulteriori 30, per consegne spot da parte di Gazprom e altri shippers. Il tutto all’interno di un quadro giuridico europeo a garanzia della continuità e rispetto dell’accordo. In questo modo, la sicurezza energetica dell’Unione non subirebbe contraccolpi, il passaggio di gas dall’Ucraina sarebbe economicamente sostenibile e, in un ritrovato clima di distensione, Kiev potrebbe riprendere le importazioni di gas russo per il consumo domestico, dopo che queste ultime sono state sospese a novembre 2015.
Secondo, nessun accordo e cessazione del transito di gas russo dall’Ucraina. È il più pessimista e dagli effetti negativi più evidenti. L’Unione Europea fallisce nel mediare tra le due parti e dal 1° gennaio 2020 il passaggio di gas russo dall’Ucraina cessa. Paesi come Bulgaria, Serbia, e Bosnia ed Erzegovina vedrebbero azzerarsi le importazioni dalla Russia, mentre Romania, Grecia e Croazia se ne vedrebbero decurtate una buona parte. Ma rischi vi sono, come già visto nella crisi del 2014, anche per altri paesi, come Danimarca, Polonia e l’Italia stessa, che in piena stagione invernale vedrebbero un ricorso massiccio agli stoccaggi, difficoltà di accrescere i flussi da altri paesi, rialzi sui costi di importazione.
Terzo, firma di un accordo intermedio di breve periodo, ben più ristretto di dieci anni. Scenario in più occasioni auspicato da Mosca, la cui strategia politico-economica punterebbe a una durata – un anno, forse due. La ragione ufficiale è “il rischio che l’Ucraina non riesca (…) a creare un gestore indipendente certificato per le attività di transito e un regolatore indipendente entro 1° gennaio 2020 (…)”; quella ufficiosa, prendere tempo affinché Nord Stream 2 e Turkish Stream vengano realizzati ed entrino in funzione. Conti alla mano, la seconda bretella del Nord Stream conta su una capacità di 55 mld mc e approdando in Germania riuscirebbe a servire l’Europa Settentrionale e Centrale; mentre il gasdotto meridionale può movimentare fino a 15,75 mld mc. Sommati fanno 70,75 mld mc, non lontano dagli 87 che lo scorso anno sono transitati dall’Ucraina.
Un simile accordo consentirebbe il mantenimento dello status quo nel brevissimo periodo, ma nel medio e lungo i cambiamenti potrebbero essere strutturali. Con la realizzazione dei due gasdotti – che non può tuttavia ancora darsi per certa – l’Ucraina passerebbe dall’essere rotta prioritaria a rotta “di scorta”, cui ricorrere in caso di picchi della domanda o altre situazioni di criticità.
Lo scenario più probabile è quello attendista, più vicino ai desiderata della Russia, che all’optimum auspicato da Unione Europea e Ucraina
Come già evidenziato su questo blog, i paesi europei, e in primis l’Italia, duplicherebbero invece la loro dipendenza, aggiungendo a quella dalla Russia quella dalla Germania che “diverrà indiscusso leader del metano nel continente europeo, facendo svanire parallelamente l’idea che il nostro Paese possa diventare hub di transito del metano verso il Centro Europa proveniente dall’Oriente e dal Mediterraneo”.
Se a fine settembre esisteva un barlume di speranza sulla possibilità di rinnovo del contratto, il nuovo trilaterale ha invece messo in luce la ferrea volontà di Mosca di esercitare la sua potenza sulle aree ex-sovietiche, considerate un “estero vicino”, e sull’Europa, dettandone ancora una volta le condizioni. A meno, di inaspettati colpi di scena, si giungerà ad una posizione “attendista”, il contratto in essere verrà esteso per un lasso temporale particolarmente ristretto, in attesa di nuovi sviluppi. Una situazione di stallo, lontana dall’optimum a cui aspirava l’UE e l’Ucraina ma sempre più vicina ai desiderata della Russia.
Agata Gugliotta è ricercatrice presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
Per ulteriori approfondimenti si rimanda all’articolo scritto dall’Autrice per la newsletter GME di ottobre 2019:
The winter is coming e manca l’accordo sul transito gas fra Russia e Ucraina
Foto: Pixabay
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