Un buon indicatore per valutare l’andamento del processo di decarbonizzazione è l’anno di picco del carbonio. Stimare quando questo si verificherà ci consente di valutare con quale velocità e con quali tassi dobbiamo tagliare le emissioni. E se faremo in tempo a contrastare i cambiamenti climatici
Quali sono i tempi della transizione energetica? Sono in linea con quelli dei cambiamenti climatici? Sono temi di cui si parla sempre di più, e questo è bene, ma spesso il continuo riferirsi a date future, alternando quelle indicate dalla comunità scientifica (come monito) con quelle fissate a livello politico (come obiettivo), rischia di confondere i termini del discorso. E soprattutto rischia di far passare in secondo piano l’effettivo andamento delle cose, dal quale non si può prescindere se si vuole operare per cambiarlo.
L’IPCC, ad esempio, indica il 2030 come data entro cui è necessario ridurre del 45% le emissioni di CO2 di origine antropogenica e il 2050 per raggiungere la neutralità carbonica se si vuole mantenere l’incremento della temperatura entro 1,5 °C. La Presidente della nuova Commissione europea intende proporre di innalzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 dal 40% (fissato un anno fa) al 50% o 55%. La road map dell’Italia prevede, come la Gran Bretagna, il phase out dal carbone per il 2025, mentre quella della Germania per il 2038. Un turbinio di date che offrono informazioni parziali e che soprattutto non aiutano a rispondere alla domanda cruciale: faremo in tempo?
Su Energia 3.19 Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca propongono un’analisi quantitativa degli scenari per individuare quando si verificherà (o almeno quando fino a quando non si verificherà) l’anno di picco del carbonio (carbon peak).
Come metodo adottano l’analisi Montecarlo, “che consente di generare una sequenza di eventi distribuiti secondo una funzione di probabilità assegnata. (…) Il metodo consente di generare una moltitudine di scenari, in tal modo ampliando considerevolmente il numero delle possibili traiettorie delle future emissioni. In particolare sviluppiamo la nostra analisi su 1.000 iterazioni, generando 1.000 eventi «anno in cui si verifica il picco del carbonio». Questa espansione imponente del numero delle traiettorie possibili dà maggiore robustezza alla nostra analisi statistica”.
Procedendo inchiesta per inchiesta, gli autori giungono alle seguenti conclusioni: “Il linguaggio esatto della statistica traduce questo risultato con la formula classica «sulla base dei dati del campione esaminato non possiamo rifiutare l’ipotesi che l’anno di picco medio sia il 2025 o successivi». (…) Con linguaggio meno rigoroso ma più comprensibile, possiamo affermare che i dati ci autorizzano ad essere fiduciosi al 99% che l’anno di picco non dovrebbe essere prima del 2025. (…) Tuttavia, sulla base delle iterazioni condotte emerge che, verosimilmente, nella migliore delle ipotesi, il picco non si manifesterà prima del 2031. (…) Possiamo affermare che è assai dubbio che prima del 2033 possa manifestarsi il carbon peak mondiale. (…) La considerazione congiunta di scenari plausibili e outlook ci autorizza a ritenere che è assai verosimile che il picco del carbonio mondiale si verifichi dopo il 2036”.
È assai verosimile che il picco del carbonio mondiale si verifichi dopo il 2036. Stando agli scenari IPCC è probabile che il carbon peak avvenga tra il 2050 e il 2060
Che insegnamenti possiamo trarne? Nel caso in cui l’anno del carbon peak si verificasse nel 2025, raggiungere l’obiettivo dei 2 °C implicherebbe “tassi di riduzione annui che partono da un 3% nel 2020 per salire progressivamente verso il 9% nel 2030, il 14% nel 2040, il 16% nel 2050 per poi stabilizzarsi sul 17% dal 2060 al 2100″. Ciò significa che una manifestazione del picco entro il 2031 implicherebbe “tagli delle emissioni assolutamente fuori dell’ordinario, mai realizzati prima: in una parola, una rivoluzione”. Tra l’altro, se si prendono in considerazione le simulazioni basate sugli scenari IPCC, l’anno di picco medio si sposta considerevolmente in avanti, di due o tre decadi, “tra il 2050 e il 2060 (…) restituendo l’immagine di un potenziale futuro denso di criticità”.
I tagli richiesti sono mirabolanti, fantastici, stupefacenti e vi sono pochissimi appigli – oltre alla speranza – perché essi possano essere conseguiti
Da questa ricerca emergono quattro riflessioni:
- L’abbattimento richiesto è serio e consistente, perché si tratterebbe “di passare dall’attuale crescita delle emissioni – intorno al 2% negli ultimi due anni – a un taglio che deve essere già quasi pari al 10% annuo nel 2030”
- “È assai improbabile che si abbia un picco del carbonio globale nel 2030”
- Con il target proposto nel 2018 dall’IPCC – contenere, cioè, “l’innalzamento della temperatura non entro 2 °C ma entro 1,5 °C” – la sfida diventa definitivamente “assai più improba”
- “I numeri, nella loro brutalità, ci consegnano un futuro di interventi di policy tanto necessari quanto improbabili. I tagli richiesti sono mirabolanti, fantastici, stupefacenti e vi sono pochissimi appigli – oltre alla speranza – perché essi possano essere conseguiti”.
Il post riprende alcuni passaggi dell’articolo Faremo in tempo? di Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca e pubblicato su Energia 3.19 (pp. 34-45)
Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca insegnano all’Eni Corporate University. Enzo Di Giulio è anche membro del Comitato Scientifico di Energia
Foto di Klaus Dieter vom Wangenheim da Pixabay
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