Cosa ci dicono i principali scenari energetici sul futuro del petrolio? Che si può andare incontro a un enorme eccesso di offerta, ma anche a un altrettanto enorme deficit. In altri termini, v’è assoluta incertezza sul tema. Onde evitare scenari disastrosi, non bisogna farsi cogliere di sorpresa e cercare di governare con chiarezza la transizione.
I diversi scenari energetici a lungo termine (2040) resi noti in questi giorni (in primis AIE e Opec) hanno in comune un unico elemento: un’assoluta incertezza. Fare affidamento acriticamente sull’uno o sull’altro sarebbe un atto fideistico privo di senso.
Ne è prova il fatto che, incrociando i vari scenari, emergono due possibili opposte situazioni nel mercato del petrolio: un enorme eccesso di offerta o un suo altrettanto enorme deficit. Le due possibili opposte dinamiche sono riconducibili a due ordini di variabili.
Da un lato, le politiche climatiche degli Stati a livello mondiale che potrebbero rivelarsi statiche rispetto al loro andamento attuale oppure dinamiche, coerenti cioè con l’obiettivo di contenere il surriscaldamento (almeno) entro i 2 °C. Nel primo caso, la domanda di petrolio potrebbe crescere sino a 10-20 mil. bbl/g, portandosi a 110-120 mil.bbl/g; nel secondo, potrebbe calare drasticamente rispetto ai livelli attuali portandosi a 60 mil.bbl/g.
Se le politiche climatiche saranno statiche, la domanda di petrolio potrebbe crescere di 10 o 20 mil. bbl/g; se invece saranno dinamiche potrebbe calare drasticamente di 40 mil. bbl/g
Dall’altro lato, sul versante dell’offerta, giocano la penetrazione delle tecnologie low-carbon e le strategie di investimento delle compagnie petrolifere e dei paesi produttori. Le compagnie sono pressate dagli azionisti a ridurre l’esposizione ai rischi climatici virando verso le tecnologie low-carbon, a tirare i remi in barca nei business tradizionali, a premiare il valore sul volume, a privilegiare gli azionisti.
Morale: bassi investimenti oggi, significano una minor offerta domani. Ed è quel che sta accadendo con prezzi tuttora la metà di quelli di un quinquennio fa. Perché, d’altra parte, investire se tra venti o trenta anni la transizione energetica, si sostiene, causerà una minor domanda o altre fonti la soddisferanno? O se le politica favorirà le fonti e le tecnologie alternative al petrolio in presenza di una sempre maggior difficoltà ad accedere ai finanziamenti bancari, anche a seguito della decisione della Banca Europea degli Investimenti di non supportare più energie fossili dal 2021?
Secondo l’Opec, la domanda petrolifera continuerà a crescere seppur con tassi decrescenti
Altra è la prospettiva dei paesi produttori. Dallo scenario (unico) elaborato dall’Opec – base di riferimento delle loro strategie – emerge il convincimento che la domanda continui a crescere anche se a tassi decrescenti, e che la minor offerta dei concorrenti le consenta di accrescere la quota di mercato dall’attuale terzo a poco meno della metà.
Prevedere come evolveranno le cose è, come detto, oltremodo complesso se non del tutto impossibile (come avremo modo di approfondire in un importante saggio nel prossimo numero di Energia in uscita in dicembre). Un eccesso d’offerta causerebbe un crollo dei prezzi che rallenterebbe la transizione energetica deprimendo gli investimenti. Un deficit, per contro, causerebbe un’esplosione dei prezzi tale da minare la stabilità dell’economia mondiale.
Un eccesso d’offerta rischia di rallentare la transizione energetica; un suo deficit, per contro, rischia di minare la stabilità dell’economia mondiale
In un white paper di settembre, il World Economic Forum ha analizzato i fattori che potrebbero rendere la transizione energetica al dopo-fossili graduale o rapida (tecnologie, politiche, crescita emergenti) ritenendo in teoria possibili entrambi gli scenari.
Similmente, l’Agenzia di Parigi dei paesi OCSE, nel suo World Energy Outlook appena uscito formula tre scenari in funzione delle possibili politiche climatiche, statiche (Current o Stated Scenario Policies) o dinamiche (Sustainable Policies Scenario). L’interrogativo dirimente è la probabilità o meno che le politiche correnti divengano pienamente sustainable.
Probabilità che a mio avviso, valutazione del tutto soggettiva, è molto bassa per le enormi difficoltà che un po’ ovunque vanno incontrando le attuali pur deboli politiche climatiche da cui la scarsa possibilità che esse possano muovere verso l’obiettivo della soglia dei 2 °C.
Unica area fortemente impegnata in tal senso è l’Unione Europea, con una quota tuttavia sulle emissioni globali quasi dimezzate in un ventennio, a poco più del 10%, poco più della sola India. L’effetto delle politiche europee sarà in conclusione poco rilevante.
Sorprende che nessuno prenda in considerazione l’eventualità di un forte mismatch domanda/offerta petrolifera che causerebbe situazioni disastrose
Pur nella difficoltà di individuare uno scenario che si possa ritenere più probabile, vale evidenziarne uno non escludibile che per la sua estrema criticità andrebbe attentamente valutato: quello di un forte mismatch domanda/offerta.
È lo scenario in cui la domanda si manterrebbe sostenuta per l’anemia delle politiche, la crescita del reddito mondiale, l’aumento della domanda di servizi energetici nei paesi emergenti, il moltiplicarsi dei nuovi beni e servizi che richiedono più energia (il condizionamento dei veicoli, ad esempio, è stimato nell’equivalente di 2 mil. bbl/g). Per contro, l’offerta potrebbe ridursi – nonostante l’impegno dei paesi produttori – a livelli di molto inferiori a quelli attuali.
Secondo Carbon Tracker, le majors dovrebbero ridurre del 35% la loro produzione per non incorrere in stranded costs (costi “incagliati”), stimati sino a 25mila miliardi di dollari. E non vi è dubbio che la più parte dei loro azionisti vorrebbe evitarlo.
25mila miliardi di dollari il rischio di stranded costs per le compagnie petrolifere – Carbon Tracker
Operare per un futuro ambientalmente sostenibile non libera l’umanità – ed è il rischio che abbiamo palesato – dall’esigenza di soddisfare la fame di energia nel mondo. Se fossero adottate in tempi rapidi politiche ambientali forti e nell’ipotesi (eroica?) che raggiungessero gli obiettivi auspicati, la curva del riscaldamento andrebbe a convergere verso l’agognata meta dei 2 °C a discapito del valore affondato delle riserve di fonti fossili.
Se, per contro, la transizione energetica non convergerà verso i 2 °C si accrescerebbero i rischi climatici per la necessità di dover far ancora affidamento sulle risorse fossili col fondato rischio però che gli investimenti d’oggi si dimostrino domani inadeguati alla bisogna. In questo scenario i prezzi schizzerebbero rendendo la decrescita delle majors petrolifere molto più felice.
La cosa che più impressiona è che a questo non escludibile scenario nessuno presti attenzione. Una politica del wait and see che può portare a situazioni disastrose cui sarebbe impossibile rimediare.
La transizione energetica non può essere lasciata alla sua spontanea dinamica, ma deve, dovrebbe, essere governata. Come scrive Ivan Faiella nell’ultimo numero di Energia, le politiche che guidano verso gli obiettivi di decarbonizzazione devono essere “chiare, certe e di lungo respiro. Solo così gli investitori conosceranno con chiarezza la direzione intrapresa e che la sfida dei cambiamenti climatici è in cima all’agenda dei governi nazionali.”
Alberto Clô è direttore della rivista Energia
Foto: Max Pixel
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