L’industria manifatturiera italiana ha rappresentato nell’ultimo decennio quasi i due terzi della riduzione dei consumi di energia dell’intero sistema energetico italiano. Tale risultato è conseguenza del miglioramento dell’efficienza energetica dei processi produttivi o stiamo sopravvalutando le possibilità di un disaccoppiamento sostanziale economia-energia? La questione è affrontata da Francesco Gracceva, Bruno Baldissara, Alessandro Zini (ENEA) su Energia 4.19
La riduzione dell’intensità energetica è di gran lunga il fattore più importante per raggiungere i target di emissioni previsti nella proposta di Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Si tratta del cosiddetto decoupling, ovvero il disaccoppiamento tra crescita economica e consumi di energia, che vede al centro il tema dell’efficienza energetica.
Ma non è che gli scenari tendono a sopravvalutare le possibilità di un disaccoppiamento sostanziale economia-energia? È quello che si chiedono Francesco Gracceva, Bruno Baldissara e Alessandro Zini (ENEA) su Energia 4.19.
Il PNIEC prevede infatti che l’intensità energetica si riduca a un tasso medio annuo del 2,2% tra il 2015 e il 2030, che sale al 2,6% m.a. tra il 2018 e il 2030. Un tasso “più che doppio rispetto a quello registrato nel decennio 2007-2017 che già aveva osservato un raddoppio rispetto al decennio precedente”.
Capire se e come sia possibile ridurre l’intensità energetica è quindi un interrogativo cruciale per comprendere la fattibilità degli obiettivi fissati nel PNIEC. Soprattutto alla luce dei dati degli ultimi cinque anni, nei quali si è assistito a un marcato rallentamento del disaccoppiamento economia-energia, col PIL aumentato dell’1,1% m.a. contro un aumento dei consumi di energia dello 0,8% m.a.
Il PNIEC prevede che l’intensità energetica si riduca al 2030 a un tasso medio annuo più che doppio rispetto a quello registrato nel decennio 2007-2017 (già doppio rispetto al decennio precedente)
A tal fine, i ricercatori ENEA suggeriscono di comprendere meglio quanto avvenuto tra 2007 e 2017 analizzando nel dettaglio la trasformazione subita dal sistema economico ed energetico italiano. “Sebbene nel 2007 i consumi finali di energia dell’industria rappresentassero solo il 28% di quelli totali, la loro riduzione ha rappresentato quasi i due terzi della complessiva riduzione dei consumi di energia del nostro Paese tra 2007 e 2017”.
“Per indagare le cause della forte contrazione dei consumi energetici dell’industria italiana (–30% circa), questo lavoro utilizza la metodologia della cosiddetta Index Decomposition Analysis (che) può infatti offrire informazioni di rilievo sulle determinanti della variazioni della domanda di energia del settore industriale consentendo di distinguere il ruolo che vi hanno avuto i cambiamenti nel livello di attività dell’intero settore (effetto attività), nella sua articolazione interna (effetto struttura), nell’intensità energetica dei diversi sotto-settori (effetto intensità)”.
Il risultato cui giungono con l’analisi di dettaglio delle trasformazioni interne ai principali settori energy intensive ci dice che le riduzioni dei consumi sono riconducibili a cambiamenti strutturali. Risultato confermato dalle analisi di scomposizione, che traducono quantitativamente il peso relativo delle componenti effetto attività, struttura e intensità. Dalle analisi effettuate su tre base dati emerge inoltre che più è modesta la disaggregazione settoriale della base dati, più si tende ad esagerare il ruolo dell’effetto intensità a scapito di quello struttura.
Più è modesta la disaggregazione settoriale della base dati, più si tende ad esagerare il ruolo dell’effetto intensità a scapito di quello struttura
L’analisi muove dall’illustrazione delle determinanti delle variazioni dei consumi di energia: elementi di rilievo per le stime (par. 1). I ricercatori ENEA ci spiegano pregi e limiti della metodologia normalmente adottata per stimare il grado di disaccoppiamento economia-energia. “Sebbene almeno nel lungo periodo un calo dell’intensità energetica, se di dimensioni non marginali, sia probabilmente indice di un miglioramento dell’efficienza energetica, si tratta però di una misura che presenta limiti strutturali che possono produrre risultati fuorvianti” (1.1. Limiti delle misure aggregate di intensità energetica).
Proseguono quindi con l’individuare la variabile più appropriata da utilizzare per misurare il livello di attività dei settori produttivi, in particolare nell’industria manifatturiera. Meglio usare valori fisici o monetari? E, nel caso si usino questi ultimi, quale valore usare? “Si tratta di una scelta in grado di influenzare in modo significativo i risultati, perché (…) optare per le quantità fisiche anziché per il valore monetario, dato da un qualche aggregato contabile, rende le stime esenti da fluttuazioni di prezzo e produttività, facilitando la comparazione nel tempo e tra aree geografiche. D’altra parte, l’utilizzo delle quantità fisiche trova un ostacolo nella difficoltà di pervenire a una misura della produzione comune a tutti i settori dell’industria” (1.2. Le variabili rappresentative del livello di attività nell’analisi di scomposizione).
Vengono poi presentate le metodologie di stima dei trend di efficienza energetica (par. 2), in particolare cos’è l’analisi di scomposizione (par. 2.1.) e le tre basi dati utilizzate dalla diversa “granularità settoriale” (par. 2.2.).
La parte dedicata ai risultati (par. 3) è suddivisa in due sezioni: Consumi energetici e cambiamenti strutturali nell’industria manifatturiera, nei quali riportano il mutamento dei consumi di energia per settori di impiego finale e l’andamento nei diversi comparti energivori (par. 3.1.), e il ruolo delle diverse componenti nella riduzione dei consumi di energia (par. 3.2.), nella quale “Emerge in primo luogo come il drastico calo dei consumi energetici del 2009 (…) sia interamente imputabile alla componente attività (mentre) dopo il rimbalzo della produzione nel 2010 e la stagnazione del 2011, la progressiva riduzione del peso relativo delle produzioni più energy intensive ha portato a un progressivo allargamento del ruolo dell’effetto struttura”.
Nella parte finale gli autori tirano le somme della loro analisi (4. Conclusioni): “cambiamenti strutturali (…) hanno ridotto in modo sostanziale il peso delle produzioni più energivore (rappresentando) la componente più importante della riduzione dei consumi dell’industria nel decennio 2007-2017. (…) Un ruolo di poco inferiore lo ha avuto la riduzione dell’attività produttiva, mentre il ruolo della componente intensità, proxy dei miglioramenti di efficienza energetica, risulta anch’esso significativo ma di poco superiore a un quarto del totale”.
Il post presenta l’articolo Il ruolo dell’effetto struttura nella riduzione della domanda di energia dell’industria italiana (pp. 28-38) di Francesco Gracceva, Bruno Baldissara e Alessandro Zini pubblicato su Energia 4.19
Francesco Gracceva, Bruno Baldissara e Alessandro Zini sono ricercatori ENEA
Foto: Pixabay
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