11 Dicembre 2019

I giganti del web alla conquista del mercato elettrico

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Il 20% della capacità degli impianti americani a fonti rinnovabili, realizzati da aziende private o da investitori istituzionali, è oggi di proprietà di Google e Amazon. I giganti del web entrano i maniera sempre più decisa nel mercato elettrico. “Una comprensibile invasione di campo” secondo GB Zorzoli che su Energia 3.19 ne ripercorre i passi e ne analizza le ragioni.

La tendenza delle grandi utility europee ad ridurre l’esposizione verso la produzione di elettricità (giustificata dalla dipendenza da finanziamenti orientati sul breve termine) è in apparenza contraddetta dalla scelta di entrare nel business elettrico da parte di alcune Oil & Gas Companies e alcuni giganti del web.

Per entrambi la scelta è facilitata dalle dimensioni globali e dalla potenza economico-finanziaria, superiori a quelle delle maggiori utility.

Se per le compagnie petrolifere l’interesse è motivato dalla prospettiva di una contrazione della domanda di prodotti petroliferi nei paesi sviluppati, per i giganti del web dalla loro tendenza a svilupparsi investendo in nuovi settori e verso un mercato, l’elettrico, dove il maggiore ruolo dei servizi ai clienti e lo sviluppo della mobilità elettrica aumenteranno enormemente la disponibilità di dati sulla propensione al consumo delle famiglie, delle aziende e dei singoli cittadini, cioè su un loro importante business attuale.

Proponiamo un estratto dell’articolo di GB Zorzoli Un mercato contendibile pubblicato sul numero 3.19 di Energia

Amazon e Google minacciano di diventare due ingombranti concorrenti delle utility elettriche nella fornitura di energia e nell’offerta di servizi ai consumatori

 “Il 20% della capacità degli impianti americani a fonti rinnovabili, realizzati da aziende private o da investitori istituzionali, è oggi di proprietà di Google e Amazon (Rupnik 2018).

Inoltre, hanno sviluppato applicazioni dell’Intelligenza Artificiale che, sulla base delle condizioni meteorologiche in una determinata zona, valutano la domanda di energia richiesta da un frigorifero o da un sistema di climatizzazione, regolandone in modo ottimale il funzionamento.

Per sfruttare commercialmente il proprio software DeepMind, nel 2014 Google acquistò per 3,2 miliardi di dollari Nest Labs, una società specializzata nella produzione di sensori comandabili a distanza, il cui gioiello era un termostato con capacità di autoapprendimento. Al tempo la decisione di Google sembrò bizzarra, viceversa aprì la strada per penetrare nel business della domotica. Nel solo 2018 Alphabet, la casa madre di Google, ha realizzato partnership per servizi alla clientela con utility elettriche in diversi stati USA, nel Regno Unito e in Olanda.

Amazon si è messa sulla scia di Google, sviluppando la piattaforma Echo per dispositivi connessi e nel 2018 prima acquistando Ecobee, un concorrente di Nest, e successivamente sottoscrivendo una partnership con Arcadia Power, attivo nell’efficienza domestica. Inoltre, con il suo Alexa è ben posizionata sul mercato dei smart speaker, in rapida crescita negli Stati Uniti (Markman 2019).

Le dimensioni e le risorse finanziarie di Apple le consentono di «saltare» più rapidamente di altre aziende nel mercato della vendita di elettricità, ma anche di servizi come efficientamento energetico e demande response

Amazon e Google minacciano pertanto di diventare due ingombranti concorrenti delle utility elettriche nella fornitura di energia e nell’offerta di servizi ai consumatori. Inoltre, Google ha un ruolo rilevante nello sviluppo della guida automatica dei veicoli, settore sinergico con quello della mobilità elettrica.

Nel 2016 Apple ha chiesto la licenza federale per vendere direttamente a consumatori il surplus dell’energia rinnovabile prodotta nelle proprie strutture e ha costituito “Apple Energy”, per vendere energia rinnovabile e servizi ancillari nel mercato elettrico all’ingrosso americano.

Un’approfondita analisi, disponibile sul sito di Harvard Business Review, ne spiega le motivazioni. Le dimensioni e le risorse finanziarie di Apple, unite alla familiarità acquisita nella produzione di energia elettrica, le consentono di «saltare» (to jump) più rapidamente di altre aziende nel mercato della vendita non solo di elettricità, ma anche in quelli – in espansione – di servizi come l’efficientamento energetico e la demande response (Fox-Penner 2016).

Almeno due sono i fattori alla base di questa diversificazione, che in futuro potrebbe coinvolgere altri giganti del web:
a) la loro tendenza a svilupparsi, investendo in nuovi settori;
b) l’interesse per un mercato, l’elettrico, dove la crescente digitalizzazione, il maggiore ruolo dei servizi ai clienti e lo sviluppo della mobilità elettrica aumenteranno enormemente la disponibilità, per le utility, di informazioni sulla propensione al consumo delle famiglie, delle aziende e dei singoli cittadini. 

Per accrescere il loro accesso ai Big Data, i giganti del web potrebbero addirittura scegliere di offrire i servizi energetici al puro costo o addirittura sottocosto

Di qui la scelta di entrarci, per sottrarre tempestivamente alle aziende elettriche il business dei dati, su cui i big del web hanno costruito la propria fortuna (e che indubbiamente sanno gestire con maggiore efficacia). 

Proprio per incrementare i Big Data disponibili, potrebbero addirittura scegliere di offrire i servizi al puro costo o addirittura sottocosto”.


Il post è tratto dall’articolo Un mercato contendibile di GB Zorzoli e pubblicato su Energia 3.19

G.B. Zorzoli è membro dell’Associazione Italiana Economisti dell’Energia e del Comitato Scientifico di «Energia»

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Foto: Wikimedia

1 Commento
Fabio Pistella 

Un tempo il mercato era coperto da operatori con ruoli ripartiti: produttori (più di beni che di sevizi) e commercianti-distributori a loro volta articolati in grossisti e dettaglianti con la collaterale rete dei mediatori “i rappresentanti”. Il controllo del mercato era prevalentemente in mano ai produttori e gli atri segmenti seguivano. Tutto questo è scomparso con una sola eccezione significativa: il mercato dei farmaci, ancora in mano ai produttori, che chiamerei da questo punto di vista “un fossile vivente”. All’altro estremo il mercato delle derrate alimentari; basti un dato grossolano: mi ricordo bene quando si pagava un chilo di pane con un chilo di grano poco più, oggi non ne bastano dieci, a spese del consumatore e senza beneficio proporzionato al produttore del grano.
https://www.coldiretti.it/economia/dal-grano-al-pane-prezzo-aumenta-15-volte
Il dato macroscopico è che il mercato è pilotato da chi gestisce il rapporto con l’acquirente finale e quindi può condizionare pesantemente il produttore. Il mercato dell’energia elettrica non fa eccezione e il cosiddetto unbundling tra produzione e commercializzazione ha accentuato l’indebolimento del produttore, per non parlare del peso delle accise che ha reso poco significativa per l’utente finale la voce costo “industriale” di produzione. Il mercato di carburanti è invece esempio di una residua presenza del produttore anche nella distribuzione, ma anche qui sono in atto dinamiche rilevanti.
I giganti del web hanno il predominio nel rapporto con il consumatore, non solo in termini di contatto, ma anche in termini di conoscenza e condizionamento delle sue esigenze (Google Assistant e Alexa sono il nuovo dettagliante con ruoli di fornitore/consulente/influencer). L’articolo illustra bene come funziona questo rapporto; sottolineo che IOT può in prospettiva portare a ridurre pesantemente il ruolo dell’acquirente (estremizzo con l’esempio del frigorifero che se la vede direttamente con la grande distribuzione per ordinare i rifornimenti e della lavatrice che sceglie orari e tariffe in contrattazione con il’operatore commerciale che vende chilowattora altrui). Ma i grandi del web vogliono ancora di più e “per stare tranquilli” entrano anche nel segmento produzione anche perchè come spiega G. B. Zorzoli hanno risorse finanziarie da collocare (il bundle top-down che si voleva smontare si ricostruisce in senso inverso, da down a top). Mi domando se i regolatori a tutti i livelli da quello nazionale a quello UE al WTO hanno capito (o voluto capire) cosa sta accadendo. Ricordo solo che a livello UE la Direzione Concorrenza non ha trovato ancora un equilibrio tra due obiettivi: assicurare pluralismo interno, a evitare che gli operatori UE siano nani impotenti nella competizione globale. La Green Economy , Green New Deal o come si chiamerà lanciata dalla nuova Commissione rischia di diventare, se concepita e gestita senza una visione di politica industriala adeguata, solo una prateria di costosa domanda per forniture di provenienza extra UE. L’esempio del fotovoltaico (purtroppo è andata proprio così ) non fa stare tranquilli. Ricordiamoci che a livello Italia (dati GSE per il 2017) tra rinnovabili ed efficienza le bollette hanno avuto un sovraccarico annuo superiore ai 15 miliardi di euro e che continuerà comunque così perchè trattasi di obbligazioni pluriennali.
Investiamo per lo sviluppo sostenibile ma non per diventare solo acquirenti sarebbe disastroso per l’Europa.


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