17 Dicembre 2019

La presentazione del nuovo trimestrale di Energia

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Il Direttore di Energia, Alberto Clô, presenta i contenuti del nuovo numero. Buona lettura!

Come stanno davvero le cose?
Nel suo ultimo Rapporto, ASviS sostiene che l’Italia ha mostrato segni di miglioramento, ma (…) ciò «non significa necessariamente che sia su un sentiero che le consentirà di centrare gli Obiettivi nel 2030 (…)». Bene, insomma, ma non benissimo. Come testimoniano, d’altra parte, anche le puntuali analisi trimestrali dell’ENEA e la Relazione sullo stato della Green Economy (…). Del decantato disaccoppiamento emissioni-economia vi è sempre meno traccia. Che questo accada in presenza di un’economia stagnante suscita ancor più preoccupazione. Perché le emissioni tirano soprattutto quando tira l’economia. Due articoli lo attestano ulteriormente. Quello di Francesco Gracceva, Bruno Baldissara e Alessandro Zini, che dimostra come la riduzione dei consumi di energia nell’industria sia dovuta prevalentemente a cambiamenti strutturali più che a miglioramenti di efficienza. Un frutto amaro, quindi, della sua crisi e non fatto di cui vantarsi. E quello di Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella che, analizzando la mobilità in 12 grandi città italiane in uno studio della Fondazione Caracciolo, dimostrano come l’auto resti il mezzo largamente più impiegato di un pendolarismo in continua crescita (…) con effetti ambientali sempre più gravi per l’invecchiamento del parco auto (…). Morale: la realtà delle cose è altra, e peggiore, di quella auto-consolatoria che da anni si va decantando. Perché non dire le cose come stanno? Perché far credere che esse muovano nella giusta direzione quando non è vero? Tra i diversi ordini di ragioni (…) ve ne è uno poco indagato: la comunicazione nelle variegate forme in cui è andata declinandosi. Oscillando tra due estremi. Da un lato, quello che definisco nel mio contributo un ottimismo di maniera: che farebbe credere che siamo sulla strada giusta; dall’altro, quello del catastrofismo radicale di cui il citato Rapporto ASviS si fa latore riportando le parole pronunciate da Greta Thunberg (…): «Tra tredici anni potremmo trovarci in una situazione che (…) potrebbe portare alla fine della civiltà così come noi la conosciamo» (…). Essendo praticamente domani nel 2032, la profezia può darsi per certa. Se condivisa, non vi sarebbe alcuna speranza. Al tema della crisi climatica e delle nuove mobilitazioni ecologiche è dedicato l’editoriale di Luigi Pellizzoni (…) che analizza i movimenti ecologisti che nel 2018 sono andati diffondendosi in molte parti del mondo (…Gilet Gialli…Fridays For Future…Extinction Rebellion). Capirne i punti di contatto e di diversità d’ordine sociale e politico è determinante perché il futuro sarà massimamente condizionato da questi movimenti e dalle reazioni sociali alle politiche climatiche. Il proliferare di moti di protesta spesso violenti – Francia, Cile, Olanda, Germania, Ecuador, Iran – se ha come prima motivazione l’emergere delle diseguaglianze sociali, nondimeno ha come minimo comun denominatore l’opposizione a rialzi dei prezzi energetici spesso in connessione a politiche climatiche (…).

Prevedere l’imprevedibile
L’arte della previsione ha sempre suscitato una grande attrazione nel mondo dell’energia (…). La rivista «Energia» da un decennio pubblica annualmente la sintesi del World Energy Outlook per custodirne memoria e farne termine di paragone di altri esercizi previsionali. Nello scenario di quest’anno si prospettano tre alternative legate all’intensità delle politiche climatiche. (…) La terza è legata alla possibilità che dall’anemia attuale le politiche muovano verso l’obiettivo di piena sostenibilità (…). Possibile ma altamente improbabile. (…) Proprio in ragione dell’incertezza che ammanta il futuro, riteniamo che il ricorso alle previsioni debba avvenire con grande discernimento, memori anche dei loro passati fallimenti. Si pensi (a) I limiti dello sviluppo o, venendo ai giorni nostri, all’assoluta incapacità dei previsori anche solo di immaginare il boom dello shale gas. Esaminando questo caso, Adam Reed, Sean Ericson, Morgan Bazilian, Jeffrey Logan, Kevin Doran e Chris Nelder affrontano scientificamente i limiti delle previsioni nel campo dell’energia: «Sia la previsione che la pianificazione in ambito energetico – scrivono – richiedono (…) una comprensione delle politiche, delle tendenze e delle tecnologie che non sono ancora state realizzate ma che hanno la possibilità di cambiare il panorama energetico nei prossimi decenni». Quel che a noi sembra debba soprattutto riferirsi alle mille previsioni (…) sulla transizione energetica, tese a dipingere un mondo che molto probabilmente non si avvererà.

Nucleare: tardivi retromarcia
È molto interessante osservare come, dopo aver di fatto demonizzato il nucleare, molti analisti, organismi internazionali, studiosi lo stiano riscoprendo, sulla base di due constatazioni. La prima (arcinota) che il nucleare è la tecnologia a minor impatto carbonico, anche considerando l’intera sua life cycle. Secondo: che le nuove rinnovabili non stanno affatto sostituendo le fossili nella generazione elettrica (che rimangono costanti sul 65%) ma «cannibalizzano» proprio il nucleare. (…) Nel suo articolo Dominique Finon (…) alla domanda se «saremo in grado di fare a meno del nucleare per raggiungere, entro il 2050, la decarbonizzazione della crescente offerta mondiale di elettricità (80-100%), con una quota FER dell’80-100%», risponde: «Sembrerebbe proprio di no. (…) Al contrario, l’energia nucleare avrà un ruolo fondamentale nella deep decarbonisation». Respingere aprioristicamente queste posizioni espresse da importanti autori riteniamo sia inaccettabile, in nome di quell’indipendenza e autonomia di giudizio che riteniamo debba preservarsi in un approccio scientifico ai problemi energetico-ambientali, ma che è andata sempre più affievolendosi.

Quel che resta del mercato elettrico
I rischi di mercato non sono entrati nel vocabolario delle nuove tecnologie e anzi sono progressivamente usciti dal mercato dell’elettricità. (…) Dopo la grande sbornia post-liberalizzazione (…) ha prevalso il pragmatismo, così che in assenza di una qualche forma di garanzia reddituale pubblica, ampia o lieve che sia, gli investimenti languono. Che a guidarli possano essere i mercati, attraverso i segnali di prezzo, è una delle tante illusioni cadute nel tempo. Giovanni Goldoni riaffronta il tema già trattato su «Energia» dei Power Purchase Agreements (PPA) (sostenendo) la validità dello strumento (…) controbattendo alle argomentazioni contrarie di ARERA (in quanto) «una riforma per allineare i meccanismi dei mercati elettrici alle caratteristiche tecniche ed economiche della generazione rinnovabile non appare davvero più procrastinabile se veramente si vogliono centrare gli obiettivi del PNIEC senza ricorrere a costose incentivazioni». Più il mercato si ritira, più la regolazione avanza. L’indipendenza dei regolatori – si è sempre detto – dovrebbe essere la loro peculiarità. Ma forte è la tentazione della politica, nazionale o europea, di ridurne l’autonomia. Rischio che emerge, secondo la Professoressa Michela Giachetti Fantini, dalla nuova normativa contenuta nel Clean Energy Package volta ad accrescere l’influenza della Commissione europea sull’ACER, l’Agenzia dei regolatori europei (…). Tentativo incoerente con il «Terzo Pacchetto Energia», che ha imposto agli Stati Membri di garantire l’indipendenza dei regolatori nazionali dai loro governi, non rispettando a livello europeo il principio basilare di separazione tra regolazione e politica.


Il post è un estratto della Presentazione di Alberto Clô di Energia 4.19
Puoi leggere la presentazione integrale scaricando il pdf

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