27 Gennaio 2020

C’è transizione (efficace) senza gas?

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Nella lotta al climate change, non conta solo la meta ma anche il tragitto e il raggiungimento di obiettivi intermedi, come il picco del carbonio. È necessario puntare su soluzioni “quick win”: tecnologie ed esperienze già solide in grado di apportare vantaggi rapidi, concreti e tangibili. Lo switch da carbone a gas naturale è una di queste. Ma l’esclusione dalla tassonomia UE e/o dalle scelte di investimento della BEI rischia di pregiudicare il contributo consistente e concreto che il gas naturale può apportare alla decarbonizzazione nei prossimi anni.

Gli ultimi due numeri del 2019 della Rivista Energia (3.19 e 4.19) ci hanno aiutato a mettere in ordine e a contestualizzare alcuni pensieri maturati sulla transizione energetica che ci aspetta e, con piacere, proponiamo e condividiamo sul Blog della rivista i nostri semplici ragionamenti.

Proviamo a muovere questo flusso di pensieri dall’interessante contributo di Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca (Rivista Energia 3.19), secondo cui il carbon peak non potrà essere raggiunto a livello mondiale prima del 2031, come dimostrato anche dall’analisi statistica effettuata dagli autori. Più il carbon peak si allontana nel tempo e minori saranno le probabilità di poter confermare le traiettorie di decarbonizzazione necessarie a contenere l’incremento della temperatura terrestre entro i 2 gradi centigradi.

È importante quindi sottolineare due elementi che vengono spesso sottovalutati nel dibattito mediatico sulla transizione energetica:
1- il carbon peak deve essere raggiunto a livello mondiale per essere efficace;
2- il fattore tempo è fondamentale per il successo degli sforzi che metteremo in campo.

Non conterà solo la deadline al 2050 ma anche la traiettoria con cui avremo raggiunto il 2050. Il problema climatico può anzitutto essere sintetizzato in “come far raggiungere al Pianeta il picco del carbonio nel più breve tempo possibile”.

Nella lotta al climate change, non conta solo la meta ma anche il tragitto e il raggiungimento degli obiettivi intermedi

La sfida della decarbonizzazione investe ogni attività industriale e passa dalle abitudini di consumo degli individui, ed è quindi tanto necessario quanto apprezzabile che i policy maker europei stiano elaborando un set variegato di interventi (il “Green Deal”) capace di intervenire in modo efficace su diversi soggetti e su diversi settori. Il nostro ragionamento, per oggi, si limiterà al solo settore energetico.

Di Giulio e Migliavacca riportano come nel 2020 quasi 50 paesi dovrebbero aver assistito al loro picco di carbonio, paesi che insieme coprono circa il 40% delle emissioni globali. La sfida principale sarà far raggiungere il picco anche agli altri paesi, ossia a quelli che devono ancora lavorare su efficienza energetica e rimodulazione del proprio mix di generazione e che, ancora oggi, fanno uso di centrali elettriche a carbone o stanno installando parte dei 170 GW di capacità a carbone in costruzione nel mondo – come riportato nella sintesi delle conclusioni del World Energy Outlook dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Rivista Energia 4.19).

La sfida principale sarà far raggiungere il picco delle emissioni a quei paesi che nel 2020 non l’avranno ancora raggiunto; servono soluzioni “quick win”: tecnologie ed esperienze già solide in grado di apportare vantaggi rapidi, concreti e tangibili

Perché la decarbonizzazione sia quanto più possibile efficace e rapida, già nei primi anni di questo nuovo decennio dovrà sfruttare le soluzioni “quick win”, fondate su tecnologie ed esperienze già solide che portino rapidamente a vantaggi concreti e tangibili, per anticipare quanto più possibile il carbon peak. Una di queste soluzioni è la sostituzione, temporanea o meno, della generazione a carbone con la generazione a gas.

In base a come evolveranno la ricerca e la tecnologia nei prossimi anni – dinamica caratterizzata storicamente da discontinuità dirompenti come ci ricorda Alberto Clô nell’ultimo numero del 2019 – il gas potrà essere pienamente una fonte carbon neutral (es. CCUS, green gas, …), e quindi confermarsi nel mix del 2050, o potrà invece vedersi superato da altre soluzioni tecnologiche preferibili dal punto di vista climatico, economico o tecnologico. Rimane però che ad oggi lo switch dal carbone al gas naturale è uno switch tecnologicamente solido, maturo, applicabile su larga scala, in molte aree geografiche, con impatti consistenti e concreti sul budget di carbonio che ci rimane. È una delle quick win cheabbiamo a disposizione in questo decennio.

Lo switch da carbone a gas naturale è una delle soluzioni quick-win a disposizione: nel 2019 il mercato ha facilitato questa transizione

Il 2019 ha dimostrato con chiarezza quanto sopra: i fine tuning effettuati dalla Commissione UE al meccanismo dei permessi di emissione hanno progressivamente portato gli EU Allowance (EUAs) a raggiungere valori medi annui intorno ai 25 Euro/ton dai circa 16 Euro del 2018 che, associati alle condizioni di mercato, hanno reso la generazione di elettricità da metano più competitiva di quella prodotta dal carbone. A livello europeo le prime stime preliminari AIE – riportate da Il Sole 24 Ore – proiettano per il 2019 una riduzione del 24% nella produzione di energia da carbone. In modo analogo le prime stime – riportate da Staffetta Quotidiana – relative alla generazione elettrica in Italia nel 2018 mostrano un calo della generazione da carbone ancora più marcato, fino al 40%. Si stima quindi che nel 2019 l’UE 28 dovrebbe consuntivare un taglio da 42 mln ton CO2, riduzione conseguita in un solo anno e grazie al mero funzionamento delle dinamiche di mercato. Un risultato niente male: efficace e rapido, proprio come è necessario in questo momento.

Diverso, ma ugualmente importante, è il caso di uno switch di medio lungo termine a favore del gas: nel 2018 nell’UE a 28 sono stati generati 624 TWh dal carbone, che dovrebbero essersi ridotti a 470 TWh nel 2019 sulla base delle informazioni giornalistiche già citate. La sostituzione di tali volumi con il gas potrebbe portare a un risparmio nell’ordine di 260-290 mil ton CO2, pari ad una riduzione tra il 7% e l’8% del totale delle emissioni europee al 2018. Ancora una volta numeri importanti. In questo caso, però, lo switch necessita di indicazioni e strumenti di policy, di investimenti in infrastrutture e, in ultima analisi, necessita di capitali. Ed ecco apparire una chiara contraddizione nello schema logico comunitario per supportare il proprio percorso di decarbonizzazione.

Per uno switch strutturale servono strumenti di policy, investimenti in infrastrutture e, in ultima analisi, flussi di capitali

La finanza negli ultimi anni ha sempre più mostrato interesse agli “investimenti verdi”, una categoria non facilmente definibile in cui il rischio di “greenwashing” è tangibile. Il mercato ha quindi bisogno di una guida nella selezione e nel riconoscimento delle iniziative a supporto della transizione energetica o della battaglia al climate change ela tassonomia proposta dall’UE è uno strumento utile a fare chiarezza e ad incrementare la trasparenza sugli investimenti “verdi”. Tuttavia, la tassonomia così come attualmente diffusa è troppo incentrata sulle tecnologie che dovranno prevalere nel lungo termine, col rischio di non dedicare la dovuta attenzione proprio alle soluzioni che possono alimentare la transizione già da oggi e di rallentare il processo di decarbonizzazione.

È questo il caso del gas naturale, che non figura tra le tecnologie considerate dalla tassonomia o, meglio, non alle condizioni tecnologiche attuali. È vero che la non appartenenza alla tassonomia non pregiudica la possibilità di raccogliere comunque capitali sul mercato, ma veicola al mondo della finanza e all’opinione pubblica un messaggio inesatto. L’esclusione del gas dalla tassonomia UE e/o dalle scelte di investimento della Banca Europea per gli Investimenti non riconosce allo stesso il ruolo importante che potrà giocare proprio nei prossimi anni per accelerare il processo di decarbonizzazione in Europa e nel resto del mondo. Se poi spingiamo il ragionamento al limite, ove la tassonomia si rivelasse efficace nei prossimi anni nell’indirizzare gli investimenti dedicati al Green Deal verso l’una o l’altra tecnologia, l’effetto finale sarebbe quello di drenare i capitali destinati al settore del gas proprio nella finestra temporale in cui tale vettore può rappresentare una quick win per la decarbonizzazione del settore elettrico.

La recente tassonomia UE non include soluzioni tecnologiche mature in grado di decarbonizzare il sistema nel breve termine, col rischio drenare finanziamenti e allontanare il carbon peak  

L’impressione è che guardando in modo ossessivo al punto di caduta al 2050 – con 30 anni di evoluzioni tecnologiche innanzi – si stiano perdendo di vista le possibilità già esistenti per velocizzare da subito una riduzione delle emissioni, col rischio che una quick win si risolva in una quick loss. Meglio l’uovo oggi o la gallina domani? Meglio entrambe le cose, vista la situazione in cui ci troviamo!

Basterebbe quindi prevedere all’interno della tassonomia (e della policy in generale) un’adeguata gradualità, che permetterebbe altresì di ovviare ad altri problemi associati ad un modus operandi troppo “tranchant”, tra cui l’esacerbarsi dei “rischi di transizione” evidenziati da Faiella (Rivista Energia 3.19) e che possono portare ad inutili e dannose tensioni sui mercati finanziari.

Tanto inutili per le imprese, quanto inutili per i cittadini e per il progetto intero di decarbonizzazione. Infatti, una crisi finanziaria (ossia quel “cigno verde” recentemente citato anche dalla Banca per i Regolamenti Internazionali) non aiuterebbe il Green Deal né a reperire le importanti fonti di finanziamento necessarie, né a guadagnare l’accettabilità sociale, né a creare le condizioni di rilancio dell’industria UE: tutti elementi imprescindibili anche nei piani della Commissione.

Infine, una riflessione a beneficio delle istituzioni nazionali: bisogna promuovere posizioni equilibrate e pragmatiche nel drafting delle numerose iniziative legislative comunitarie che vedranno la luce nel 2020. Siamo infatti tra i paesi più metanizzati d’Europa (produzione di energia e consumi finali) e quindi più esposti nel caso di percorsi di transizione poco bilanciati tra breve e lungo termine o poco graduali.


Stefano Venier è Amministratore Delegato  Gruppo HERA
Stefano Verde, Strategia e Policy Making, Gruppo HERA

Foto: MaxPixel

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