20 Gennaio 2020

Cari paesi dell’UE e del G7: la realtà è altrove/1

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Il futuro dipende in massima parte da ciò che accadrà nei paesi emergenti. E questi non saranno in grado di mutare l’attuale rotta senza un sostanziale sostegno da parte dei paesi del G7. Per contro, costosi se non proibitivi, interventi sulla riduzione delle emissioni nei paesi del G7 – invocati, in parte promessi e in minima parte realizzati – sono certamente non risolutivi, probabilmente irrilevanti, se non addirittura dannosi.

Le emissioni di CO2 per abitante dei paesi del G7 sono più del doppio di quelle medie nel Pianeta. Ne consegue l’obbligo morale – che poi diventa una questione politica, come in tutte le situazioni nelle quali il divario è inaccettabile – di un impegno concreto e realistico verso le economie emergenti le quali contribuiranno in misura crescente alle emissioni future di CO2.

Per la legge economica dei rendimenti marginali decrescenti, investimenti realizzati nei paesi avanzati sono – a parità di spesa – molto meno redditizi rispetto a quelli possibili nei paesi emergenti, dove peraltro sono ben più veloci le dinamiche nel numero degli abitanti e nel PIL, con l’inevitabile conseguenza della crescita della domanda di energia e trasporti e quindi delle emissioni di CO2. Ciò è dimostrato anche dalla più elevata efficienza nei paesi del G7 in termini di emissioni di CO2 per unità di PIL (la cosiddetta intensità energetica).

Investimenti nei paesi avanzati sono – a parità di spesa – molto meno redditizi rispetto a quelli possibili nei paesi emergenti

Ne consegue che il futuro dipende da ciò che accadrà nei paesi emergenti, i quali non saranno in grado di mutare l’attuale rotta senza un sostanziale sostegno da parte dei paesi del G7. Per contro, costosi se non proibitivi, interventi sulla riduzione delle emissioni nei paesi del G7, invocati, in parte promessi (non da tutti, per esempio non dalla attuale Amministrazione USA) e in minima parte realizzati (vedi consuntivi su impegni di COP21 a Parigi e inconcludenti kermesse successive) sono certamente non risolutivi e probabilmente addirittura irrilevanti.

Bastano pochi dati per capirlo. Li prendiamo dall’EDGAR (Emission Database for Global Atmospheric Research) del Joint Research Center dell’UE, una fonte ufficiale che si può ritenere attendibile.

Se si guarda alle dinamiche temporali delle emissione di CO2 negli ultimi trent’anni in una rappresentazione articolata per “blocchi” di paesi (termine da Guerra Fredda che ben evoca lo scontro tra gruppi di interesse quanto mai attuale sul fronte climatico) possiamo osservare che i paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) pesano per quasi la metà del totale, mentre quelli del blocco G7 (USA, Giappone Canada, Germania, Regno Unito, Francia e Italia) – da considerare rappresentativi dei Paesi cosiddetti avanzati – incidono per poco meno di un quarto. Il resto del mondo contribuisce per poco più di un quarto.

Dal 2005 la partita non si gioca più nei paesi del G7: i BRIC pesano per quasi la metà delle emissioni totale, mentre il blocco G7 e il resto del mondo si spartiscono grossomodo l’altra metà

Il 2005 è l’anno della svolta, che vede l’inversione del peso relativo tra blocchi e dà inizio a una fase nella quale – dal mero punto di vista della localizzazione geografica delle emissioni – la partita non si gioca più nei paesi del G7. E le dinamiche non sono attese mutare nel prossimo futuro: le emissioni nel prossimo rallenteranno solo nel blocco G7.

Scendendo all’interno dei blocchi vediamo che nel blocco G7 gli Usa pesano da soli più della metà del totale, mentre i paesi UE che ne fanno parte poco più di un quinto. Ciò significa che quello che accade nella nostra Europa – che tanto si dà da fare, con programmi onerosi – vale un ventesimo del totale, cioè il 5%: un’incidenza che tenderà a ridursi nei prossimi anni. Questo non significa che se l’Europa è poco rilevante in termini di emissioni non sia in grado di incidere nella lotta ai cambiamenti climatici. L’importante è che indirizzi gli sforzi nella giusta direzione: ovvero, altrove.

Anche se l’Europa è poco rilevante in termini di emissioni, ciò non significa che non possa incidere nella lotta ai cambiamenti climatici: invece di fare sacrifici immani per ridurre le emissioni domestiche, può fare di meglio investendo le proprie risorse nei Paesi al di fuori del G7

Risulta evidente che la riduzione delle emissioni domestiche attraverso sacrifici immani non è la “strada giusta”. L’Europa può fare di meglio investendo le proprie risorse nei Paesi al di fuori del G7, che già adesso pesano di più e dove è da aspettarsi, in assenza di provvedimenti, una crescita notevole le cui conseguenze sono preconizzate drammatiche.

Passando al blocco dei BRIC si nota subito la netta predominanza della Cina, che copre circa il 70 % del totale delle emissioni. La sola Cina pesa oltre il doppio rispetto agli Usa e quasi 6 volte rispetto ai Paesi UE del G7.

Il blocco del resto del mondo mostra consumi pro capite stazionari, ma necessita di un approfondimento per quanto riguarda l’Africa connesso con le necessità di sviluppo di questa regione (con particolare riferimento al crescente bisogno di cibo ed energia) e alla elevata dinamica demografica.

Gli andamenti di demografia e risorse economiche sono chiave per capire le dinamiche e le possibilità di intervento. La dinamica della popolazione è ovunque in crescita, esclusi i paesi del G7. Il valore del PIL è attualmente uguale tra i tre blocchi, ma la crescita nel G7 è molto più lenta (nel 2017 si è avuto il sorpasso anche dei BRIC rispetto al G7 che dall’altro blocco era stato superato nel 2005).

Parafrasando Kundera potremmo dire che “La vita è altrove” rispetto ai paesi del G7. Ma questi continuano a detenere – almeno per ora – gran parte del potere decisionale. Con gli oneri conseguenti.

[continua]


Fabio Pistella è stato, tra le altre cose, presidente del CNR, membro dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, direttore generale dell’ENEA

Foto: Unsplash

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