20 Gennaio 2020

La realtà è altrove/2: investire dove c’è veramente bisogno

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Il futuro dipende da ciò che accadrà nei paesi emergenti, i quali non saranno in grado di mutare l’attuale rotta senza un sostanziale sostegno da parte dei paesi del G7. L’Europa può fare di meglio che “dare il buon esempio” curando casa propria che è una linea d’azione costosa e sostanzialmente irrilevante già ora e tanto più in prospettiva. Deve investire le proprie risorse nei paesi al di fuori del G7, che già adesso pesano di più e dove è da aspettarsi una crescita notevole delle emissioni come inevitabile risultato della crescita sia della popolazione.

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I paesi del G7 hanno grandi ruoli potenziali e corrispondenti responsabilità. Non è realistico pensare che paesi che hanno difficoltà socio-economiche gravi con carenza di risorse di ogni tipo (tecnologiche, di competenze, logistiche, infrastrutturali, finanziarie) possano affrontare autonomamente il contenimento delle proprie emissioni di CO2.

Ne risulta che l’utilizzo delle risorse disponibili nei paesi avanzati per investimenti di contenimento delle emissioni avrebbe un impatto molto maggiore se impiegato nei paesi dove altrimenti la dinamica delle emissioni sarebbe incontenibile.

Sarebbe contenibile senza intervento esterno solo se i livelli di indigenza rimanessero quelli attuali – il che è umanamente e politicamente inaccettabile oltre al fatto che, se accadesse, darebbe ulteriore vigore a guerre e migrazioni e altri disastri umanitari – e simultaneamente si bloccasse la crescita demografica – il che è, piaccia o non piaccia, irrealistico.

Investimenti di contrasto ai cambiamenti climatici in paesi in difficoltà possono fungere da volano per la crescita economica dei paesi avanzati dove la domanda è anemica

Un’altra motivazione a sostegno della convenienza di investimenti nei paesi in difficoltà è l’opportunità che iniziative di questo tipo rappresentano per soddisfare l’esigenza di crescita economica nei paesi avanzati (tutti gli organismi internazionali dell’Occidente ripetono il mantra della crescita) che è limitata in questi anni essenzialmente da insufficienza della domanda piuttosto che dai limiti del sistema produttivo.

È più efficace stimolare consumi interni spesso superflui se non addirittura nocivi dal punto di vista della sostenibilità o realizzare in Paesi con un bisogno disperato di sviluppo progetti di investimento per esempio relativi a infrastrutture e corredati di sistemi di project financing, tanto più in una fase di tassi di interesse bassissimi se non addirittura negativi? Questi interventi potrebbero dare un contributo simultaneamente ai tre fronti decisivi per i nostri tempi: i cambiamenti climatici, lo sviluppo dei paesi in difficoltà, la pressione migratoria, verso l’Europa e non solo.

L’adozione di misure di decarbonizzazione in Europa può avere effetti destabilizzanti sul sistema economico nel suo complesso a fronte di benefici incerti ed esigui

Non pochi osservatori qualificati aggiungono che alcune misure di decarbonizzazione dei quali viene proposta l’adozione per esempio in Europa possono avere, a fronte di benefici incerti ed esigui, effetti destabilizzanti sul sistema economico nel suo complesso (tra i settori da considerare cito solo l’auto e l’industria degli idrocarburi).

Mi limito a sottolineare che un danno certo è quello derivante dall’incertezza: se sistematicamente fervono propositi rifondativi del sistema economico non ci si deve sorprendere che famiglie e imprese rimandino investimenti, con le imprese che tirano a campare e le famiglie che risparmiano, comprimendo ulteriormente i consumi e considerano il conto corrente la loro protezione contro il rischio di “non si sa che succederà”. Possiamo presumere che con lo European Green Deal da poco annunciato le cose saranno diverse? È ancora presto per dirlo, ma vi sono ragioni per dubitarne.

Possiamo dire che sarà diverso con lo European Green Deal da poco annunciato? È ancora presto per dirlo, ma vi sono ragioni per dubitarne

Stupisce che questa opportunità di investire in paesi che devono crescere sia stata colta praticamente solo dalla Cina, che da anni sta dilagando in Africa con formule purtroppo non prive di elementi di neocolonialismo (in particolare nel controllo delle risorse minerarie), ma che suscitano interesse anche per mancanza di alternative.

L’Europa può fare di meglio che “dare il buon esempio” curando casa propria che è una linea d’azione costosa e sostanzialmente irrilevante già ora e tanto più in prospettiva. Deve investire le proprie risorse nei paesi al di fuori del G7, che già adesso pesano di più e dove è da aspettarsi, in assenza di provvedimenti, una crescita notevole delle emissioni come inevitabile risultato della crescita sia della popolazione sia della domanda pro capite di energia e trasporti, le cui conseguenze sono preconizzate drammatiche.

Agire sul sistema produttivo UE non solo ha modesto impatto, ma è anche particolarmente costoso; data la già elevata efficienza, per la legge tecnico-economica dei rendimenti marginali decrescenti ridurre le emissioni interne ha costo unitario più alto; ha maggior senso quindi concentrare risorse di provenienza UE nei paesi dove si pone l’esigenza di investimenti per accrescere la capacità produttiva e dove questi rendono di più perché è più agevole intervenire per correggere la condizione di bassa efficienza.

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Fabio Pistella è stato, tra le altre cose, presidente del CNR, membro dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, direttore generale dell’ENEA

Foto: Pixabay

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