Non è vero che gli sforzi intrapresi dall’Unione Europea sono costosi a fronte di benefici irrilevanti. Con il Green Deal, il ruolo europeo di propulsione e di stimolo si estenderà a livello globale con lo spostamento di enormi risorse economiche nei prossimi decenni. Il direttore di Kyoto Club Gianni Silvestrini risponde al trittico di articoli pubblicato da Fabio Pistella su questo Blog.
Non c’è dubbio che per il successo della lotta climatica sarà determinante il ruolo dei paesi BRIC e dell’Africa. Altra cosa è però affermare, come fa Fabio Pistella sul blog Energia, che “costosi se non proibitivi, interventi sulla riduzione delle emissioni nei paesi del G7, invocati, in parte promessi e in minima parte realizzati sono certamente non risolutivi e probabilmente addirittura irrilevanti”.
Affermazioni simili vengono formulate anche in altri paesi, vedi recentemente in Australia per giustificare le politiche a favore del carbone.
In realtà obbiettivi ambiziosi, come quello recentemente annunciato dalla UE per la neutralità climatica nel 2050, rappresentano uno straordinario stimolo per accelerare in tutto il mondo il processo di decarbonizzazione.
Ma partiamo dal passato. È noto che alcuni paesi europei hanno svolto un ruolo di punta nella diffusione del fotovoltaico, innescando una dinamica che ha portato ad una drastica riduzione dei prezzi. Altra riflessione andrebbe fatta sulla gestione “scomposta” degli incentivi e sull’incapacità dell’Europa di fare sistema sul versante delle industrie del solare, errore che si cerca di non ripetere oggi nella produzione delle batterie al litio.
Non bisogna ripetere gli errori fatti con la gestione “scomposta” degli incentivi e non avendo fatto sistema sul versante delle industrie del solare
Resta il fatto che oggi, in giro per il mondo, si vincono le aste per centrali solari con offerte a prezzi stracciati compresi tra 15 e 40 $/MWh.
Anche sul fronte eolico si è registrato l’impulso innovativo dell’Europa, tanto che stanno ormai per essere realizzati grandi parchi eolici off-shore senza incentivi. Paesi come la Danimarca, dove lo scorso anno la produzione eolica ha coperto il 47% dei consumi elettrici, hanno avuto un ruolo importante anche a livello globale, come dimostra l’industria leader della produzione di aerogeneratori Vestas.
Questa dinamica ha fatto sì che l’energia eolica e fotovoltaica oggi, secondo Bloomberg New Energy Finance, siano le tecnologie più competitive in paesi che ospitano due terzi della popolazione mondiale.
Nella stessa Africa le fonti rinnovabili potrebbero svolgere un ruolo trainante arrivando a coprire tre quarti della nuova generazione elettrica al 2040, con il fotovoltaico prima tecnologia per potenza installata, come afferma la IEA.
E veniamo al lancio del Green Deal europeo, una scossa tettonica per l’economia secondo il vicepresidente della Commissione Timmermans. Il ruolo di propulsione e di stimolo si estenderà a livello globale con lo spostamento di enormi risorse economiche nei prossimi decenni.
Con il Green Deal, il ruolo europeo di propulsione e di stimolo si estenderà a livello globale con lo spostamento di enormi risorse economiche nei prossimi decenni
E non parliamo solo di energia, mobilità, edilizia ed agricoltura, che vedranno profonde modifiche.
L’uscita dai fossili implicherà un sforzo anche nei confronti di comparti industriali energivori – dall’acciaio al cemento, alla chimica – per i quali si sta definendo una precisa politica di intervento che verrà presentata a marzo dalla Commissione.
È evidente che uno sforzo di innovazione in tutti questi settori avrà ricadute globali.
Guardiamo anche a cosa sta succedendo nel mondo della finanza. Da quella europea, pensiamo alle recenti decisioni della BEI, a quella mondiale. Un numero crescente di gruppi sta infatti riorientando i propri investimenti dai fossili alle rinnovabili e all’efficienza. “Siamo sull’orlo di una completa trasformazione, perché il climate change obbliga gli investitori a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna”. Questa la riflessione di Larry Fink, presidente di BlackRock, la più importante società di gestione di fondi con un portafoglio di quasi 7 mila miliardi di dollari.
Un cambio di atteggiamento legato all’accelerazione climatica, alle mobilitazioni dei giovani e agli obbiettivi ambiziosi di paesi come quelli europei.
Ricordiamo poi che le emissioni attribuibili ai paesi consumatori sono più alte di quelle normalmente evidenziate, dovendo tenere conto anche di quelle incorporate nei beni importati. Ma il passaggio ad una economia sempre più circolare avrà un effetto anche nella riduzione delle importazioni di manufatti e quindi sulle emissioni globali. E la stessa applicazione di una “Border carbon tax” potrebbe avere un effetto nell’orientare le scelte di alcuni paesi.
Le emissioni effettive dei paesi consumatori sono più alte di quelle normalmente evidenziate perché si deve tenere conto anche di quelle incorporate nei beni importati
Più in generale, principi come quelli dell’economia circolare adottati in Europa stanno avendo un impatto significativo anche all’estero, come ci ricordano le recenti posizioni del governo cinese sottolineate anche da specifici accordi proprio con la UE.
Per finire, due notazioni.
Una sull’efficacia degli Accordi sul Clima che rappresentano, nei loro limiti, un efficace strumento per sollecitare politiche di riduzione delle emissioni. A cinque anni dall’Accordo di Parigi sono 116 paesi, fra cui quelli europei, che stanno rivisitando i propri impegni. E questa volta potrebbe essere l’Europa a svolgere quella interazione con la Cina che era stata portata avanti dagli Usa di Obama prima dell’Accordo di Parigi. Nel mese di settembre si terrà in Germania un incontro al quale parteciperà lo stesso Xi Jinping. Insomma potrebbero crearsi le condizioni per una forte sinergia Europa-Cina in grado di orientare la diplomazia mondiale del clima già a partire dalla COP26 che si svolgerà a novembre a Glasgow.
La seconda riflessione riguarda l’importanza di accelerare le politiche di trasferimento di tecnologie e risorse economiche. La decisione dei paesi industrializzati di destinare 100 miliardi di dollari ogni anno in base agli Accordi sul Clima, va in questa direzione. Un obbiettivo al momento reso difficile dal forfait degli Usa. Ma, si sa, le cose cambiano (potrebbe esserci il prossimo anno un altro presidente o Trump stesso potrebbe modificare le proprie posizioni).
Gianni Silvestrini è direttore scientifico di Kyoto Club e QualEnergia.
Sul tema Unione Europea e Transizione Energetica leggi anche:
Cari paesi dell’UE e del G7: la realtà è altrove/1, di Fabio Pistella, 20 Gennaio 2020
La realtà è altrove/2: investire dove c’è veramente bisogno, di Fabio Pistella, 20 Gennaio 2020
La realtà è altrove/3: chi deve fare cosa?, di Fabio Pistella, 20 Gennaio 2020
Quale destino per il Green Deal europeo?, di Giuseppe Zollino, 30 Gennaio 2020
Verità e retorica: dov’è la transizione energetica?, di Enzo Di Giulio, 3 Febbraio 2020
Il nocciolo della questione dello European Green Deal, di Alberto Clô, 17 Gennaio 2020
Foto: Pixabay
Ho l’impressione che la distanza tra la mia posizione e quella di Gianni Silvestrini sia più apparente che reale. Sottolineo i punti di convergenza:
– la partita si gioca prevalentemente fuori della UE, ma la UE è un player decisivo (io aggiungo e quindi è bene che le risorse, anche della UE siano destinate prevalentemente là dove gli eventi hanno luogo per banali motivi: nuova domanda di energia da soddisfare e applicazione, all’efficienza degli investimenti, della legge dei rendimenti marginali decrescenti)
– la circostanza che quota rilevante delle emissioni di CO2 in paesi di recente industrializzazione sia connessa con produzioni destinate alla UE rafforza l’obbligo/opportunità di intervento nei paesi in via di industrializzazione per evitare che proseguano investimenti ad alto impatto ambientale la cui futura entrata in esercizio (che riguarda un significativo totale di GW) costituirà una legacy per decenni (alluminio e siderurgia sono esempi concreti)
– una qualificata crescita del patrimonio infrastrutturale di quei Paesi contribuisce alla soluzione di questioni molto serie quali la povertà energetica, la disponibilità di cibo, la pressione migratoria
– investimenti innovativi nel settore energetico aiutano la ripresa nel sistema produttivo UE che ha sofferto e soffre di un’insufficiente domanda (questo è vero anche per realizzazioni di imprese UE in Paesi extra UE)
Veniamo ai punti di difforme valutazione con differenze secondo me più quantitative che qualitative; ritengo necessario sottolineare con maggiore evidenza rispetto alla “narrazione” prevalente che:
– azioni di remediation ben mirate sono altrettanto prioritarie quanto quelle sulla mitigation
– l’effetto dei conti pubblici di molti Paesi, a cominciare dall’Italia sulla drastica riduzione delle accise sugli idrocarburi (e altri prelievi fiscali sugli idrocarburi) va quantificato prospettando dinamiche sostenibili; l’esempio di gestione di meccanismi quali ETS e certificati vari non è confortante e a livello UE le ricette proposte sono “variegate”
– più in generale occorre una programmazione dettagliata della transizione del modello energetico a livello UE (p. e. la transizione sulla mobilità e in particolare da auto con motore a combustione interna ad auto elettrica è stata e rimane confusa; la politica industriale UE sui pannelli fotovoltaici è stata disastrosa); alcuni “primati ” europei (mi riferisco alla pretesa di segnare la strada ) sono questionabili e mi ricordano i successi dell’avanzata napoleonica in Russia (se Usa, Cina, Russia, e qualcun altro come Corea “non seguono” , le conseguenze possono essere serie)
– va superata l’ambiguità in ambito UE sul ruolo del nucleare (la Francia dà un contributo decisivo all contenimento dell’impronta ambientale UE in termini di CO2) e sul ruolo del gas naturale la cui penetrazione, non solo in Europa, ha dato lo stesso effetto in aree decisive come gli Usa e la stessa Cina (trattare con un unico ostracismo tutte le fonti fossili – quindi il gas come il carbone- è irrealistico e può generare contraccolpi difficili da gestire).
In definitiva, insisto che la politica dell’UE su transizione energetica e su risposta ai cambiamenti climatici merita approfondimenti nella definizione di percorsi più meditati, realistici e condivisi. il volontarismo confuso e contraddetto dei fatti può essere molto rischioso oltre che inefficace. Alzare l’obiettivo e differirne il conseguimento a lunga scadenza senza chiarezza su obiettivi intermedi fattibili e verificabili (le ultime COP hanno avuto questo esito secondo me non brillante).
Il mondo ambientalista di cui Gianni Silvestrini è esponente da decenni è perfettamente in grado di dare contributi nel senso da me auspicato.