16 Marzo 2020

Energia 1.20: la presentazione del direttore

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“Finalmente il 2020”, “Prima e dopo la liberalizzazione elettrica”, “Un’immobile mobilità”, “I mercati energetici tra geopolitica ed oversupply”, “Quale circolarità energetica?”. Alberto Clô, presenta i contenuti del nuovo numero di Energia. Buona lettura!

Finalmente il 2020

Finalmente il 2020! Perché su quest’anno è stata traguardata la generalità degli scenari, delle previsioni, delle politiche. Ad iniziare dalla famosa o famigerata triade europea di obiettivi 20-20-20 da conseguire entro il 2020. Farci i conti sarà importante per verificare, da un lato, se essi sono stati raggiunti e, dall’altro, guardando al domani, se le politiche hanno saputo correggere gli scenari inerziali, il business as usual, verso quelli desiderati. Insomma se la politica è stata efficace. Esercizio complesso considerando le molte incertezze che attraversano lo scenario macroeconomico internazionale – come analizzato da Sergio de Nardis – con rischi di una prolungata bassa crescita. Quel che mal si concilia con l’implementazione della proposta di European Green Deal formulata dalla nuova Commissione (1) cui bisognerebbe destinare enormi investimenti – ben oltre i 2.600 miliardi euro stimati nel decennio in corso – per conseguire una carbon neutrality nel 2050 (2). Un orizzonte talmente lontano da rendere tutto verosimile e comunque incontrollabile, nonostante nell’energia l’arte della previsione raramente abbia colto nel segno per l’impossibilità a scontare gli eventi imprevedibili che ne fanno la storia, ad iniziare dalle innovazioni tecnologiche, che tanto più sono disruptive tanto più sono fuori dal campo del possibile, come si è visto nel numero 4.2019 di «Energia» relativamente alla shale revolution e come in questo numero analizza Michael Lynch, criticando le errate teorie o luoghi comuni che hanno attraversato e condizionato la storia dell’industria petrolifera.
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Contenere l’aumento della temperatura entro i 2 °C è semplicemente «impossibile» – William Nordhaus

Finalmente il 2020 anche per l’Italia! Di grande interesse è lo studio che pubblichiamo di Francesco Gracceva, Bruno Baldissara, Alessandro Zini, Daniela Palma dell’ENEA, che valuta la coerenza degli scenari «programmatici» delle SEN 2013, SEN 2017 e del PNIEC 2019 con l’andamento effettivo delle cose a fine 2019. Dal confronto scenari/risultati emerge che gli obiettivi nazionali/europei di maggior rilevanza (emissioni, rinnovabili, efficienza), sono stati nominalmente conseguiti ma grazie a tre non commendevoli ragioni: crisi economico-industriale, artifici contabili, sovrastima del prodotto interno loro.
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Prima e dopo la liberalizzazione elettrica

(…) L’icona inglese era il faro verso cui le liberalizzazioni nazionali dovevano convergere. (…) Sappiamo come è finita: con la Gran Bretagna divenuta icona del neo-dirigismo. (…) «Electricity markets are broken», i mercati elettrici si sono rotti – scrissero nel 2016 i ricercatori dell’Oxford Institute of Energy Studies (OIES)(9) analizzando le fasi usptream della filiera elettrica – e riaggiustarli è tutt’altro che facile. Sempre dell’OIES pubblichiamo l’articolo di Rahmatallah Poudineh, che si chiede cosa abbiamo imparato (o avremmo dovuto imparare) dai vent’anni della liberalizzazione del mercato retail,anche qui con le speranze deluse e la necessità di approntarne una riforma globale. Un argomento da noi poco dibattuto essendo l’unica preoccupazione quella di uscire dalla tutela.
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l’attuale situazione dei mercati retail evidenzia dinamiche concorrenziali ed un effettivo grado di maturità per l’accesso al mercato conseguito dai clienti di piccole dimensioni ancora limitato – ARERA

Un’immobile mobilità

Più da noi si dibatte, si invoca, si programma la «mobilità sostenibile», più le cose sembrano discostarsene. Mentre l’industria automotive nazionale (un decimo del PIL) soffre sotto il maglio dell’improbabile auto elettrica «dietro l’angolo» e dell’assurda e incontrastata demonizzazione del Diesel. Nonostante i grandi miglioramenti tecnologici che questo ha registrato e potrebbe registrare, come proposto nell’originale contributo – vincitore della seconda edizione del Premio di Studio dedicato alla memoria di Pasquale De Vita – di Valeria Di Sarli, Luciana Lisi, Almerinda Di Benedetto, Gianluca Landi. Le grida contro il Diesel, oltremodo enfatizzate dai media, hanno riportato in auge le auto a benzina, che nel 2019 sono cresciute del 18% contro un calo del 27% delle auto Diesel. Risultato: un aumento delle emissioni di CO2.
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A dire del Ministero dello Sviluppo Economico il parco auto potrebbe iniziare a ridursi sin da quest’anno di 800.000 unità (perché mai?) per portarsi a poco più di 36,5 milioni nel 2030, con le auto elettriche che potrebbero (dovrebbero?) aumentare a un ritmo di 400 mila unità/anno (40 volte quelle del 2019)

Utile per avere una visione d’insieme della mobilità in Italia è l’articolo di Giuseppina Fusco, Presidente della Fondazione Caracciolo, che presenta lo studio svolto in collaborazione con ENEA e CNR sulla transizione energetica di una mobilità auto definita come eco-razionale, che tenga cioè conto degli impatti socio-economici di medio-lungo periodo delle politiche in modo da minimizzare i costi a parità di risultato ambientale. Lo studio approfondisce le caratteristiche della mobilità nazionale e l’evoluzione dei sistemi di propulsione sulle emissioni prodotte nell’intero ciclo di vita dei veicoli (Life Cycle Assessment). Disegnando possibili scenari emissivi, fornisce valutazioni quantitative sullo sforzo che l’Italia dovrà affrontare per centrare l’obiettivo di riduzione delle emissioni imposto dai parametri comunitari.

L’oversupply dei mercati energetici tra geopolitica e coronavirus

È difficile rammentare una fase storica del mercato e dell’industria petrolifera mondiale così densa di shock inattesi come quelli accavallatisi nell’ultimo semestre (…) Degli aspetti geopolitici trattano in questo numero Gawdat Bahgat, Professore alla National Defense University di Washington, relativamente all’impatto sul mercato petrolifero internazionale del caos mediorientale, e Giampiero Massolo, alto diplomatico e Presidente di ISPI, che analizza l’aggravarsi della guerra civile in Libia quale esito di un «insuccesso di una “comunità” internazionale sempre meno “comunità” e sempre più frammentata».
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Un quadro che ha visto esasperati i limiti dell’azione italiana e l’impatto sui nostri interessi energetici non confinati al solo onshore tripolitano

Quale circolarità energetica?  

L’economia circolare – alternativa all’economia lineare: dalle risorse impiegate ai rifiuti – è espressione ormai entrata a pieno titolo nel vocabolario dell’economia energetico-ambientale quale tassello centrale dello sviluppo sostenibile. In grado, si sostiene, di riutilizzare le risorse impiegate così che, all’estremo, non sarà più necessaria alcuna attività estrattiva né si produrranno più rifiuti. Un contesto – si legge in una Comunicazione della Commissione europea – «in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo» e che «farà risparmiare energia e contribuirà a evitare danni irreversibili in termini di clima, biodiversità e inquinamento di aria, suolo e acqua, causati dal consumo delle risorse» (23).
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La complessità dei prodotti d’oggi, specie quelli elettronici, la loro più elevata intensità e diversità di materiali (circuiti integrati, schede stampate), e la loro spesso ridotta scomponibilità fanno tuttavia sì che solo una bassa percentuale del prodotto finale possa essere recuperata

L’articolo di Tullio Gregori e Jacopo Zotti dell’Università di Trieste ha l’obiettivo di analizzare teoricamente il concetto di economia circolare, riferita all’energia e alla materia. L’analisi mostra che l’energia ricavata tramite circolarità resta una frazione molto limitata dell’intero fabbisogno. Ambigui anche a livello teorico risultano, invece, gli effetti della circolarità della materia. Sia i processi di produzione circolare che quelli tradizionali (non circolari) richiedono, infatti, energia per il proprio funzionamento. L’impatto complessivo sul fabbisogno non è prevedibile a priori dipendendo dalla specifica strategia di circolarità, dall’intensità energetica dell’output circolare e del corrispondente non circolare, dal loro rapporto di sostituibilità, dalle interazioni del mercato e, in generale, dall’economia nel suo insieme. L’economia circolare, concludendo, è un’opzione certamente perseguibile, che attenua le emissioni climalteranti e costituisce un’opportunità di crescita delle imprese che vi si impegnano, ma depuriamola della retorica che spesso l’ammanta.

Il post è un estratto della Presentazione (pp. 2-7) di Alberto Clô di Energia 1.20.
Puoi leggere la presentazione integrale scaricando il 
pdf

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