26 Marzo 2020

Il coronavirus non è una ‘distrazione’

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Grandi preoccupazioni si levano per il futuro della transizione energetica. A partire da Fatih Birol e Ursula von der Leyen, per i quali la pandemia non deve essere una distrazione ma un’opportunità per accelerare. Ma parlare di coronavirus come di una ‘distrazione’ temporanea non è accettabile di per sé e tanto più da parte di chi, vestendo ruoli istituzionali, dovrebbe tener conto dell’interezza dei problemi maledettamente difficili che l’umanità intera si trova a dover affrontare, come prima mai accaduto. Perché questa è davvero la prima grande guerra mondiale.     

Se è fuor di discussione che le fonti fossili, in primis il petrolio, vanno conoscendo la più grave crisi d’ogni tempo, per le rinnovabili le cose non vanno molto meglio. Per la forte caduta dell’attività produttiva in Cina e nei paesi che vi dipendevano; per la flessione degli investimenti specie nel solare; per la chiusura di tutte le fabbriche del mondo automotive, per l’invertirsi dei rapporti di convenienza delle rinnovabili rispetto alle fossili.

Ma mentre della crisi delle fossili nessuno sembra curarsene, vedendola anzi come opportunità per disfarsene più velocemente, per le rinnovabili va diffondendosi la preoccupazione che il coronavirus possa minacciare la renewable revolution.

Non tanto per la flessione produttiva che si ritiene temporanea, ma per l’allentarsi dell’impegno dei governi in favore delle clean technologies. Preferendo, si lamentano, affrontare la crisi sanitaria e quella economica.

The (coronavirus) effects are likely to be temporary. Meanwhile, the threat posed by climate change (…) will remain. We should not allow today’s crisis to compromise our efforts to tackle the world’s inescapable challenge. – Fatih Birol, direttore esecutivo IEA

Crisi, ha scritto Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, che, “per quanto possano essere severe hanno effetti temporanei. Mentre la minaccia del climate change rimarrà”. Volgere gli sforzi verso quelle che indica come “immediate priorities” rischia a suo dire di “compromettere i nostri sforzi per fronteggiare un’inevitabile sfida”.

Per evitarlo, continua, bisognerebbe quindi volgere “l’eccellente opportunità” dei piani di stimolo delle economie che i governi stanno approntando verso le tecnologie pulite: solare, eolico, idrogeno, batterie, carbon capture. Bisognerebbe, sempre a suo dire, che i policy maker, gli investitori, i leader industriali, non fossero “distracted” (sic!) dal coronavirus. Al contrario, dovrebbero invece consolidare le politiche di incentivazione dell’efficienza energetica; eliminare i sussidi alle fossili così da contrastarne il crollo dei prezzi; proseguire nel sostegno alle nuove tecnologie. In sintesi: trarre dalla tragedia un’opportunità. Nelle sue parole, “Piuttosto che aggravare la tragedia ostacolando la transizione alle energie pulite, dobbiamo cogliere l’opportunità per accelerarle”.

Rather than compounding the tragedy by allowing it to hinder clean energy transitions, we need to seize the opportunity to help accelerate them – Fatih Birol, direttore esecutivo IEA

Le proposte di Birol, che dubito riflettano le posizioni dei suoi ‘azionisti’, sono in linea con quelle avanzate in questo mese dalla Commissione europea con tre comunicazioni – Climate Law, nuova strategia industriale, circular economy (documenti in fondo al testo) – sollecitando i parlamenti a darvi seguito, nonostante la loro paralisi.

Le proposte avanzate potrebbero costituire un’utile base di riflessione e discussione su come coniugare gli stimoli all’economia con lo sviluppo delle clean technologies, ma temo sia una possibilità fuori dall’attuale realtà delle cose per un fattore dirimente: il fattore tempo, non essendo dato sapere quanto durerà la tragedia che stiamo attraversando e le macerie che lascerà dietro di sé.

È possibile salvare, ricostruire, rilanciare tutte le imprese e le filiere produttive che intorno ad esse si strutturavano? Quali industrie riusciranno a sopravvivere in una competizione globale forse ristretta nei suoi confini ma proprio per questo ancor più aspra? È possibile farlo in un’ottica nazionale o è imprescindibile una visione europea che superi gli interessi nazionali? Riusciremo a mettere a fattor comune e aggregare i punti di maggior forza del Vecchio Continente anche nelle nuove tecnologie pulite?

Le priorità sono cambiate drasticamente

Domande cui non è possibile dar risposta perché tutto dipende dal fattore tempo. Da quando ne verremo fuori. In questa assoluta incertezza non si possono, allo stato delle cose, proporre e perseguire politiche come se niente fosse accaduto, come suggeriscono Birol o Ursula vor der Leyen. Perché le priorità sono cambiate drasticamente.

Per i governi: che devono primariamente impedire il tracollo delle economie, la distruzione di interi comparti industriali, la cancellazione di milioni di posti di lavoro, sostenere i redditi delle famiglie.

Per gli imprenditori: che vedono affossarsi i loro fatturati, nell’impossibilità di produrre, esportare, vendere, schiacciati da una grande crisi di liquidità.

Per le famiglie: improvvisamente impoverite.

Parlare di coronavirus come di una ‘distrazione’ temporanea non è accettabile di per sé e tanto più da parte di chi, vestendo ruoli istituzionali, dovrebbe tener conto dell’interezza dei problemi maledettamente difficili che l’umanità intera si trova a dover affrontare, come prima mai accaduto.

Perché questa è davvero la prima grande guerra mondiale.     


Alberto Clò è direttore della rivista Energia

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Foto: Pixabay

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