16 Marzo 2020

Libia: l’insuccesso di una “comunità” internazionale sempre meno “comunità”

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Dal sostegno militare della Turchia a Serraj all’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi; dal forzato rinvio della missione europea fortemente promossa da Italia e Germania all’avanzata di Putin sulla scena, in Libia sono sostanzialmente mutate le regole del gioco, in misura tale, sostiene Giampiero Massolo su Energia 1.20, da prefigurare un cambio di rotta rispetto alla strada percorsa in questi anni. Ma in quale direzione?

“In Libia, di nuovo un insuccesso di una «comunità» internazionale sempre meno «comunità» e sempre più frammentata”. Si apre con queste parole l’editoriale di Energia 1.20 a firma di Giampiero Massolo, presidente ISPI e Fincantieri e diplomatico italiano. Non che a Berlino fossero mancati progressi – “l’aver indotto i player più direttamente coinvolti nel conflitto a sottoscrivere impegni precisi” – ma la Conferenza non ha dato i frutti sperati.

“Non mancavano, del resto, indizi chiari di un mutamento sostanziale delle regole del gioco, tali da suggerire quanto meno un cambio di rotta rispetto alla strada percorsa in questi anni: dal via libera del Parlamento turco alla missione militare a sostegno del Governo del Presidente Serraj, all’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi fra lo stesso Governo di Azione Nazionale (GAN) e la Turchia; dal forzato rinvio a data da destinarsi della missione europea fortemente promossa da Italia e Germania, causato dalla determinazione di Haftar nel proseguire la sua offensiva, all’ingresso in prima persona di Putin nel novero dei primattori della crisi col bilaterale russo-turco di Istanbul l’8 gennaio”.

Cos’è la Libia oggi? Luogo d’elezione dello scontro, tutto interno alla galassia sunnita, fra due modelli diversi di Islam; laboratorio per l’attivismo degli attori non statali, come le tribù; terreno fertile per la regionalizzazione delle sigle jihadiste, come Daesh

Nonostante il cessate-il-fuoco fra i due schieramenti e l’avvio dei lavori su un progetto di risoluzione del Consiglio di Sicurezza, “Gli impegni sono stati rinnegati, i principi del Processo di Berlino violati, mentre l’ONU ha dato mostra, ancora una volta, della sua forzata inazione e la situazione sul campo ha continuato a deteriorarsi. (…) Forse, è il caso di prendere atto che il metodo seguito sin qui, imperniato sul ricorso acritico al contenitore multilaterale delle Nazioni Unite, è giocoforza improduttivo. Vuoi perché quel metodo è purtroppo strutturalmente in crisi (…) Vuoi più ancora, nel caso specifico, perché è figlio di letture parziali, quando non distorte, della vicenda libica”.

Punto, quest’ultimo, che vale “anche, se non soprattutto” nel caso dell’Italia: “L’avere vissuto la Libia come l’esame di maturità (…) ha finito più per esasperare i nostri limiti che per incoraggiarci alla visione strategica che quella crisi esigeva”, ovvero limitarsi a leggere la Libia attraverso il “prisma – pur doveroso ma limitativo – dei flussi migratori”, mentre si sono trascurati aspetti come i nostri interessi energetici, non confinati al solo onshore tripolitano ma che si estendono al Mediterraneo orientale, “dove le prospezioni petrolifere dell’ENI ci candidano ad un ruolo di assoluto rilievo e dove (…) è essenziale saper interloquire con tutti gli attori che contano per la finalizzazione del progetto Eastmed”.

Idea azzardata quella di giocare e vincere da soli una partita su terreni che ci sono tutt’altro che congeniali, per di più nell’illusione di tamponare a tempo indeterminato l’emergenza migratoria

La pressione migratoria sulle sponde settentrionali del Mediterraneo è però solo un “sottoprodotto collaterale” di quel che avviene il Libia, non sufficiente “a coagulare attorno ai nostri gli interessi nazionali altrui”. La vera posta in gioco riguarda infatti “l’insieme degli equilibri geopolitici e dei rapporti di forza in Africa e nel Broader Middle East and North Africa (BMENA) (…) e comprende, al tempo stesso, interessi sempre sottostanti e non sempre confessabili”: la ripartizione dei proventi energetici, la lucrosa gestione delle partecipazioni finanziarie, il controllo degli innumerevoli traffici illeciti.

Ma vi sono ancora margini per riportare la barca lungo una rotta a noi congeniale. “Il sostanziale fallimento dell’esercizio berlinese può ancora condurre ad una salutare eterogenesi dei fini. Se non altro, perché ci priva di ogni alibi e ci obbliga ad abbandonare la comfort zone delle deleghe a New York. (…) la logica di potenza di Ankara e Mosca ha riempito il vuoto lasciato dagli occidentali; ma ciò non toglie che stia ancora a noi incidere sugli effettivi margini di azione loro e degli altri guastatori regionali”.

Assai meno attrezzati della Francia nel decision making interno, abbiamo più di Parigi tutto l’interesse ad emanciparci dalla logica della competizione bilaterale strisciante di questi anni

Come? “È probabilmente ormai troppo tardi per un vero e proprio «concerto delle Potenze» strutturato” di cui avremmo avuto da guadagnarne, soprattutto se a trazione italo-francese, “Non è però tardi per individuare e porre in essere un meccanismo non troppo dissimile e con un obiettivo riveduto ed aggiornato, ossia imbrigliare la proiezione di potenza di quelli che ormai sono, e sono destinati a rimanere, i due attori che determineranno «in condominio» il futuro della Libia”

“Difficile, tuttavia, configurare quei presupposti finché lo scontro fra proxies, alimentato dall’afflusso continuo di armamenti e mercenari,continuerà a rimanere, nella percezione di chi oggi è in grado di influire davvero sul terreno quanto a rapporti di forza e postura delle parti, lo strumento più profittevole e praticabile per perseguire interessi, nutrire ambizioni e difendere linee rosse. Difficile, ma non impossibile (…)”


 Il post presenta l’articolo di Giampiero Massolo Libia: la parola torni agli Stati pubblicato su Energia 1.20

Giampiero Massolo è Ambasciatore, Presidente di Fincantieri e di ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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Foto: Cremlino


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