16 Marzo 2020

Filtri anti-particolato per motori Diesel: problemi e soluzioni

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I motori a combustione interna sono considerati una delle maggiori fonti di inquinamento atmosferico. Sotto la lente dei decisori politici e dell’opinione pubblica è finito, in particolar modo, il motore Diesel. Questo dopo il noto scandalo “Dieselgate” della Volkswagen. Eppure, il progresso tecnologico ha consentito di fare molti passi avanti. E molti altri se ne possono ancora fare, a partire dal sensibile miglioramento della tecnologia del filtro anti-particolato trattato su Energia 1.20 nell’articolo che presenta lo studio vincitore della II edizione del Premio “Pasquale De Vita”.

“I motori a combustione interna sono stati e sono ancora oggi considerati una delle maggiori fonti di inquinamento atmosferico. Tuttavia, grazie agli avanzamenti tecnologici degli ultimi decenni, legati anche alla spinta di regolamentazioni sempre più stringenti in materia di emissioni veicolari, sono stati compiuti molti passi avanti”. Si può infatti tranquillamente affermare che “Un veicolo di ultima generazione, rispondente alle normative Euro 6, in condizioni di funzionamento «normali», cioè quando il veicolo è stato avviato da un tempo sufficiente a riscaldare opportunamente i sistemi di abbattimento degli inquinanti con cui è equipaggiato, emette bassissime quantità di inquinanti”.

A sostenerlo, Valeria Di Sarli, Luciana Lisi e Gianluca Landi (CNR) e Almerinda Di Benedetto (Università Federico II) nell’introduzione dell’articolo pubblicato su Energia 1.20 in cui presentano lo studio che ha vinto la seconda edizione del Premio Pasquale De Vita. In particolare, nell’articolo, gli autori descrivono il funzionamento degli attuali filtri anti-particolato per Diesel, che già rispettano gli stretti limiti Euro 5 ed Euro 6, e illustrano i risultati di una loro recente attività di ricerca scientifica su filtri anti-particolato catalitici che consentono di superare anche le problematiche relative alla rigenerazione, che rimane la fase più critica nel funzionamento di questi sistemi anti-inquinamento.

Tra una sigaretta e un’auto Diesel di ultima generazione è la prima ad emettere in ambiente più particolato (nel fumo), oltre a una maggiore quantità di monossido di carbonio e idrocarburi incombusti.

Un motore, quello Diesel, che secondo gli autori “può giocare ancora un ruolo molto importante in un contesto di transizione energetica e mobilità sostenibile”, mentre bandirlo è “una scelta sbagliata con ricadute pesanti sui consumatori in termini economici, sociali ed ambientali”.

Peggio ancora bandirlo “in fretta” sull’onda emotiva suscitata dallo scandalo Dieselgate, la nota frode architettata da Volkswagen perché incapace di far rientrare le sue autovetture nei limiti divenuti molto più stringenti. Questi infatti erano risultati immutati nel passaggio da Euro 5 a Euro 6 per le emissioni di particolato (PM) – in quanto già diminuiti di circa 30 volte da Euro 1 a Euro 5 – ma avevano subito una drastica riduzione per le emissioni di ossidi d’azoto (NOx), mettendo in difficoltà la casa automobilistica tedesca.

La “demonizzazione” non è la strada giusta. I motori Diesel “presentano indubbi vantaggi che li rendono ancora competitivi soprattutto sulle lunghe distanze, quali maggiore efficienza e ridotte emissioni di CO2 rispetto ai motori a benzina (tipicamente consumano il 20-25% di carburante in meno)”. D’altra parte, “I motori Diesel producono una maggiore quantità di particolato rispetto ai motori a benzina”. Per questa ragione, la ricerca condotta dagli autori si concentra sul filtro anti-particolato per Diesel.

Il significativo impatto ambientale dei Diesel è legato principalmente a: elevata età media del parco auto; scarsa o cattiva manutenzione dei sistemi di abbattimento degli inquinanti; condizioni di funzionamento «transitorie», in particolare all’accensione, quando l’autoveicolo e tutti i sistemi di abbattimento sono ancora «freddi».

Per comprendere quali siano le problematiche ancora aperte che stimolano la ricerca a migliorare la tecnologia del filtro anti-particolato per motori Diesel, l’articolo propone innanzitutto una breve panoramica sul suo funzio­namento (par. 1. Principio di funzionamento del filtro anti-particolato). “Un filtro anti-particolato (Fig. 3) è realizzato in materiale ceramico, tipicamente cordierite, anche se, più di recente, si sta diffondendo l’utilizzo del carburo di silicio. È costituito da migliaia di canali paralleli a sezione quadrata, con le estremità opposte di canali adiacenti tappate in maniera alternata. In pratica, un canale aperto all’ingresso dei gas di scarico è chiuso all’uscita, al contrario i canali adiacenti sono chiusi all’ingresso e aperti all’uscita”. Questa speciale configurazione forza i gas di scarico a passare attraverso le pareti dei canali del filtro – si parla, pertanto, di configurazione con «flusso a parete» – che intrappolano le particelle di particolato sia al loro interno (le pareti sono porose) sia sulla loro superfice esterna sotto forma di uno strato che è definito «torta filtrante».

“All’aumentare della quantità di particolato intrappolato nel filtro, aumentano le perdite di carico attraverso il filtro stesso, ossia aumenta la pressione dei gas all’ingresso del filtro. Ciò abbassa la potenza disponibile per la trazione. È necessario, quindi, eliminare il particolato intrappolato nel filtro. La fase di rimozione del particolato è definita «rigenerazione» del filtro. Questa fase avviene mediante combustione (ossidazione) del particolato che è costituito essenzialmente da particelle carboniose, il cosiddetto «soot»” (par. 2. Rigenerazione del filtro anti-particolato: termica e catalitica).

“La rigenerazione del filtro anti-particolato viene condotta, generalmente, per via termica (e) consiste nell’innalzare la temperatura dei gas di scarico inviati al filtro al di sopra dei 600°C, per consentire la combustione del soot ad opera dell’ossigeno presente in fase gas”. La rigenerazione termica comporta una serie di svantaggi: “Implica, innanzitutto, elevati costi energetici e richiede l’installazione di complessi sistemi di riscaldamento e controllo (il suo decorso) può essere caratterizzato, in alcune condizioni, da escursioni termiche molto elevate che possono danneggiare irrimediabilmente il filtro (e) non garantisce la completa ossidazione del soot ad anidride carbonica”, cosa quest’ultima che determina la “produzione non trascurabile di monossido di carbonio (e quindi) seppur limitatamente al breve tempo della rigenerazione, l’emissione di un inquinante altamente tossico”.

“Per ovviare alle problematiche della rigenerazione termica, è stata proposta la rigenerazione catalitica. Per filtro catalitico si intende un filtro configurato sempre con «flusso a parete», ma contenente, disperso sul materiale ceramico che rappresenta il supporto, un catalizzatore, cioè una sostanza che rende possibile l’ossidazione del soot a temperature inferiori (250-550°C) rispetto alle temperature richieste dall’ossidazione termica (> 600°C)”.

La rigenerazione catalitica può comportare un consistente risparmio energetico, dal momento che richiede non solo temperature inferiori, ma anche tempi più brevi.

Con una trattazione tecnica dettagliata che può risultare di difficile comprensione per i non addetti ai lavori, gli autori discutono innanzitutto l’aspetto cruciale per un’efficace rigenerazione catalitica (par. 3. Problema del contatto soot-catalizzatore), per poi descrivere la loro attività di ricerca attraverso la sperimentazione condotta e i principali risultati ottenuti che possono contribuire “in maniera significativa al miglioramento della sostenibilità ambientale del motore Diesel” (Box – Racconti dal laboratorio: metodologia di ricerca; Risultati della ricerca: caratterizzazione; Risultati della ricerca: prove di rigenerazione).

La ricerca consente di trarre conclusioni importanti (par. 4. Ottimizzazione del contatto soot-catalizzatore e passaggio al funzionamento in continuo del filtro catalitico). “L’elevata dispersione del catalizzatore all’interno delle pareti del filtro, accoppiata all’assenza della torta filtrante, consente di ottimizzare il contatto soot-catalizzatore, con conseguente significativo abbassamento della temperatura richiesta dalla rigenerazione”. D’altra parte, la torta filtrante rappresenta la gran parte del soot intrappolato nel filtro. “Tutto ciò apre la strada al passaggio dall’attuale modalità discontinua di rigenerazione del filtro catalitico (con rigenerazione condotta a valle della filtrazione) alla modalità continua, con rigenerazione condotta in parallelo alla filtrazione. (…) In altre parole, il filtro, operando in modalità continua di filtrazione/rigenerazione, non risulterà mai «intasato»”.

La scarsa disponibilità di investimenti pubblici, associata alla presenza preponderante di piccole e medie imprese nel tessuto imprenditoriale del nostro Paese, favorisce il finanziamento di progetti di ricerca a rischio medio-basso.

Nelle conclusioni, gli autori si soffermano sulle implicazioni tecnico-ingegneristiche della loro ricerca e anche su di un problema che attanaglia il nostro Paese, non solo sul fronte della mobilità: la carenza di investimenti in ricerca (par. 5. Considerazioni finali). “Un filtro anti-particolato (catalitico) operante in continuo a temperature relativamente basse, infatti, garantirebbe la rimozione del particolato superando tutte le problematiche del processo discontinuo. Questo tipo di tecnologia è in una fase di sviluppo iniziale ed ha, pertanto, un livello di maturità tecnologica molto basso. Un suo rapido sviluppo dovrebbe essere sostenuto da investimenti in ricerca, sia pubblici sia privati, significativi. In Italia, purtroppo, gli investimenti in ricerca si limitano a circa l’1,3% del PIL, come emerso dall’ultimo Rapporto del Centro Economia Digitale su Ricerca e Sviluppo nel nostro Paese. Un dato questo non solo inferiore alla media europea, ma sostanzialmente invariato negli anni”.


Il post presenta l’articolo di Valeria Di Sarli, Luciana Lisi, Almerinda Di Benedetto e Gianluca Landi, Filtri Anti-Particolato per Diesel: Problemi Attuali e Nuove Soluzioni (pp. 66-73) pubblicato su Energia 1.20.

Valeria Di Sarli, Luciana Lisi e Gianluca Landi sono ricercatori presso l’Istituto di Ricerche sulla Combustione (IRC) del CNR di Napoli. L’IRC confluirà nel nuovo Istituto di Scienze e Tecnologie per l’Energia e la Mobilità Sostenibili (CNR-STEMS).

Almerinda Di Benedetto è professore presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

La ricerca descritta nell’articolo è vincitrice della II edizione del Premio di Studio “Pasquale De Vita”.

I Premi Giornalistico e di Studio “Pasquale De Vita” sono un’iniziativa ACI, Unione Petrolifera, Sara Assicurazioni in collaborazione con la rivista Energia.

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Foto: Pixabay

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