Qual è lo stato di attività dell’economia italiana? Quante e quali imprese sono effettivamente aperte? Difficile districarsi nel bailamme di decreti, indicazioni e FAQ che vanno a comporre un elenco mai davvero chiuso. Termometro indiretto dell’economia del Paese, i consumi elettrici possono aiutare ad orientarsi dando un’indicazione temporale. Conteggiare gli ATECO presenti sulla piattaforma AIDA BvD può dare invece un’indicazione quantitativa. Numeri e considerazioni che invitano alla cautela nella lettura dei dati, soprattutto in prospettiva della velocità di riapertura legata alla cosiddetta “Fase 2”. Anche perché un ruolo chiave lo giocherà la domanda.
La diffusione del nuovo coronavirus Sars-CoV-2 nel nostro Paese in poche settimane ha determinato un’emergenza sanitaria senza precedenti nella storia recente. L’epidemia ha ineluttabilmente contagiato l’economia con la contrazione dei consumi di numerosissimi beni e servizi. Per contenere il propagarsi del contagio l’Italia si è progressivamente fermata: alla clausura forzata delle persone, che ormai ha superato i 40 giorni, si è affiancato il fermo delle attività produttive e la chiusura della maggior parte degli esercizi commerciali.
Al decreto-legge n. 6 del 23 febbraio e al DPCM dello stesso giorno, sono infatti seguiti una messe di altri DPCM recanti “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica”. Le regioni del Nord iniziano a rallentare le loro attività, d’intesa con il Ministero della Salute vengono emanate varie ordinanze regionali: bar, locali notturni e esercizi di intrattenimento dovranno chiudere dalle 18 alle 6 del mattino.
I consumi elettrici possono considerarsi un termometro indiretto dell’economia del Paese
Tra i consumi subito infettati anche quelli elettrici, che peraltro possiamo considerare anche un indiretto termometro dell’economia del Paese. Nell’ultima settimana di febbraio Terna ha calcolato una flessione (epurata dell’effetto temperatura) del 1% rispetto al 2019. Flessione che si è ridotta allo 0,5% nella prima settimana di marzo, probabilmente dovuta anche agli effetti del DPCM del 4 marzo, che oltre al divieto di eventi e raduni in mancanza di un metro di distanza tra i partecipanti, ha imposto la chiusura di scuole e università in tutta Italia.
Dal 9 marzo – in concomitanza con i Dpcm dell’8 marzo (misure restrittive per Lombardia e 14 province del Nord) e del 9 marzo (Italia intera) – la flessioni si sono fatte significative, per arrivare al 24% nella settimana 23 – 29 marzo (dati Terna epurati), dove si sono visti gli effetti del Dpcm del 22 marzo, evocativamente ribattezzato “Chiudi Italia”, contenete la dibattuta lista delle filiere essenziali da tenere ancora “aperte”.
Ma quante sono le imprese rimaste aperte?
Un elenco in cui non è facile districarsi anche perché non è mai stato davvero chiuso. L’OCSE stima che le attività ritenute essenziali e che quindi possono (devono) continuare ad operare corrispondano a circa il 30% degli impieghi privati. Stime precise sono difficili in quanto i DPCM, oltre a identificare in modo espresso delle attività attraverso i codici ATECO e riferimenti normativi (vedi i servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146 art.2, comma 3), lasciano spazio alle aperture di una serie di attività non nominate previa una comunicazione alle prefetture di competenza. Il DPCM del 10 aprile ad esempio prevede la possibile apertura di:
- impianti a ciclo produttivo continuo;
- attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, incluse le lavorazioni, gli impianti, i materiali, i servizi e le infrastrutture essenziali per la sicurezza e il soccorso pubblico;
- attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale;
- ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza;
- le filiere funzionali a garantire il funzionamento delle attività ritenute essenziali e di quelle dei due punti precedenti.
Attività, come mense e alberghi, non compaiono negli elenchi ATECO, ma sono in ogni caso consentite ai sensi dei vari decreti. Altre, infine, come i noleggi di autovetture o le erboristerie, non sono espressamente nominate, ma possono comunque restare aperte stando alla sezione “FAQ” del sito della Presidenza del Consiglio, che forse ad oggi rappresenta la fonte più completa. Anche per quel che concerne attività sospese, come la ristorazione, il calcolo non è semplice, in quanto sono consentite le consegne a domicilio. Basti pensare che soltanto sulla piattaforma Deliveroo risultano attivi più di 11.000 esercizi in tutta Italia.
910.958 le attività cui il DPCM del 10 aprile consentirebbe di aprire in base alle categorie ATECO conteggiate su AIDA (su un totale di poco più di 2 milioni di società di capitale attive in Italia)
Contando esclusivamente gli ATECO presenti sulla piattaforma AIDA BvD, il DPCM 10 aprile coinvolge 910.958 attività, in aumento rispetto alle 858.489 del DM 25 marzo, su un totale di poco più di 2 milioni di società di capitale attive in Italia. Dai dati diffusi dal Viminale risulterebbero pervenute al 15 aprile 105.727 comunicazioni ai prefetti, per cui la platea di imprese potenzialmente aperte rappresenterebbe circa il 50% del totale.
Potenzialmente, in quanto il proseguimento delle attività è anche legato a valutazioni di carattere commerciale e in secondo luogo dalla capacità di garantire l’operatività in condizioni di sicurezza. Non è un caso che grandi imprese – come ad esempio Electrolux, Fincantieri, FCA – abbiano annunciato la ripartenza degli impianti dopo essere riuscite a riorganizzare la produzione in chiave Covid-19.
La decisione di riaprire è legata a valutazioni di carattere commerciale e dalla capacità di garantire l’operatività in condizioni di sicurezza
Un attivismo che sembrerebbe attestato anche dai consumi elettrici, che, pur continuando ad essere significativamente inferiori rispetto allo scorso anno, mostrano dei segnali di stabilizzazione e ripresa, specie nel confronto settimana su settimana, come osservabile nella Figura.
Curioso l’andamento delle giornate di Pasqua e del lunedì dell’Angelo (“Pasquetta”): rispetto al 2019 si nota un minor calo dei consumi, probabilmente dovuto allo stare tutti chiusi in casa, per contro il lunedì di Pasqua di quest’anno rispetto al lunedì precedente mostra una significativa flessione che parrebbe dimostrare come il Paese del tutto fermo non è. Né in effetti potrebbe esserlo, basti pensare ai supermercati.
La ripresa non sarà legata soltanto all’offerta, ma anche e soprattutto alla domanda, perché “il solo rimedio davvero sicuro alla recessione è una domanda robusta da parte del consumatore”
Tutti questi numeri e considerazioni dovrebbero, tuttavia, invitare a una cauta lettura dei dati e, in prospettiva, della velocità di riapertura legata alla cosiddetta “Fase 2” e conseguente ripresa dei consumi, anche elettrici. Ripresa che non sarà legata soltanto all’offerta, ma anche, e soprattutto, alla domanda nazionale e internazionale di prodotti e servizi.
In un contesto in cui gli spostamenti delle persone saranno ancora fortemente limitati e di perdurante incertezza sul futuro, immaginare che dichiarare semplicemente le attività “aperte” corrisponda a una ripresa immediata della produzione a livelli pre-lockdown è quanto meno semplicistico. Non è un caso che in Cina, ad esempio, i consumi di carbone delle centrali elettriche secondo il Financial Times siano tornati al 90% dei livelli 2019 nonostante virtualmente siano state revocate tutte le misure restrittive.
Come ebbe a scrivere nel suo ultimo libro J.K. Galbraith “il solo rimedio davvero sicuro alla recessione è una domanda robusta da parte del consumatore, così come la debolezza della domanda è la recessione”.
Il Fondo Monetario Internazionale nel suo recente aggiornamento del World Economic Outlook, a fronte di una contrazione del 9,1% del PIL italiano nel 2020 prevede una crescita del 4,8% nel 2021, il che significa che la nostra economia corre il rischio di essere tra due anni di oltre il 4% più piccola rispetto al gennaio scorso.
Le previsioni economiche sono tutt’altro che una scienza esatta, cionnondimeno si potrebbero aprire alcune riflessioni nel caso di persistente debolezza della domanda aggregata in generale ed elettrica in particolare. Per esempio, di fronte a un crollo dei consumi e dei prezzi (il PUN medio tra il primo e il 17 aprile ha toccato i 24,25 €/MWh) per quanto tempo potranno reggere i produttori termoelettrici? È giusto che di fronte a uno shock del genere i produttori rinnovabili continuino a percepire indisturbati (pre)determinati incentivi, o forse si potrebbe ridurli temporaneamente come misura per abbassare le bollette senza mettere a rischio i delicati equilibri del sistema?
Antonio Sileo è Direttore Osservatorio Innov-E dell’Istituto per la Competitività (I-Com) e Fellow presso GREEN dell’Università Bocconi
Niccolò Cusumano è Associate Professor of Practice di Government, Health and Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management
Sul tema Coronavirus e consumi elettrici leggi anche:
L’impatto del COVID-19 sul carico elettrico nazionale/2, di Ettore Bompard, Carmelo Mosca, Salvatore Cellura, Stefano Corgnati, 1 Aprile 2020
L’impatto del COVID-19 sul carico elettrico nazionale, di Ettore Bompard, Stefano Corgnati, Carmelo Mosca, 19 Marzo 2020
Foto: Pixabay
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