14 Aprile 2020

Cambiamenti climatici e COVID-19: cigni o rinoceronti?

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L’epidemia di coronavirus e il riscaldamento globale seguono dinamiche incredibilmente simili. È la velocità con cui dispiegano i loro effetti a distinguerli. Ed è proprio la rapidità con cui si diffonde il contagio che dovrebbe aprirci gli occhi sul potere dirompente della dinamica esponenziale. La stessa cui potremmo trovarci ad assistere con il peggioramento della crisi climatica. Se continueremo ad ignorare il grosso mammifero grigio che punta dritto verso di noi.

Quando Sapiens si trova davanti ad una nuova minaccia, che evolve seguendo una dinamica esponenziale, deve fare i conti con la finitezza della sua capacità di gestirla: gli esperti suonano il campanello di allarme, dicendo che possiamo farcela ma solo se agiamo in fretta e in modo efficace. Le misure da mettere in atto però sono straordinarie e tutt’altro che indolore: comportano un cambio di paradigma amaro e senza precedenti. Ma soprattutto, rispetto allo stato attuale, possono sembrare esagerate, non commisurate a come appare ora la realtà; questo accade perché sono calibrate per il picco di intensità del problema e servono a prevenire il tipping point, il punto di non ritorno.

Quanto detto vale non solo per l’attuale epidemia di COVID-19, ma anche per il riscaldamento globale. Entrambe le minacce, in effetti, seguono dinamiche incredibilmente simili. E siccome tempo e denaro sono risorse scarse, anche per combattere queste sfide, e decidere dove e come destinarle è estremamente importante, meglio agire sfruttando le sinergie, per rendere efficiente la nostra lotta sia in termini di velocità delle azioni, sia in termini di “return on investment”.

Se il problema non può essere completamente eradicato, occorre trovare modo di gestirlo

In entrambi i casi, il problema non può essere completamente eradicato: dobbiamo trovare modo di gestirlo. Nel caso di COVID-19, l’obiettivo è contenere il numero di malati in modo che le strutture ospedaliere non vadano al collasso. Sul fronte del cambiamento climatico, cerchiamo di limitare a 2°C l’aumento delle temperature, nella speranza che gli eventi estremi e i danni che ne derivano rimangano entro un range accettabile.

La differenza, non di poco conto, è la velocità: per gli amanti di Star Trek, COVID-19 è il cambiamento climatico a velocità warp. Per il virus parliamo di giorni, per la CO2 parliamo di anni; per il picco dei contagi parliamo di settimane decisive, per quello delle emissioni decisiva è la prossima decade. Il ritardo nel prendere la decisione giusta, su entrambi i fronti, può costare caro.

In entrambe le situazioni, la comunità scientifica indica la via da seguire mentre la politica tentenna. In questa pandemia abbiamo visto i grandi leader politici fare inversione di rotta in meno di una settimana: Boris Johnson, Donald Trump, Emmanuel Macron, Stefan Löfven dopo avere adottato un approccio “morbido” si sono trovati a cambiare strategia, restringendo le misure non appena la curva dei decessi ha iniziato a mordere. La learning curve, in questa pandemia, si è dimostrata più ripida che mai. Ora che abbiamo sperimentato il potere dirompente della dinamica esponenziale, dobbiamo applicare questa consapevolezza alla crisi climatica.

Ora che abbiamo sperimentato il potere dirompente della dinamica esponenziale, sapremo affrontare con maggior consapevolezza la crisi climatica?

Perché non siamo riusciti ad anticipare le misure necessarie?
Perché, nonostante tutto il mondo avesse visto quello che succedeva in Cina, nessun paese è riuscito a evitare il rischio?
Perché nessuno ha avuto l’intuizione di agire in base allo scenario peggiore e non in base alla situazione contingente?

Il nemico non si vede, ma non per questo è meno pericoloso: per spostare la traiettoria in modo deciso, per appiattire la curva, serve la mano pesante, non il cesello. I consigli e le raccomandazioni sui comportamenti da tenere non sono serviti: sono arrivati i divieti, gli obblighi e le sanzioni. Ecco che nuovamente il parallelo con il cambiamento climatico è evidente.

Come ha osservato Michele Wucker nel suo libro “The Gray Rhino”, questa inerzia ha radici politiche, strutturali e psicologiche: “Heading off a risk is risky in and of itself”. La classe politica ha più paura di fare la mossa sbagliata che di non fare nulla. D’altra parte il più delle volte gli elettori premiano un politico per come ha risolto un problema, non per essere riuscito ad evitarlo. Questo ovviamente è un incentivo per posporre, a decidere di non decidere: esattamente ciò che avviene periodicamente alle conferenze sul clima.

La classe politica ha più paura di fare la mossa sbagliata che di non fare nulla

Le sinergie tra le misure di intervento per la ripresa economica e quelle di sostegno alla transizione energetica ci sono, ma non si verificano per caso: vanno ricercate e perseguite con chiara volontà politica. Vanno ricercate soprattutto negli ambiti in cui non si crea conflitto di priorità, rendendo impopolare la decisione. Se metto sul piatto della bilancia le tante piccole attività che sono sull’orlo del fallimento per la chiusura forzata e i sussidi per l’istallazione dei pannelli solari, avendo a disposizione una coperta cortissima, la scelta sembra indubbia. Ma vi sono tanti altri co-benefici che possono essere individuati: dopo la crisi finanziaria del 2008, l’amministrazione Obama investì 2,7 miliardi di dollari per interventi di protezione contro gli eventi estremi sulle abitazioni di oltre 340.000 famiglie a basso reddito (il cosiddetto Weatherization Assistance Program – WAP). A posteriori, il programma ha contribuito a creare occupazione, ridurre le emissioni di CO2, far risparmiare alle famiglie più di quanto è costato in termini di bollette e spese mediche. 

Ora spetta a noi trarre le conclusioni che riteniamo più opportune: questa epidemia è uno dei famosi “cigni neri” – un evento di grandissimo impatto ma con una probabilità di accadere così piccola da non poter essere previsto – o un meno conosciuto “rinoceronte grigio” – un evento di grandissimo impatto e altissima probabilità, ma che per qualche motivo è vittima di negazione collettiva?

Con “rinoceronte grigio” si fa riferimento a un minaccia dall’impatto massivo, altamente probabile, ma ripetutamente (e ostinatamente) trascurata

In un’intervista a Bloomberg a proposito della pandemia, lo stesso Nassim Nicholas Taleb, che ha coniato l’espressione “cigno nero”, ha commentato “[I am] so irritated that people would say it is a ‘black swan’.” A suo parere, l’attuale pandemia non è infatti un cigno nero: “Manca una connotazione essenziale: l’imprevedibilità. Erano anni che la comunità scientifica avvertiva che prima o poi sarebbe scoppiata un’epidemia globale. Già ai tempi di Ebola si temette: non si diffuse perché si era sviluppato in un posto non troppo collegato col resto del mondo, ora invece l’epicentro è stato nel paese interconnesso per antonomasia”.

Più corretto allora parlare di “rinoceronte grigio“, come ribadito dall’autrice Michele Wucker: “Given what we know about pandemics and their increasing likelihood, outbreaks are highly probable and high impact. I coined the term “gray rhino” for exactly such events: obvious, visible, coming right at you, with large potential impact and highly probable consequences.”

Da più parti si sente dire che usciremo migliorati da questo periodo. Un ottimo modo per dimostrarlo sarebbe sfruttare ciò che stiamo imparando dalla crisi di oggi per gestire al meglio quella di domani: la crisi del clima e le sue prossime, inevitabili, conseguenze.

Smettendo di ignorare il rinoceronte che punta dritto verso di noi.


Stefania Migliavacca insegna presso Eni Corporate University

Le opinioni espresse in questo articolo sono personali dell’autore e non rispecchiano la posizione dell’azienda per cui lavora


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Foto: Pixabay

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