Come andrà a finire? Che ne sarà del debito pubblico? Quanta disoccupazione, quanta povertà e quanta protesta sociale genererà Covid-19? Riusciranno politica fiscale e monetaria a curare l’economia? Se le innumerevoli questioni che attanagliano il nostro futuro ce lo rendono difficile da immaginare, per ritrovare fiducia può servire – senza distogliere l’attenzione dal presente – appellarsi alle lezioni della Storia. Perché neanche questa volta finisce qui.
Quando finirà? Dovremo aspettare un anno e mezzo per il vaccino, oppure è congetturabile un’accelerazione che porti alla diffusione del vaccino già entro l’autunno 2020? E in subordine, vi è la domanda su come vivremo in questo periodo di transizione. Se le mascherine diverranno uno standard diffuso di questa “vita di mezzo” che ha preso possesso delle nostre esistenze e le conduce. Dietro a tutto ciò, però, sta la domanda terribile: come andrà a finire? Cosa saremo diventati al termine di questa epidemia? Quanta disoccupazione, quanta povertà e quanta protesta sociale genererà Covid-19?
La domanda ne ricorda una simile: come finirà? Che è anche il titolo di un libro di Jacques Attali, economista, saggista, già consigliere del Presidente ai tempi di Mitterand all’Eliseo. Era il 2010 quando Attali scrisse il suo libro che in francese aveva un titolo ancor meno rassicurante: Tous ruinés dans dix ans? (Tutti rovinati tra dieci anni?). Il tema è lo stesso di oggi e ancor più di domani, quando la tempesta sarà cessata, perché il soggetto è il medesimo: l’esplosione del debito pubblico.
Tipica dei tempi moderni, la questione del debito pubblico affligge in realtà le istituzioni fin dall’antichità
Dieci anni fa, di fronte alla sua crescita forsennata, Attali si chiedeva come sarebbe andato a finire questo problema tipico dei tempi moderni, ma forse anche delle epoche passate. Perché è un problema che esiste da sempre, dai tempi della polis greca e dell’impero romano, per raggiungere aspetto moderno con la Serenissima quando nel 1262 Reniero Zeno, 45° Doge di Venezia, istituisce il Tesoro Pubblico denominandolo Monte – già da subito il debito pubblico assume l’immagine di una montagna! – e induce i ricchi patrizi a prestare alla Repubblica a un tasso fisso del 5% annuo.
Ma oggi è oggi, ed è di questo che dobbiamo preoccuparci perché la bolla del debito si gonfia ogni giorno di più, soffiata dal virus malefico. Cos’altro dovrebbero fare, d’altra parte, i governi di tutto il mondo, se non immettere liquidità nel sistema per cercare di sostenere chi ha perso il lavoro – in America, in un pugno di giorni, i disoccupati si sono moltiplicati per 20 passando da 320.000 a 6,6 milioni – e di rianimare il corpo floscio dell’economia mondiale?
Fonte: Vox
Perché questo virus entra non solo nei polmoni delle persone, ma in quelli delle fabbriche, degli aerei, del turismo, dell’economia intera. Ed ecco allora che la medicina convenzionale degli economisti corre a soccorrere questo malato incurabile e lo fa con le due cure di sempre, la politica monetaria e la politica fiscale.
Riusciranno politica monetaria e politica fiscale a curare l’economia malata?
Ma il paziente non reagisce perché il morbo che lo affligge è nuovo e i tradizionali antivirali non funzionano. Ecco dunque che, come fosse un paziente su un letto di ospedale, gli soffiano l’ossigeno della liquidità nei polmoni, per tenerlo in vita. Il malato è supino sul letto e non dà segni di vita. Non c’è altro da fare che soffiargli altro ossigeno. Stessa risposta, nessuna reazione.
D’altronde come è possibile una reazione quando 3,4 miliardi di persone nel mondo sono bloccate nelle loro case, inattive, passive, immobili, qualora non salvate dalla possibilità dello smart working? Tutto l’armamentario dell’economia è cosa vana perché oggi non si pone la questione di una macchina che non riparte perché gli stimoli non sono efficienti oppure perché l’iniziativa imprenditoriale langue. Semplicemente la macchina è in garage, bloccata, e là dovrà rimanere fino a che il virus non si sarà tolto di mezzo.
Null’altro che azione è il reddito, azione tradotta in moneta. Ma ora quell’azione non c’è: è ferma, stroncata dal virus nefasto. Ed ecco che tutto collassa. Crisi violenta, ma soprattutto crisi nuova che rompe qualsiasi paradigma dell’economia tradizionale. Nessun paragone qui vale, con la crisi del 2008 o con la Grande Crisi del ’29.
Steinbeck avrebbe poco da scrivere oggi, perché non c’è nessun camion fumoso che si mette in marcia sulla Route 66 con il suo carico di disperazione e di speranza. Tutti i camion e tutte le auto sono ferme, l’unico viaggio che si potrebbe compiere, oggi, è quello interiore. E puntualmente, i novelli Steinbeck lo compiono, all’interno di una casa e prima ancora in sé stessi.
Intanto il virus avanza: i numeri che all’inizio ci sembravano alti oggi appaiono minuscoli. Sempre più i morti giornalieri delle nazioni si contano sulle tre cifre e si è già arrivati alle quattro.
Ad ogni mese di blocco corrisponde una caduta del 2% del PIL
Crescono i caduti e cresce la recessione mondiale. Secondo l’Ocse, ad ogni mese di blocco corrisponde una caduta del 2% del PIL. E tutto ciò accade in un periodo non splendido. Siamo entrati in questa crisi sanitaria come un’auto con le ruote sgonfie e il motore in affanno che improvvisamente ha dovuto abbandonare la striscia d’asfalto e si è ritrovata nel fango. I bilanci degli Stati sono sfondati. Gli Stati Uniti hanno un livello di debito pubblico secondo solo al periodo dell’ultima guerra mondiale. Anche gli altri paesi non se la passano bene.
Fonte: Wikipedia
Fonte: Breakingviews
Prendi a prestito quando sei in crisi, ma non farlo in situazioni di normalità: questo vuole il buon senso
Germania e Cina sono tra i più virtuosi, se virtuosi possono chiamarsi paesi con debiti pubblici intorno al 60% del PIL. Prendi a prestito quando sei in crisi, ma non farlo in situazioni di normalità: questo vuole il buon senso. E tuttavia negli anni – spinti da un misto di inefficienza e frenesia della spesa clientelare – è accaduto l’opposto e così i bilanci degli Stati si sono sfondati e i debiti pubblici sono diventati null’altro che meccanismi di trasmissione della dissennatezza presente sulle spalle della generazione futura.
Perché “il debito pubblico è un debito delle generazioni attuali verso le successive, che finiscono sempre per pagare in un modo o nell’altro”, come scriveva Attali dieci anni fa nella prima lezione che egli ricavava dalla storia del debito pubblico. Oggi quegli stessi Stati devono prelevare altre risorse da quei bilanci già molto sofferenti, ma i soldi non ci sono. Ed ecco che la politica monetaria viene in sostegno di quella fiscale, con le banche centrali che rispolverano bazooka in realtà mai dismessi, tenuti sempre a portata di mano.
Fonte: Wolfstreet
La massa monetaria si espande – senza limiti nel caso degli USA – e va a comprare quei debiti pubblici crescenti che devono soccorrere i bilanci distrutti di famiglie senza più un reddito. Dunque, la moneta compra il debito pubblico che compra il debito privato nella speranza ultima di poter comprare la pace sociale.
La moneta compra il debito pubblico che compra il debito privato nella speranza ultima di poter comprare la pace sociale.
Alla fine, il debito privato diventa pubblico, ma sempre debito resta. E qui torna la domanda terribile? Come andrà a finire? Come faranno gli Stati a rimanere credibili e solventi quando i rapporti debito pubblico/PIL saranno cresciuti di 10 o 20 punti percentuali, come ipotizza Morgan Stanley per l’Italia.
E se i punti fossero 30 0 40? In ultimo, come ci ricorda la decima lezione tratta da Attali nella sua storia del debito pubblico, “il riassorbimento del debito sovrano passa attraverso otto strategie fra le quali, quasi sempre, l’inflazione (…) più imposte, meno spese, più crescita, riduzione dei tassi d’interesse, più inflazione, una guerra, un aiuto esterno o un fallimento. Tutti questi mezzi sono stati e saranno utilizzati. Non ne esistono altri”
È chiaro che stiamo entrando in una nuova era dagli esiti tremendamente incerti. Forse si convergerà su quella stranezza che è il modello giapponese, come prospettato da un bell’articolo apparso sull’Economist: debito pubblico elevato finanziato da espansione monetaria, senza effetti inflazionistici.
Oppure, poiché è improbabile che una massa di moneta soffiata senza limite nell’economia non generi lievitazione dei prezzi, l’inflazione sarà l’esito finale dell’odierna crisi economica e, in ultimo, il problema del debito pubblico si risolverà da sé, con il più classico e tradizionale degli effetti: cancellato dalla gomma inflazione.
Oppure l’esito sarà più drammatico e le ristrutturazioni dei debiti o i default diverranno consuetudine. Come ci ricorda Attali, “il fallimentoè da tempo la soluzione più frequente in materia d’indebitamento eccessivo. Fra il 1800 e il 2009, ci sono state 250 insolvenze sul debito estero e 68 su quello pubblico. Solo il Canada, la Danimarca, la Finlandia, la Norvegia, la Corea del Sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan, l’Australia e la Nuova Zelanda sono riusciti finora a evitare la bancarotta”.
Solo 10 paesi non sono falliti dal 1800 al 2009
Questo il mondo a venire, dove all’orizzonte si profila una massa di disoccupati spaventevole e copiosa. La situazione è così dinamica e i numeri in crescita che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha prima prodotto un report che stimava il numero dei disoccupati tra i 5,3 e 24,7 milioni di persone (nella recessione del 2008-09 furono 22 milioni) che si aggiungerebbero ai 188 milioni di persone già senza lavoro. Qualche giorno dopo, in un secondo report ha corretto il tiro al rialzo affermando che ”the global number of unemployed at the end of 2020 will be significantly higher than the initial projection (25 million) in the ILO’s first Monitor”. Nella sola America, la Federal Reserve Bank of St. Louis stima il numero di persone disoccupate sui 47.
Quel che è certo è che un mondo difficile ci attende perché nulla assicura che l’auto tenuta nel garage potrà ripartire facilmente. A dirla tutta, per molti paesi – e il nostro è tra questi – la sosta non è in un garage ma all’aperto, su una strada o nella nuda campagna. Dopo la gelata, sarà sufficiente rianimare la batteria con il booster delle policy pubbliche oppure emergeranno danni profondi al motore?
Qualunque sia l’entità del danno, sarà cruciale la risposta. Come ha affermato Alessandro Vespignani, fisico esperto di sistemi complessi e direttore del Network Science Institute della Northeastern University di Boston, quella che stiamo vivendo è solo “la prima battaglia di una lunga guerra e questo virus non ha paragoni in termini di impatto, forse con la seconda guerra mondiale”.
La prima vera guerra mondiale
Dunque è la guerra mondiale il nostro termine di paragone. Forse la prima vera guerra mondiale, com’è già stato scritto su questo blog. Non ci saranno le macerie degli edifici squassati dalle bombe, ma quelle della disoccupazione e della povertà sì. Per lo meno nell’immediato, dopo si vedrà: tutto dipenderà da come ci comporteremo.
In tal senso i due Dopoguerra costituiscono un riferimento importante dai quali imparare. Sappiamo quale fu l’esito delle risposte disastrose date dopo il primo conflitto – peraltro anticipate dal giovane Keynes con visionaria perspicacia ne “Le conseguenze economiche della pace” – e sappiamo cosa accadde dopo la seconda guerra con il piano Marshall e la collaborazione degli Stati. Da una parte sta il risentimento, il conflitto sociale, il populismo di leader aggressivi e folli, e sullo sfondo una nuova guerra; dall’altra sta la cooperazione dei popoli, gli investimenti strutturali e la rinascita dell’Europa e del mondo. Questo insegna la Storia. Una crisi può significare rovina e preludio di una nuova, più intensa crisi. Ma anche, spesso, una crisi significa opportunità, riscatto, rinascita, crescita.
È accaduto dopo la Seconda Guerra Mondiale con un’Europa distrutta che risorge potentemente dalle macerie e con intelligenza progetta il cambiamento, lo realizza, genera un livello di benessere mai esperito prima. È accaduto, andando molto indietro negli anni, con la peste nera che ha afflitto l’Europa e il mondo a metà del Trecento e che fu, secondo diversi storici, il preludio di uno dei periodi più floridi della storia dell’uomo: il Rinascimento.
La scelta di ciò che saremo è, già oggi, nelle nostre mani. Nulla finisce con il virus, nulla viene distrutto. Si trasformerà. Come, dipende da noi.
Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di «Energia»
Sul tema Coronavirus ed economia leggi anche:
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Foto: Pixabay
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