17 Aprile 2020

La febbre

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L’emergenza sanitaria ed economica in corso offre l’opportunità di riflettere sullo stato di salute della concorrenza nel mercato europeo in presenza di una normativa ambientale che ignora le emissioni legate al consumo. Un problema ancor più evidente quando le risorse scarseggiano: le importazioni di beni di prima necessità sono più vantaggiose perché manca ancora uno strumento capace di valorizzare le imprese che resistono alla delocalizzazione.

Ci sono molte cose più chiare con la pandemia del Covid-19 e una di queste è che si stenta ancora a riconoscersi in una comune cittadinanza europea. Quando il gioco si fa duro, si levano i ponti levatoi e riparte l’attacco e la difesa nazionale: i più forti o i più scaltri preparano l’offensiva all’economia degli altri che si difendono come possono, magari con la sempreverde golden share.

Un’altra cosa evidente con questa crisi è, al contrario, la nostra interdipendenza nell’approvvigionamento delle merci; insieme agli infermieri, medici e industrie strategiche sono i camionisti, che portano su e giù per il territorio europeo frutta e verdura, a diventare loro malgrado i “nuovi eroi”. Shengen è rimandato a data da destinarsi ma la libera (più o meno) circolazione delle merci è ancora un fondamento dell’Unione.

Potrebbe apparire fuori luogo parlare di emissioni e climate change in tempi in cui le persone muoiono, ma il riscaldamento globale e il coronavirus hanno molte cose in comune: la prima è che entrambi, sebbene additati a gran voce da epidemiologi e da climatologi, adottano un mascheramento così formidabile che sembra cogliere sempre tutti impreparati. Così presidenti, premier e cancellieri negano tutto, lo negano con forza, fino a quando la febbre non si alza.

L’emergenza sanitaria e quella climatica hanno molto in comune: ai problemi che non conoscono frontiere serve una risposta globale

La seconda, specchio della prima, è che si disinteressano se siamo preparati al loro arrivo o no. Che ci siano o meno respiratori o centri di accoglienza per milioni di migranti in arrivo dalle aree desertificate dei tropici – guarda caso la precedente emergenza europea – virus e cambiamenti climatici non aspetteranno che troviamo una soluzione comune.

La terza che, esattamente come i virus, le emissioni climalteranti non conoscono frontiere, anzi nello specifico se il carbone e il petrolio continueranno ad avere un prezzo basso, e nulla lascia presagire il contrario, in un mercato globalizzato utilizzare vettori energetici fossili crea un vantaggio competitivo rispetto a chi si approvvigiona di rinnovabili.

Andamento emissioni UE vs mondo (Fonte EEA e OECD)

Ha una forte componente simbolica osservare oggi gli sforzi di riconversione urgente delle industrie presenti sui territori nazionali per produrre ciò che in tempi normali era stato delegato, delocalizzato altrove. Ci si chiede se questi settori fossero stati interessati dagli sforzi di decarbonizzazione dell’economia oppure se le mascherine di produzione cinese, ma da noi utilizzate, non fossero considerate “prima” parte integrante dell’economia europea.

E lo stesso vale per farmaci, computer e un’altra miriade di beni che fanno parte del paniere europeo e che sembrano non esistere per la sostenibilità ambientale: li importiamo, li consumiamo, li confrontiamo con gli analoghi prodotti europei, ma non vengono considerati nella nostra economia, dunque non siamo tenuti a chiedere che abbiano gli stessi standard dei nostri manufatti; non ci occupiamo che la loro produzione non sia soggetta agli stessi valori di sostenibilità energetica e ambientale ai quali ancoriamo le nostre industrie.

Ripensare oggi a una perequazione dei costi ambientali renderà l’Europa più forte nelle prossime emergenze economiche e climatiche

La Commissione europea ha recentemente compreso che non è possibile continuare a imporre una serie di obblighi ambientali come il mercato dei permessi di emissione, l’ETS, o a imporre standard energetici sostenibili ma costosi alle industrie europee senza prevedere alcun limite per quelle industrie che, fuori dai confini dell’Unione, importano in UE beni della vita e che spesso si misurano con le nostre industrie in condizioni di competizione asimmetrica.

Sarebbe illogico impegnare tante risorse come quelle che si stiamo investendo in questi giorni per salvare il nostro tessuto industriale dal lockdown solo per abbandonarlo in una competizione che lo veda svantaggiato contro i produttori di acciaio cinesi, di ceramica indiani, di automobili statunitensi.

Detto in altri termini è inutile imporre standard alla produzione di beni nel territorio europeo se si acquistano quegli stessi beni da produttori extraeuropei. Anzi, più che inutile, è dannoso sia per il lavoro sia per l’ambiente: per ogni kg di CO2 emesso per la produzione, ad esempio, di un ferro da stiro in UE, ne saranno emessi approssimativamente 2 per la stessa produzione in Cina o in India; se smettiamo di produrre ferri da stiro in Europa, continueremo comunque a comprarne, magari di cinesi, raddoppiando le emissioni.

Differenziale di competitività

Proprio alcuni giorni fa è stata chiusa una consultazione pubblica europea: UE green deal (carbon border adjustment mechanism), con lo scopo di ricevere proposte su come imporre un prezzo del carbonio per le produzioni importate. Ipotizzando che il processo decisionale non sia già concluso fuori e prima di queste iniziative, oggi si stanno ponendo le basi per strutturare un meccanismo di prevenzione della prossima emergenza, economica e climatica.

Su 10 risposte italiane 4 (v. Staffetta Quotidiana del 6 aprile u.s.) facevano riferimento a uno strumento che abbia carattere strutturale: le industrie europee sono estremamente preoccupate che, con una tassa alla frontiera, le quote gratuite assegnate ad alcuni settori produttivi per il rischio delocalizzazione vengano considerate non necessarie nella convinzione che tale rischio non sia più attuale, pertanto non vogliono che la tutela dei loro impegni ambientali sia affidata a un meccanismo miope e che lo sguardo economico dell’Unione si fermi alla frontiera.

Occorre un meccanismo che punti più in alto

Occorre un meccanismo che punti più in alto, che crei le condizioni per le imprese di programmare gli interventi di efficientamento e l’approvvigionamento a energia rinnovabile senza offrire il fianco al dumping ambientale, che ponga il suo sguardo direttamente sulla produzione extra UE e valorizzi nel mercato europeo la sostenibilità delle produzioni, che consenta una competizione sul prezzo e sulla qualità, ma che la sostenibilità divenga un fattore dirimente per i consumatori europei.

Da tempo è sul tavolo una proposta, l’Imea (imposta sulle emissioni aggiunte), che raccoglie sempre maggiori consensi: un meccanismo strutturato per imputare le emissioni specifiche di ogni bene venduto nella UE, sia esso fabbricato in Europa o importato. La tracciabilità delle emissioni sarebbe garantita dalla tecnologia blockchain e la ripartizione dei costi su differenti livelli di IVA.

Una proposta tecnicamente e politicamente ambiziosa ma i cui vantaggi sarebbero di perequare completamente i costi energetici e ambientali europei nella competizione con i beni prodotti in paesi extra europei senza obblighi ambientali analoghi: la competizione nel mercato europeo la vincerebbe la produzione più sostenibile e i produttori locali sarebbero avvantaggiati ai blocchi di partenza come riportato da una recentissima ricerca Economic complexity and the green economy di Penny Mealy e Alexander Teytelboym (University of Oxford and University of Cambridge).

Ma soprattutto, con un’imposta sul valore aggiunto proporzionale alle emissioni di prodotto, ci sarebbe un evidenza fortissima, persino sullo scaffale, facendo sì che i consumatori europei divengano, finalmente, i motori primi della transizione energetica.


Agime Gerbeti è Presidente del Comitato Scientifico AIEE

Insieme a Fabio Catino ha scritto su Energia 2.19 l’articolo Blockchain e tracciabilità delle emissioni industriali (pp. 56-61)

da cui sono stati tratti i seguenti post:
Carbontax o ETS? Meglio valorizzare sull’IVA le emissioni, si Redazione, 12 Settembre 2019
La blockchain per tracciare le emissioni industriali (e tutelare la competitività europea), di Redazione, 20 Giugno 2019

Foto: chuttersnap / Unsplash 

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