Le sei “determinanti” della felicità utilizzate per stabilire la classifica tra paesi portano in testa sempre il mondo scandinavo. Mutuo soccorso e fiducia sono la chiave di questo successo: una lezione di cui si dovrebbe tener conto a livello europeo, nel delicato momento in cui si negoziano le risposte comunitarie per far fronte alle molteplici crisi provocate dal Coronavirus, ma anche nazionale, alla luce della mancanza di collaborazione emersa tra i diversi livelli amministrativi.
Venerdì 20 marzo scorso, come ogni anno, si è celebrata la Giornata Internazionale della Felicità. Come ogni anno, l’ONU ha pubblicato il rapporto di un ambizioso progetto di ricerca che va avanti dal 2012, il World Happiness Report, che monitora il livello di felicità in più di 150 paesi nel mondo. A differenza di ogni anno, però, non è stato dato alcun risalto alla pubblicazione sui media. E figuriamoci, direte voi, chi ha il coraggio o l’ardire di parlare di felicità in un momento simile? Ebbene, vorrei provare, in questo articolo, a spiegare perché, ora più che mai, è il momento giusto per parlare di felicità. Un po’ lo diceva il poeta: “Perché dolore è più dolor se tace”.
Una cosa che sfugge a molti, quando fanno spallucce di fronte all’uso auspicabilmente scientifico della parola felicità, è che quando si usa questa parola, inevitabilmente e soprattutto si sta coprendo anche l’area semantica del suo contraltare: l’infelicità. Lo scienziato sociale che studia i dati sul benessere, insomma, ha molto a cuore soprattutto i momenti e le circostanze in cui questo viene messo a repentaglio.
È possibile un uso scientifico della parola felicità?
Parlare di felicità in economia significa abbracciare una visione complessa, ma sempre quantitativa e fondata sul dato empirico, della qualità della vita. È in questo contesto che, proprio nel disegnare scenari di ricostruzione e ripresa, serve allargare l’orizzonte e usare una prospettiva il più possibile lungimirante.
Il World Happiness Report è un progetto di ricerca coordinato da alcuni importanti economisti: John Helliwell, Jeffrey Sachs e Richard Layard tra gli altri. Dal 2012 elabora i dati del Gallup World Poll, in particolare concentrandosi sulla domanda: “Considerando ogni aspetto della tua vita, se avessi di fronte una scala con 10 pioli in cui il livello 0 indica felicità minima e 10 felicità massima, su quale gradino ti collocheresti?”.
Le risposte a questa domanda servono, più superficialmente, a costruire un ranking dei paesi più felici al mondo, ed è tipicamente la notizia che invade i nostri quotidiani ogni anno (fatto salvo il 2020, di nuovo perché nessuno si è preso la briga di eliminare il Coronavirus dai titoli di testa). Meno superficialmente, però, l’obiettivo è capire cosa correla di più con la felicità.
6 le “determinanti” della felicità, che portano in testa sempre i paesi scandinavi
Sono 6 le determinanti individuate:
- Reddito, misurato dal PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto
- Salute, aspettativa di vita alla nascita
- Percezione di libertà, quanto una persona si ritiene libera di condurre il proprio progetto di vita
- Percezione del livello di corruzione
- Propensione alla generosità, se e quanto denaro viene donato per attività benefiche
- Fiducia, esistenza e forza delle reti di supporto sociale
Per quanto concerne il ranking, esso è piuttosto stabile nel tempo e mostra una top 10 con una caratteristica ben precisa: ci sono tutti i paesi scandinavi. La Finlandia è sempre prima. La Danimarca è sempre seconda. Svezia, Norvegia e Islanda salgono e scendono rimanendo però stabilmente in cima alla classifica.
Come dicevamo, la classifica conta poco ma un elemento ci tornerà utile: i paesi scandinavi sono tutti caratterizzati da un elevato livello di capitale sociale, da un civismo responsabile e da un senso di comunità spiccato.
Anni fa, il ricercatore italiano Ruben Durante pubblicò un paper in cui, utilizzando dati paleoclimatici, suggeriva e mostrava empiricamente la validità di un ragionamento che possiamo articolare come segue: il clima rigido delle regioni nordiche, in un contesto di vulnerabilità di società agricole molto soggette all’ostilità delle condizioni meteorologiche avverse, diventò un motore di aggregazione sociale. Il mutuo soccorso, insomma, come risposta alle difficoltà e incentivo alla cooperazione che, nei secoli, si sarebbe poi trasformata in un elemento stabile delle società scandinave.
Mutuo soccorso e fiducia come chiave della “felicità” scandinava: una lezione di cui si dovrebbe tener conto in tempo di negoziati europei su come rispondere alle molteplici crisi provocate dal Coronavirus
Forse la lezione potrebbe tornare molto utile, in tempo di negoziazioni europee, per la risposta comunitaria alla crisi Covid, in un momento in cui diversi paesi, tra cui l’Italia, invocano l’introduzione di una qualche forma di mutualizzazione del debito. Alla fine si sta parlando proprio di questo: fiducia reciproca nella capacità del sistema di rispondere come tale, favorendo una soluzione cooperativa e respingendo tentazioni nazionalistiche.
E fiducia, però, anche dei paesi membri nell’Unione Europea, perché una vera federazione richiede una cessione di sovranità e competenze che non è così scontato i singoli contraenti siano disposti a portare avanti. Ci fidiamo dell’Unione Europea come ente sovranazionale che agisca al di sopra del singolo stato nell’interesse di tutti i suoi membri? Forse il tema della fiducia è proprio quello su cui far leva per sottolineare, in positivo, come cessione di sovranità rappresenti anche acquisto di cittadinanza, finalmente europea.
Torniamo al World Happiness Report: il focus tematico di quest’anno è il rapporto tra happiness ed environment. L’accezione della parola ambiente, tuttavia, è anch’essa multidimensionale: ambiente naturale, ça va sans dire; ambiente urbano, con lo studio dei dati provenienti da centinaia di contesti metropolitani nel mondo; ambiente sociale.
Come impatta la modifica dell’ambiente che ci circonda sul nostro benessere?
Per quanto concerne il primo aspetto, questa edizione del WHR è storica perché è la prima a raccogliere le evidenze scientifiche disponibili sulla relazione che intercorre tra benessere soggettivo e ambiente naturale. Sono fondamentalmente due le linee di ricerca seguite: come impatta la modifica dell’ambiente che ci circonda (in termini di dotazioni individuali di stock di capitale naturale, che comprende biodiversità, qualità dell’aria, clima) sul nostro benessere, con stime che tendono tipicamente a quantificare in termini monetari la perdita di qualità ambientale; e un fronte di ricerca che guadagna sempre maggiore attenzione e che, invece, studia la direzione di causalità che va da un comportamento più green, in termini di sensibilità ambientale, a un maggiore benessere.
Con riferimento alla componente ambientale “sociale” invece, in tempi di coronavirus torna utilissimo, anzi fondamentale, parlare di fiducia. In un bell’articolo pubblicato su questo stesso blog, Enzo Di Giulio presenta uno scenario economicamente molto fosco, e sostanzialmente inevitabile, quale eredità di questa pandemia: un aumento del debito pubblico significativo, necessario a fare fronte ai costi sociali enormi derivati da uno shock terribile, sia al reddito sia alla salute. Reddito e salute sono le due componenti forti della felicità secondo il WHR, eppure dobbiamo chiederci: quali sono gli altri elementi che favoriscono non soltanto lo sviluppo ma anche, usando una parola che va tanto di moda, la resilienza di una società di fronte a un clima (economico, in questo caso) avverso?
Il secondo capitolo del report 2020, curato dallo stesso Helliwell, si addentra proprio nella componente sociale, investigando il ruolo fondamentale svolto dalle reti di supporto e dalla fiducia come motori di sviluppo. Utilizzando i dati del Gallup World Poll e di un’altra ricerca, la European Social Survey, che raccoglie dati di 35 paesi e contiene molte variabili connesse alla forza dei legami sociali e alla fiducia nelle istituzioni, i risultati sono molto chiari: capitale sociale e fiducia hanno un ruolo sia diretto sia, soprattutto, indiretto come determinanti della felicità.
Capitale sociale e fiducia costituiscono una forma di assicurazione sociale contro il rischio, soprattutto quando – come in questa drammatica fase di pandemia – reddito e salute peggiorano
Un elevato livello di fiducia, direi non sorprendentemente, correla con maggiore grado di soddisfazione nella vita. Quello che però è più interessante osservare è che capitale sociale e fiducia costituiscano una forma di assicurazione sociale contro il rischio: un elevato livello di capitale sociale è di particolare importanza per chi, all’interno di una popolazione, versa in condizioni più vulnerabili, e agisce da ammortizzatore e cuscinetto riducendo gli effetti di una perdita di benessere.
Detto più concretamente, rispetto ai tempi: se reddito e salute peggiorano, come avviene in quasi ogni parte del mondo in questa drammatica fase di pandemia, un elevato livello di capitale sociale costituirà un valido supporto nel limitare i danni e, soprattutto, nel costituire un solido humus valoriale su cui pianificare la ricostruzione. Qui la forza dei legami sociali a livello locale costituiranno una risorsa importante per garantire anche una spinta a livello più macro: forse una delle tracce più evidenti di questa crisi in Italia sta nella mancanza di collaborazione tra livelli amministrativi diversi, una confusione nelle responsabilità e nell’architettura decisionale che sarà interessante studiare ad emergenza sanitaria rientrata.
Una delle tracce più evidenti di questa crisi in Italia sta nella mancanza di collaborazione tra livelli amministrativi diversi
La fiducia è un elemento intangibile e delicato, eppure di fondamentale rilevanza. Per dare un esempio concreto, al di là delle evidenti differenti di design istituzionale, un debito pubblico al 200 per cento (come riportato anche dall’articolo di Di Giulio) in Giappone costituisce un problema minore di un rapporto debito/PIL proiettato al 150% per l’Italia. E non è, non può essere, soltanto una differenza di caratteristiche e funzionamento della Banca Centrale. No, entra in gioco anche la dimensione della fiducia, prettamente degli investitori che prestano il loro denaro acquistando titoli del debito pubblico giapponese anche in virtù di una credibilità e solidità del sistema paese del Sol Levante ritenuta maggiore.
L’ultima frase del secondo capitolo del WHR 2020 è molto importante: “Moving from current levels of trust and social connections in Europe to a situation of high trust and good social connections is therefore estimated to raise average life evaluations by almost 0.9 on the 0 to 10 scale. Favourable social environments not only raise the level of well-being but also improve its distribution. We conclude that social environments are of first-order importance for the quality of life”.
Riusciremo a costruire un sistema istituzionale capace di prendere decisioni collettive rapide ed efficaci?
Parlare di felicità, soprattutto in tempo di crisi, è importante, anzi fondamentale per ridefinire l’agenda politica con sguardo complesso. E all’interno di questo sistema, è tremendamente importante che Stato e istituzioni abbiano a cuore il benessere a 360° dei cittadini: la sfida che questa pandemia ci ha posto – e torno a discutere di prospettive italiane ed europee – è arrivata ad un bivio: riusciremo a costruire un sistema istituzionale, sia nella sua architettura sia nel suo funzionamento, più capace di prendere decisioni collettive rapide ed efficaci? L’importanza del capitale sociale nell’imboccare una o l’altra strada è chiara.
Si tratta, ora più che mai, di investire la nostra fiducia perché la nuova normalità post-Covid ne avrà molto bisogno.
Luciano Canova, economista, Scuola Enrico Mattei
Leggi anche:
Il virus, il debito pubblico, l’economia, di Enzo Di Giulio, 9 Aprile 2020
Ripartire da dove eravamo rimasti, ma con una diversa consapevolezza, di Elisa Giannelli, 24 Marzo 2020
Foto: Pexels
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