Inopportuno e fuorviante definire “storico” l’accordo del 12 aprile tra paesi Opec e non-Opec circa la graduale riduzione della loro produzione petrolifera. Più che volontaria, la riduzione della produzione sarà forzata dalle nuove condizioni di mercato. Perché il mercato del petrolio, come normalmente lo si intende, si è letteralmente dissolto per il ‘vuoto di domanda’. Se servirà, lo “storico” accordo servirà più domani che oggi, quando si uscirà dalla crisi.
L’aggettivo ‘storico’ è il termine abusato dai media per commentare l’Accordo raggiunto il 12 aprile dai 25 paesi del cosiddetto Opec Plus (10 Opec, 15 non-Opec) che insieme contano per circa il 43% della produzione mondiale di petrolio, sotto gli auspici e la pressione degli Stati Uniti di Donald Trump.
Accordo
che ha definito un decalage nella
riduzione della produzione petrolifera nei prossimi due anni:
-9,7 mil.bbl/g maggio-giugno 2020
-7,7 mil.bbl/g luglio-dicembre 2020
-5,8 mil.bbl/g gennaio 2021-aprile 2022
La mia opinione è che il termine ‘storico’ sia del tutto inappropriato e fuorviante, come testimoniato dal calo dei prezzi sulle principali piazze finanziarie del 14 aprile (-6,7% sul giorno precedente). Per più ragioni.
Primo: perché i paesi che l’hanno sottoscritto – seguendo le indicazioni dei due dominus Arabia Saudita e Russia – ridurranno forzatamente la loro produzione non per leale rispetto dei suoi termini, ma perché vi sono costretti dall’assenza di acquirenti. Usando le parole di Mario Draghi potremmo dire che ogni produttore, al di là delle quote individuali definite nell’Accordo, farà “whatever it takes” per adeguarsi a quel che resta del mercato.
Più che volontaria, la riduzione sarà forzata dalle condizioni di mercato
Secondo: lo farà anche perché la capacità di stoccaggio onshore è ormai del tutto satura – per un ammontare di 1,3 miliardi di barili tra greggio e prodotti – mentre vi è capacità sulle navi ma con rate giornaliere che hanno raggiunto i 100 mila dollari. Lo farà chi può permetterselo fintanto che i future price si manterranno superiori a quelli attuali (contango) almeno del costo dello stoccaggio.
Terzo: il calo della produzione deciso in video-conferenza (9,7 mil.bbl/g nel prossimo bimestre) è largamente inferiore al vuoto di domanda creatosi con l’esplodere della pandemia, stimato dal PIW tra 20 e 30 mil. bbl/g.
Quarto: perché quel che non si è ancora compreso è che il mercato del petrolio, come normalmente lo si intende, si è letteralmente dissolto per il ‘vuoto di domanda’, mentre i prezzi sul mercato del fisico, quel che conta, hanno perso di ogni significatività. Non sono più globali, internazionali, ma regionali, locali, addirittura a bocca di pozzo.
Negli Stati Uniti si è arrivati a pagare chi si porta via il greggio perchè non si sa dove stoccare o costa troppo
Negli Stati Uniti si è arrivati a vendere a 1,75 doll/bbl e in certi casi a prezzi negativi: pagando chi ritirava il prodotto. I prezzi per i principali hub Permian, Bakken, Eagle Ford e Golfo del Messico sono precipitati a meno di 10 doll/bbl. Idem in molti altri paesi, Russia compresa.
Lo ‘storico’ Accordo, che tale non è, servirà semmai più domani che oggi, quando si uscirà dalla crisi e la domanda prenderà gradualmente a crescere col rischio che i produttori finiscano per scannarsi pur di vendere il loro greggio, sempre che – quel che dipende dal fattore tempo – la crisi finanziaria non li abbia decimati.
Quando e di quanto potrà aumentare la domanda non è dato sapere, come non è dato sapere quali siano i tempi di uscita dalla pandemia. Quando avverrà si dovrebbero per prima cosa smaltire le enormi scorte accumulate, quel che richiederà, per riportarle a loro livelli fisiologici, intorno a due anni. In caso contrario si verificherà un ulteriore tonfo dei prezzi.
Per smaltire le scorte accumulate una volta usciti dalla crisi sanitaria ci vorranno circa 2 anni
Se l’oggi è tremendamente difficile per l’intero mondo dell’energia, non solo per il petrolio, il domani non lo sarà da meno. Dipenderà da almeno quattro fattori:
(a) che ne sarà dell’industria petrolifera? come sinora conosciuta delle IOC e delle NOC (International e National Oil Companies); vi saranno inevitabili fallimenti, specie nelle minori imprese americane, o processi di consolidamento, come avvenne alla fine degli anni Novanta; forse quelle cinesi ne usciranno meglio;
(b) che ne sarà dei paesi produttori? specie quelli poveri, che la crisi ha totalmente estromesso dai residui scambi commerciali, come il Venezuela;
(b) quali paesi vinceranno? è prevedibile siano quelli che beneficiano dei minori costi di produzione: quali sicuramente l’Arabia Saudita e la Russia;
(c) quale futura offerta? la ripresa della produzione, là dove la si è interrotta bruscamente e drasticamente, potrà non risultare tecnicamente fattibile in tempi brevi o economicamente sostenibile: la futura domanda se riprenderà in modo sensibile, anche senza tornare ai livelli pre-crisi, potrebbe quindi incontrare strozzature dal lato dell’offerta.
La futura domanda potrebbe incontrare strozzature dal lato dell’offerta
Due ultime considerazioni. La prima, tornando all’Accordo, è quale sia stato il ruolo svolto dagli Stati Uniti nella sua conclusione e, soprattutto, quale sarà il suo contributo alla sua implementazione. Dovendosi escludere che dal calo della produzione dell’Opec Plus e dall’atteso sostegno dei prezzi essi possano avvantaggiarsene anche questa volta è da concludere che le contropartite che Washington ha garantito ad Arabia Saudita e Russia siano di altro ordine, non economico ma politico, forse relative agli equilibri politici nel Medio Oriente o alle sanzioni alla Russia o quant’altro del tutto ignoto.
Quale contropartita offerta da Washington?
Da ultimo, vale riprendere Daniel Yergin che in un suo recente articolo su Foreing Affairs ha scritto che le drammatiche vicende che stiamo vivendo segneranno “The end of the new oil order” che si era stabilito con l’Alleanza di Vienna del 2016 quando si concluse il primo accordo tra Arabia Saudita e Russia.
Quale altro ordine si affermerà non è dato sapere, mentre da questo dipenderà il futuro dell’economia mondiale, dell’intero mondo dell’energia, della transizione energetica nella lotta ai cambiamenti climatici.
Alberto Clò è direttore della rivista Energia
Sulla crisi petrolifera leggi anche:
L’Apocalisse del petrolio, di Alberto Clò, 2 Aprile 2020
Guerra dei prezzi: mercato o politica?, di Alberto Clò 16 Marzo 2020
Crolla il greggio, tra coronavirus e guerra dei prezzi, di Alberto Clò, 9 Marzo 2020
Se il Coronavirus infetta anche i mercati energetici, di Alberto Clò, 26 Febbraio 2020
Foto: PxHere
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