25 Maggio 2020

Clima 4 – Sapiens 1 (ma la rimonta è possibile)

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Se la lotta ai cambiamenti climatici fosse una partita di calcio, saremmo in forte svantaggio contro un avversario formidabile e con il solo secondo tempo (da qui al 2050) per recuperare. L’Accordo di Parigi è l’unico goal da noi segnato finora. Può essere la base della riscossa, ma Sapiens continua a disquisire di tattiche e strategie col rischio di perdersi in una sterile melina. Serve un cambio di passo: un “uomo-partita” (l’Unione Europea) e una strategia semplice ed attuabile (la riforestazione) che ci consentano di recuperare terreno in attesa che la transizione energetica ci assicuri la “remontada” prima del triplice fischio.

Se la battaglia contro il cambiamento climatico fosse una partita di calcio saremmo all’inizio del secondo tempo e il genere umano starebbe perdendo 4-1. La prima metà della gara, cioè gli anni dal 1990 al 2020, se n’è andata in una successione di sbigottimento-riorganizzazione-azione. All’inizio Sapiens non ha nemmeno compreso la rivoluzionaria originalità di quello strano, nuovo avversario che aveva davanti, tanto era diverso da tutti i precedenti affrontati nella sua storia di successi millenari.

Se volessimo trovare un corrispettivo calcistico di quell’avversario imponderabile, l’unico che ci si avvicini un po’ è la mitica Olanda di Cruijff nel mondiale del ‘74: i giocatori indossavano delle strane maglie arancioni e non avevano ruoli, il terzino faceva il centravanti e il regista faceva il libero, e tutti correvano come matti. Dulcis in fundo, il portiere portava la maglia numero 8, cosa che non si era mai vista prima sui campi di calcio.

E infatti non si era mai visto prima che la principale alleata di Sapiens – la crescita economica – diventasse di punto in bianco l’origine del problema. Di qui lo sbigottimento, la negazione del problema e la lenta, psicanalitica rielaborazione del lutto – l’amico che diventa nemico – mentre il nemico segna un goal dopo l’altro. Poi, nell’ultimo quarto d’ora, Sapiens comprende che quel nemico subdolo può significare la fine della sua gloriosa Storia e allora si riorganizza e segna un goal che non lo salva dal disastro in cui si è infilato, ma lo fa sperare: quel piccolo goal è l’Accordo di Parigi.

L’Accordo di Parigi è il goal da noi segnato finora e per recuperare resta solo il secondo tempo: da qui al 2050

Ora siamo al secondo tempo e quel goal è tutto e niente insieme. Tutto perché può essere la base della sua riscossa, nulla perché il nemico è un rullo compressore che non mira a difendere il risultato, piuttosto a segnare altri goal ancora. COVID-19 – non illudiamoci – è solo una piccola pausa all’interno di un’azione di gioco asfissiante. Quel nemico, di fatto, è il suo rovescio, essendo il carbonio null’altro che lo scarto dei suoi fasti economici. Il secondo tempo finisce nel 2050, dopo non c’è più spazio per recuperi last minute: la partita è persa.

È evidente che, non avendo agito nel trentennio 1990-2020, la situazione per Sapiens è disperata. Di qui il monito dell’IPCC, che nel 2018 evidenziava come i 12 anni seguenti sarebbero stati cruciali nella battaglia contro il cambiamento climatico. Il grafico seguente, basato su dati di Global Carbon Project, lo spiega meglio di mille parole.

Più tardi parte la decarbonizzazione, più tardi si verifica il picco delle emissioni, maggiori sono i tassi di decrescita della CO2 necessari a contenere la crescita della temperatura entro i 2°C.

Se il picco si realizzasse quest’anno il tasso di decrescita delle emissioni dovrebbe essere circa del 6% annuo

Si può vedere che se il picco si realizzasse quest’anno il tasso di decrescita delle emissioni dovrebbe essere circa del 6% all’anno contro il 2% che sarebbe stato necessario se il picco di fosse manifestato venti anni fa, nel 2000. Posticiparlo di altri dieci anni, ovvero averlo nel 2030, implicherebbe un tasso di decrescita della CO2 di circa il 10%.

Questi valori crescono, naturalmente, se l’obiettivo diventa quello di contenere le emissioni entro 1,5°C, come auspicato dall’IPCC nel 2018. Tuttavia già i 2°C rappresentano un target molto arduo. Ridurre le emissioni del 6% è impresa proibitiva poiché è inverosimile che qualcuno che ha al massimo saltato 50 cm salti di punto in bianco 2 m.

Gli esperti dicono che ciò è possibile perché, a grandi linee, un terzo dell’abbattimento può derivare da miglioramenti dell’efficienza energetica, un terzo dalle rinnovabili e un terzo da altre misure, quali ad esempio nucleare e tecnologie carbon capture. E poi c’è sempre la possibilità di compensare le emissioni con la riforestazione.

La tattica suggerita dagli esperti prevede efficienza energetica, rinnovabili e altre tecnologie, ma si basa su un grande equivoco: che ciò che è possibile sul piano tecnico lo sia anche su quello comportamentale

Tutto ciò è certamente vero ma si basa sul grande equivoco per il quale ciò che è possibile sul piano tecnico lo è anche su quello comportamentale. Purtroppo non è così perché tra potenziale ingegneristico e comportamento c’è di mezzo l’essere umano con le sue idiosincrasie, interessi, vizi, barriere mentali o, più semplicemente, con la sua umanissima resistenza al cambiamento. Di qui i dati sconfortanti sulle emissioni.

È vero che i numeri sulla CO2 emessa dai combustibili fossili nel 2019 hanno indotto un certo ottimismo. Dopo due anni di crescita, la CO2 si è stabilizzata sui 33 miliardi di tonnellate. Nelle economie avanzate le emissioni sono diminuite del 3,2% a fronte di una crescita del PIL dell’1,7%, a conferma del fatto che qui il decoupling crescita-emissioni è già avviato. Le emissioni sono però cresciute nei paesi in via di sviluppo, portando a un risultato complessivo di stabilità delle emissioni.

Il dato è solo apparentemente positivo perché va messo a confronto con ciò che dovrebbe essere, ovvero con tagli delle emissioni assolutamente superiori. Anche considerando le stime più morbide della IEA – che però si riferiscono solo alle emissioni derivanti dai combustibili fossili – si tratta di realizzare da qui al 2050 tagli della CO2 nell’ordine del 3,3% annuo.

La stabilità delle emissioni nel 2019 è un dato solo apparentemente positivo perché va messo a confronto con ciò che dovrebbe essere: tagli assolutamente superiori (nell’ordine del 3,3% annuo al 2050)

Di nuovo un salto che non abbiamo mai fatto, ed è errato argomentare che i muscoli di Sapiens hanno tutto il potenziale per spiccare quel balzo, perché – come qualsiasi atleta di buon livello sa – a nulla valgono i muscoli (il potenziale tecnico) se manca la testa (il comportamento). E la testa purtroppo manca, per una serie di ragioni e forse, soprattutto, perché è la prima volta che Sapiens si trova di fronte a un problema di scala planetaria, che richiede la partecipazione di tutti e che va risolto entro un tempo esiguo.

È questo vincolo temporale l’elemento nuovo sul quale s’infrangono le speranze e le strategie di Sapiens. Tutti i suoi celebrati successi, morali o scientifici – dall’abolizione della schiavitù al suffragio universale, dalla scoperta del DNA alla conquista della Luna, da internet all’intelligenza artificiale – non sono mai stati caratterizzati dalla doppia specificità globalità-vincolo temporale.

La prima implica la necessità di un accordo trasversale tra tutti i paesi, la seconda l’esigenza di tradurre quell’accordo in azione in tempi brevissimi. Il decantato Protocollo di Montreal che ha bandito i clorofluorocarburi risolvendo così il problema del buco dell’ozono – accordo spesso citato quale success story che induce all’ottimismo – non è affatto rapportabile alla questione climatica perché il raggio d’azione dei clorofluorocarburi non è quello della CO2. Eliminare il carbonio significa smantellare un intero paradigma industriale fondato su di esso, laddove il bando dei CFC da una parte impatta solo su processi produttivi molto specifici, dall’altra è azione facilmente realizzabile a ragione dell’esistenza di prodotti sostituti a buon mercato. Al contrario, il carbonio entra dappertutto perché è l’energia ad essere pervasiva.

L’uomo contemporaneo è intrinsecamente carbonico: anche nel momento in cui protesta contro quel mondo che vorrebbe cambiare, oppure si riunisce per dibattere su come fare per modificarlo, egli emette carbonio. Di qui la difficoltà nella soluzione del problema. Di più: Sapiens per la prima volta trova sulla sua strada un avversario che non solo lo spiazza ma lo anestetizza, collocando i danni esiziali della sua azione nel lungo periodo.

Sapiens continua a disquisire di tattiche e strategie, ma il triplice fischio si avvicina e lo svantaggio da recuperare elevato: serve un cambio di passo

Egli reagisce come ha sempre fatto: parlandone, essendo la parola il preludio dell’azione. Aristotele ci ha insegnato che l’uomo è animale politico nel quale la parola trascende la semplice funzione di grido o di lamento – come è negli animali – per elevarsi a senso, progetto, logos. Ecco, dunque, che l’animale parlante dibatte e congettura strategie di limitazione del danno. Ma quest’attività è time consuming, e questa volta Sapiens non dispone di tempo.

Ne disponeva, certo, negli anni ‘80 e ‘90, quando era in corso il primo tempo della partita. Ma lo ha sperperato, anche per intrinseca disonestà scientifica, ascrivibile al genere umano come tale. La Storia si ripete. Dall’apparire del Surgeon Report sui danni del fumo nel 1964 alla presa di coscienza collettiva che il fumo è realmente causa di cancro ai polmoni passa un quarantennio. Quarant’anni spesi, tra l’altro, a confutare le tesi di scienziati, o pseudo-scienziati, che hanno avversato in ogni modo possibile il Surgeon Report. Analogo è il dibattito sul clima: 30-40 anni sono volati via nel dibattito e nell’inazione, ed eccoci arrivati al secondo tempo della partita, in forte svantaggio.

Serve un cambio di passo. Al di là dei numeri finora citati, il decennio che è appena iniziato sarà, più degli altri, il banco di prova delle policy e delle strategie dichiarate perché il nodo sta venendo al pettine, ovvero la finestra temporale per agire si va chiudendo.

L’Unione Europea è il nostro “uomo-partita”: se fallisce, fallisce il mondo intero

L’area nella quale sarà più cogente questa prova del nove dello spessore complessivo di Sapiens – “qui si parrà la tua nobilitate” – è l’Unione Europea, che guida la lotta al cambiamento climatico già dal primo tempo della partita. L’UE ha esplicitato i suoi obiettivi di taglio delle emissioni in diversi pacchetti e, più recentemente, nel Green Deal. Nel famoso 20-20-20, un aiuto sostanziale al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione della CO2 è venuto dalla crisi economica del 2008. Ma dopo il 2020, le difficoltà crescono perché l’obiettivo si fa più sfidante.

Come si può vedere dal grafico che segue, la traiettoria della curva delle emissioni diventa più ripida nel periodo 2020-2030, per non parlare delle due decadi dal 2030 al 2050 che dovrebbero portare a una decarbonizzazione quasi completa dell’economia europea.

Fonte: EEA

Qui si vedrà se l’Europa è all’altezza degli obiettivi che dichiara di voler raggiungere. Si vedrà se i documenti formali e tecnici nei quali target e strategie dell’UE vengono esplicitati sono suffragati da volontà e compattezza politica, e coraggio e saggezza, nella realizzazione di una traiettoria di rientro delle emissioni capace di coniugare sostenibilità e crescita economica. Oppure se essi sono forma, retorica, inspiegabile melina compiuta da una squadra di calcio che dissipa tempo prezioso laddove il tempo è ormai agli sgoccioli.

È chiaro che se l’Europa fallisce, fallisce il mondo intero, perché è irrealistico credere che i paesi che frenano nella lotta al cambiamento climatico possano far meglio dell’Europa. Il primo anno del decennio 2020-2030 è cominciato con una pandemia che, affliggendo drammaticamente il Pianeta, sta causando un crollo delle emissioni di carbonio stimate dalla IEA pari almeno all’8% su base annua. Il virus da una parte abbatte le emissioni dall’altra distrugge l’economia, ostacolando non poco il processo di decarbonizzazione.

Una strategia semplice ed attuabile c’è: fermare la deforestazione e riforestare

Quel che verrà dopo il 2020 sarà comunque un’altra storia, completamente diversa. Prima o poi si tornerà alla normalità e le emissioni riprenderanno a salire. La crisi economica odierna allevia in misura minima il quadro delle emissioni, perché più che il flusso annuo conta lo stock accumulato in anni di crescita robusta che hanno sparato in atmosfera miliardi di tonnellate di anidride carbonica, oggi ancora in circolo. Rimarranno comunque le ferite inferte da COVID-19 all’economia, il conseguente indebolimento delle policy e il farsi più ripido della salita.

Che fare? Di certo c’è una cosa che si può fare subito, che ha bassi costi ed è semplice: ci riferiamo alla riforestazione. Come ha scritto il botanico Stefano Mancuso nel magnifico libro La nazione delle piante:

«(Le piante) hanno già dimostrato in passato di essere in grado di ridurre drasticamente la quantità di CO2 nell’atmosfera, permettendo agli animali di conquistare le terre emerse. Possono farlo di nuovo, regalandoci una seconda possibilità. (Le nostre città) dovrebbero essere completamente coperte di piante. Non soltanto negli spazi deputati: parchi, giardini, viali, aiuole ecc. ma dappertutto, letteralmente: sui tetti, sulle facciate dei palazzi, lungo le strade, su terrazze, balconi, ciminiere, semafori, guardrail ecc. La regola dovrebbe essere una sola e semplice: dovunque sia possibile far vivere una pianta, deve essercene una».

La regola dovrebbe essere una sola e semplice: dovunque sia possibile far vivere una pianta, deve essercene una – Stefano Mancuso

Fermare la deforestazione e riforestare: questa è la via nell’immediato. Di fronte alla stasi di Sapiens, ai suoi blocchi comportamentali, l’unica via da percorrere è quella di una strategia semplice – ancorché non esente da criticità – che non debba fronteggiare gli ostacoli intrinseci in una decarbonizzazione basata sul cambio di paradigma industriale.

Ciò non significa che non bisogna darsi da fare con la transizione energetica, al contrario la riforestazione ci consentirebbe di guadagnare tempo prezioso a favore della stessa transizione, sempre più necessaria ma oggi bloccata nelle sabbie mobili dell’inazione.

L’impresa è ardua perché i tempi della decarbonizzazione sono brevissimi. Eppure, occorre sperare e agire. Alle volte le imprese impossibili riescono. Come gli amanti del calcio ricordano, tre anni fa il Barcellona eliminò il Paris Saint Germain con un secco 6-1 che annullò il disastroso 0-4 dell’andata. Alle volte, la remontada es posible.


Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di «Energia»


Su cambiamenti climatici e riforestazione leggi anche:
Gestione sostenibile delle foreste, di Peter Rubner, 28 aprile 2020
Verità e retorica: dov’è la transizione energetica? di Enzo Di Giulio, 3 febbraio 2020
La crisi del clima: e se gli alberi fossero la soluzione? di Enzo Di Giulio, 27 settembre 2019
Faremo in tempo?, di Redazione, 23 Settembre 2019
Riforestazione: una soluzione efficace contro i cambiamenti climatici, di Redazione, 20 agosto 2019

#Deforestazione, la sostituzione con l’agricoltura e gli effetti sul clima, di Redazione, 2 Novembre 2018
#Deforestazione, l’effetto refrigerante delle foreste sul clima, di Redazione, 24 Ottobre 2018
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Foto: Unsplash

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