21 Maggio 2020

Economie estreme e la capacità di adattamento di Sapiens

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Mentre il mondo cautamente si addentra nella Fase 2 e cerca di immaginarsi la normalità post-COVID-19, “Extreme Economies” di Richard Davies ci ricorda la straordinaria capacità umana di adattarsi anche ai contesti più disperati e costruire economie funzionanti. Un saggio di grande interesse e attualità per chi volesse trarre ispirazione o speranza da un nugolo di storie che descrivono le modalità con cui Sapiens reagisce a situazioni estreme, mosso da un’innata capacità – già preconizzata da Adam Smith sul finire del XVIII secolo – di realizzare scambi efficaci e capaci di produrre sviluppo e crescita.

Il libro di Richard Davies – Extreme Economies – ha uno stile godibile e spesso aneddotico, ma chi uscirà da questo saggio avrà per lo meno familiarità con le basi teoriche della regolamentazione economica, dal command and control alle interazioni di mercato. Nove storie sono strutturate attorno a tre pilastri: l’economia della resilienza, quella del potenziale perduto e quella del futuro.

Nella prima parte del libro, la parola più abusata del 2020 – resilienza – è finalmente declinata in modo pratico, con la descrizione di contesti in cui le società hanno appunto mostrato una grande capacità di adattamento.

La prima storia racconta di Aceh, una città dell’Indonesia praticamente distrutta dal terribile tsunami del 2004. È descritta come caso di ricostruzione dei rapporti tra economia e società in mezzo all’incertezza. Una catastrofe naturale è sì in grado di abbattere case e cancellare interi paesi, ma non riesce a distruggere un capitale che viene spesso negletto e che, pure, è un importante motore di sviluppo: quello sociale. Le reti informali e la cultura accumulatesi nel corso dei secoli hanno fatto sì che gli abitanti della regione siano stati in grado di rispondere all’emergenza con grande rapidità: qui le agenzie internazionali di aiuto sono state un supporto valido che, tuttavia, non ha impedito ai locali di sviluppare le proprie soluzioni in autonomia, portando a un’ibridazione efficace tra il mercato e la tradizione.

Ancora più incredibile è la storia di Zaatari, il più grande campo profughi al mondo (foto di copertina), in cui vivono circa 200 mila siriani. Anche questa può essere vista da due angolazioni diverse. Da un lato, il fallimento dell’approccio top down, con il World Food Program e le agenzie internazionali che disegnano un sistema di scambi regolatissimo e fondato su carte prepagate in cui vengono caricati dei fondi spendibili soltanto per determinate categorie: una certa somma per i vestiti; un’altra per il cibo e il divieto paternalistico di acquistare sigarette. I soldi allocati per una voce non possono essere risparmiati e spesi per un’altra categoria e, alla fine di ogni mese, il denaro non speso non si accumula e il credito viene ripristinato per i 30 giorni successivi.

Questa stessa storia, però, diventa il racconto del grande successo delle strategie bottom up, in cui gli esseri umani si autoregolano producendo un’economia florida a dispetto dell’architettura decisionale. A Zaatari succede che gli abitanti acquistano latte in polvere con la propria tessera pre-pagata. Lo vendono con un piccolo sconto a giovanissimi contrabbandieri che eludono i controlli del campo profughi, sconfinano in Giordania e rivendono il latte con un piccolo margine. Il denaro contante generato serve per alimentare un sistema di scambi meno rigidamente controllato e, inevitabilmente, più efficiente, perché consente agli abitanti di domandare e acquistare ciò che davvero desiderano.

Quello che Davies descrive nel libro è particolarmente interessante se lo pensiamo con riferimento al tema delle esternalità e della loro correzione, così decisivo per la questione ambientale

Nella seconda parte del saggio, la storia di Darién a Panama è sinistra e preziosa insieme. Lì la deforestazione ha prodotto un caso classico di tragedy of the commons, in cui, cioè, una risorsa comune (la foresta) cui tutti hanno accesso genera un sovra-utilizzo che porta all’esaurimento della stessa. Il policy maker ha reagito con un sistema di sussidi per chi riforesta senza, tuttavia, tenere conto delle specie botaniche, con il risultato che proliferano foreste di tek, un tipo di pianta che non fa filtrare la luce del sole, lascia a terra foglie tossiche per gli insetti e, in ultima analisi, distrugge ecosistemi.

L’ultima parte del libro di Davies è dedicata al futuro: l’esercizio è lo stesso che fece Keynes quando parlò delle prospettive economiche dei nipoti circa un secolo fa. Per scrivere il suo pamphlet, Keynes si basò su un criterio semplice: cercò di individuare i trend più estremi del suo tempo e, considerandoli avanguardie, li proiettò nel futuro. Ne nacque una visione ottimistica perché i fatti emergenti che allora considerava significativi erano l’aumento del reddito pro-capite e la riduzione dell’orario di lavoro.

Davies identifica dinamiche diverse e considera tre pattern che determinerannoil futuro in base alla capacità di Sapiens di gestirli: invecchiamento della popolazione, innovazione tecnologica spinta dalla digitalizzazione, disuguaglianza.

Non potrà sfuggire all’occhio più attento un cambio radicale di prospettiva: dall’accelerazione ottimista di inizio ventesimo secolo, in cui Keynes osserva l’esplosione del reddito e la disruption tecnologica slanciandosi in un volo pindarico e felice, a una visione inevitabilmente più pessimista, legata a un’identificazione di trend che parte da segnali molto più in chiaroscuro: dall’invecchiamento (connesso a un’aspettativa di vita più alta) alla disuguaglianza economica fino alla cittadinanza digitale. Più che il disegno di una nuova utopia, quel che ne viene fuori è uno spoiler di Black Mirror. Ciò nonostante, il tono del saggio rimane positivo e di speranza.

La conclusione di Extreme Economies può apparire banale: per la regolazione dei rapporti tra economia e società, il mercato è indispensabile ma va accompagnato da un intervento pubblico lungimirante. È l’ennesima ricerca della terza via? Forse, ma mai come in questi giorni di pandemia, di fronte a una realtà radicalmente mutata, cercare di disegnare un modello di sviluppo diverso ha senso e prendere spunto da situazioni di estrema emergenza può offrire spunti di riflessioni capaci di aiutare Sapiens in ciò che sa fare meglio. Evolvere.


Luciano Canova, economista, Scuola Enrico Mattei

Foto: Campo profughi Zaatari, Wikipedia

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