C’è quello pubblico, quello monetario e infine quello ambientale. Se per i primi due l’extrema ratio è il default dello Stato – evento drammatico ma dalle cui macerie si può ricostruire – la peculiarità del terzo è che coinvolge le generazioni future – impossibilitate a riscuotere – e che le sue conseguenze – l’annichilimento del Pianeta – sono irreversibili. A complicare le cose, il fatto che oggi i primi due debiti ostacolano terribilmente la risoluzione del terzo.
Ci sono due debiti. Anzi tre. Ma il terzo lasciamolo per ultimo, perché diverso, meno visibile e nello stesso tempo più temibile degli altri due.
Il primo è limpido e noto, ed è quello pubblico che affligge un numero sproporzionato di Stati che da un certo periodo in poi hanno cominciato a spendere più del dovuto. Piano piano le spese hanno cominciato a superare la raccolta fiscale, e così il debito è cresciuto. Ma questo era solo l’inizio – il primo passo – perché il debito è forza che accresce se stessa. Forse la consueta attribuzione a Benjamin Franklin è erronea, ma resta il fatto che “money makes money. And the money that money makes, makes money”.
Money makes money. And the money that money makes, makes money – aforisma generalmente attribuito a Benjamin Franklin
Se il debito non è ripianato esso si accumula: come la valanga che accresce se stessa rotolando sulla neve, il debito cresce su stesso alimentato da interessi crescenti. Presto viene un punto tale che la massa degli interessi è così grande che lo stesso rigore fiscale può poco: le entrate sono più delle spese ma il debito continua a crescere perché gli interessi malefici lo alimentano.
È il caso dell’Italia che, a parte i due anni 2009 e 2010, persegue avanzo primario dal 1992 in poi: le entrate sono più delle spese ma il debito cresce ugualmente perché gli interessi compensano abbondantemente quell’avanzo. Ci vorrebbe un avanzo primario maggiore, ma come si fa? Il rigore fiscale penalizza le spese, il cui basso livello penalizza la crescita del reddito che, a sua volta, penalizza le entrate che, a seguire, penalizzano le spese in un circolo perverso che colloca il paese su un crinale fosco, sospeso su strapiombi vertiginosi.
Ma l’Italia non è la sola nazione ad essere sprofondata in questo incubo. Nell’anno del Signore 2020 il debito pubblico delle economie avanzate veleggia intorno al 120% del PIL, laddove era meno del 75% nel 2007.
Nel 2020 il debito pubblico delle economie avanzate veleggia intorno al 120% del PIL
Non è nostro intento comprendere come tutto ciò sia cominciato. Non escludiamo che tutto parta da Lord Keynes e dallo sdoganamento dell’idea di deficit spending nel New Deal roosveltiano. Ma siamo di fronte all’eterogenesi dei fini: il positivo che diventa negativo. E infatti il deficit spending che, prima della grande depressione era veleno, diventa progressivamente antidoto e poi bevanda gradevole e infine alcool che crea dipendenza. Si passa da un estremo all’altro: impervia è la via di mezzo per gli Stati moderni.
Il secondo debito, che è consustanziale al primo, è l’attivo delle banche centrali che, dopo il 2008, hanno iniettato liquidità in misura straordinaria nelle economie. È un debito dell’economia e dei governi nei confronti delle banche centrali. I grafici hanno forza espressiva superiore alle parole, in particolare il recente inerpicarsi verticale degli asset della Fed americana soffiati dal virus.
Il risultato è nei numeri: nei 13 anni dal 2007 al 2020 il rapporto tra gli attivi delle banche centrali e il PIL dei paesi cresce prodigiosamente: dal 12 al 40% in Europa, dal 6 al 18% in America; in Giappone, addirittura, dal 20 al 105%.
Come già per i debiti pubblici, ritorna l’eterogenesi dei fini: il positivo che diventa negativo: pensato come forma di sostegno all’economia, il fiume di liquidità immesso dalle banche centrali nell’economia sfocia magicamente nei mercati azionari. Wall Street è una bolla che si gonfia al ritmo della liquidità iniettata dalla banche centrali: quattro volte dal 2008 ad oggi… nonostante i colpi micidiali menati da Covid. Guardare il grafico per credere.
È chiaro che c’è qualcosa che non va in questa storia dei debiti. Siamo di fronte a squilibri significativi che devono rientrare: corposi debiti degli Stati significano precarietà dei conti pubblici e connessa possibilità di fallimento. Masse monetarie sproporzionate che allagano la meccanica dell’economia significano sproporzione tra beni prodotti e moneta, e dunque possibilità di inflazione.
Il debito ambientale è un debito verso le generazioni future, con la peculiarità che loro non potranno pretenderne la riscossione
Infine c’è il terzo debito. Lo abbiamo lasciato per ultimo perché di natura diversa dagli altri due. Ci riferiamo a quello ambientale, di cui la questione climatica rappresenta la parte più significativa e, soprattutto, più minacciosa. Conduciamo uno stile di vita che richiederebbe 1,6 Pianeti Terra per essere sostenuto. In parole povere, stiamo prendendo a prestito dalle generazioni future.
L’aspetto iniquo di questo tipo di debito è che le generazioni future non potranno mai richiedere indietro il prestito concesso perché quando verrà l’ora della riscossione il debitore si sarà estinto. E d’altra parte, seppure egli fosse vivo, come potrebbe sdebitarsi per un Pianeta saccheggiato oltre i limiti della sua capacità rigenerativa? Oltre un certo limite, infatti, c’è l’irreversibilità dell’azione: non è possibile tornare indietro.
Ciò che per i primi due debiti è il default dello Stato, per il terzo è l’annichilimento del Pianeta. Il primo è evento certo drammatico ma comunque reversibile: con “lacrime e sangue” si può tornare indietro e ricostruire. La stessa esperienza tragica delle due grandi guerre lo testimonia. Nella sfera climatica, invece, tale reversibilità non esiste.
Oltre un certo limite, il debito climatico è irreversibile
Sapiens sta conducendo un esperimento nuovo e periglioso con il Pianeta, al termine del quale c’è – se non si interviene oggi – lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello dei mari e la conseguente invivibilità di aree del globo dove oggi risiedono centinaia di milioni di persone. Si pensi all’allagamento della baia di San Francisco, o a quello di Shangai, o quello delle isole greche o delle coste italiane.
Tutto avviene al rallentatore – quasi invisibilmente – ma avviene. Se il fenomeno non sarà fermato nei prossimi 3-4 decenni non sarà possibile fare marcia indietro perché l’accumularsi del carbonio nell’atmosfera è fenomeno caratterizzato da inerzia: così come un tir di 40 tonnellate non può frenare in dieci metri, nello stesso modo non è possibile abbassare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera a livelli di sicurezza nel giro di qualche anno.
I primi due debiti ostacolano la risoluzione del terzo
È questo il tempo di agire. In particolare il decennio 2020-2030 è periodo critico nel quale intervenire – ci ripromettiamo di tornare su questo tema – con tempestività e fermezza. Ma l’azione richiede denaro e flessibilità di azione, proprio ciò che manca oggi perché i due debiti sopra descritti sono esplosi oltre misura.
Occorrerebbe un’ampiezza di manovra che non c’è, erosa da gestioni poco sagge nel periodo 2008-2019, ed esacerbata dalla crisi sanitaria negli ultimi mesi. Rimandiamo il lettore che volesse approfondire la complessa relazione debito pubblico-azione delle banche centrali all’illuminante articolo di Olivier Blanchard e Jean Pisani-Ferry “Monetizzazione del debito: niente panico”. L’articolo, che inietta un po’ di ottimismo in un quadro critico, asserisce che le banche centrali stanno oggi facendo la cosa giusta e non c’è ragione di cadere preda dell’angoscia.
Confidiamo che l’ottimismo del pezzo – sostenuto dall’autorevolezza degli autori – sia fondato. Lo speriamo dal profondo del cuore perché sciogliere il rebus dei primi due debiti è vitale per la soluzione del terzo, la cui posta in gioco è di diversi ordini di grandezza superiore.
COVID-19, purtroppo, ha aggravato una situazione già seria, uscire dalla quale non sarà semplice per Sapiens. Usiamo questo termine perché il problema non è nazionale ma dell’intera specie. Oggi, intrecciate tra di loro, le tre corde dei debiti rischiano di strangolare il Pianeta e la specie. Sapiens dovrà attingere a tutto il suo ingegno – di certo immenso – per uscire dal labirinto nel quale si è cacciato.
Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di «Energia»
Sul tema debito pubblico leggi anche:
Il virus, il debito pubblico, l’economia, di Enzo Di Giulio, 9 Aprile 2020
Foto: Unsplash
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