Qual è l’esposizione dell’industria bancaria italiana al “rischio di transizione” che si materializzerebbe nel caso di un passaggio disordinato e inatteso verso un’economia low carbon? Un nuovo studio offre una valutazione dell’impronta carbonica dei prestiti (Loan carbon intensity – LCI): questa misura l’ammontare di emissioni di gas serra mediamente prodotto per ogni euro di credito erogato a un’impresa. Vengono altresì presentate diverse metodologia per individuare i settori più a rischio.
I mutamenti climatici possono comportare diversi rischi per il sistema finanziario, raggruppabili in due categorie: rischi fisici, conseguenza delle manifestazioni dei cambiamenti climatici sulla solidità finanziaria di famiglie e imprese, oppure rischi di transizione, derivanti dall’impatto delle politiche di decarbonizzazione sugli equilibri economico-finanziari dei settori carbon-intensive.
Il rischio di transizione risulterebbe più acuto qualora il passaggio verso un’economia low carbon avvenisse in modo disordinato e imprevisto dal mercato
Proprio per il rischio di transizione è cresciuto l’interesse di banche centrali e autorità di vigilanza nazionali e internazionali, come attestano i rapporti del Network for Greening the Financial System e della Banca Centrale Europea. Alcune banche centrali, come quella olandese, hanno già prodotto analisi preliminari sui possibili effetti del concretizzarsi di questo rischio; altre, come quella inglese, stanno procedendo a queste valutazioni.
Un nostro recente lavoro fornisce una prima valutazione dell’esposizione dell’industria bancaria italiana al rischio di transizione. Lo studio si concentra sui prestiti alle imprese non finanziarie concessi da banche e intermediari finanziari. L’esposizione al rischio di transizione viene stimata attraverso tre metodologie.
La prima è una mappatura che individua tra i settori di attività economica cinque macro-comparti – detti climate-policy-relevant sectors (CPRS) – particolarmente esposti alle politiche di decarbonizzazione: energy-intensive, fossil-fuel, housing, utilities e transport (per maggiori dettagli su questi macrosettori si veda qui). Questo sistema di classificazione era già stato utilizzato dalla BCE per valutare il rischio dei portafogli di azioni e obbligazioni detenuti dagli operatori finanziari dell’Eurosistema, ma è la prima volta che se ne fa ricorso per quantificare l’esposizione dei prestiti.
L’impronta carbonica dei prestiti (Loan carbon intensity – LCI) misura l’ammontare di emissioni di gas serra che viene mediamente prodotto per ogni euro erogato a un’impresa di un certo settore
Le altre due metodologie combinano, in base ai settori di attività delle imprese, i dati sulle consistenze dei prestiti (tratte dalla Centrale dei rischi) con quelli sulle emissioni di gas serra (di fonte Eurostat). L’utilizzo congiunto di queste informazioni consente di valutare l’impronta carbonica dei prestiti (Loan carbon intensity – LCI), misurata dal rapporto tra emissioni di gas serra e prestiti di ciascun settore. Questa semplice misura indica l’ammontare di emissioni di gas serra che viene mediamente prodotto per ogni euro erogato a un’impresa di un certo settore.
L’indicatore può essere utilizzato sia per individuare all’interno di un paese i settori con una maggiore impronta carbonica (ad es. con un LCI settoriale superiore al valore mediano) sia per confrontare l’impronta carbonica dei prestiti tra diversi paesi. Per confrontare l’impronta carbonica dei prestiti all’interno dell’Eurosistema, ad esempio, è possibile combinare i dati Eurostat sulle emissioni (disponibili per l’intera UE) e quelli sui prestiti derivati dai Consolidated Banking data della BCE. La variabile con cui queste informazioni vengono associate è sempre il settore di attività delle imprese, ma con un livello di granularità inferiore rispetto all’esercizio nazionale.
Quali sono i settori maggiormente esposti in termini di emissioni e credito?
La terza metodologia calcola il contributo relativo di ciascun settore in termini di emissioni e prestiti, derivando una misura che sintetizza queste due informazioni con lo scopo di individuarei settori maggiormente esposti in termini di emissioni e credito (Carbon-Critical Sectors – CCrS).
Utilizzando questi tre approcci si ottengono i seguenti risultati:
1. sulla base dei dati riferiti alla fine del 2018, l’esposizione al rischio di transizione delle banche italiane si colloca, in base alla metodologia applicata, in un intervallo compreso tra il 36,5 e il 52,9 percento del complesso dei prestiti alle imprese (ovvero tra il 9,9 e il 14,4 per cento del totale degli attivi);
L’esposizione al rischio di transizione delle banche italiane si colloca nell’intervallo 36,5-52,9% del complesso dei prestiti alle imprese
2. i settori più esposti in base alla classificazione adottata sono:
- l’energy-intensive e l’housing, secondo il metodo CPRS;
- la fornitura di energia, i rifiuti e il trasporto aereo, usando l’impronta carbonica (LCI);
- la fornitura di energia, l’agricoltura, il commercio e le costruzioni, con la classificazione CCrS.
L’impronta carbonica dei prestiti in Italia è tra le più basse dell’Eurosistema
3. l’impronta carbonica dei prestiti (LCI) in Italia risulta nel periodo considerato intorno ai 330 grammi di gas serra per euro di credito concesso, tra le più basse dell’Eurosistema, e largamente inferiore a quella della Germania.
Faiella e Lavecchia (2020), “The carbon footprint of Italian loans”, Banca d’Italia, Occasional Paper, n.557.
Ivan Faiella e Luciano Lavecchia, Banca d’Italia
Le idee e le opinioni espresse sono da attribuire agli autori e non investono la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.
Sul tema rischi climatici e finanziari leggi anche:
Gli impatti climatici sull’economia reale, di Redazione, 18 Novembre 2019
I rischi climatici secondo le Banche Centrali, di Redazione, 23 Settembre 2019
Foto: Unsplash
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