28 Maggio 2020

Non sacrificare l’economia circolare sull’altare della ripresa economica

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La crisi pandemica sta causando non poche difficoltà al comparto della raccolta rifiuti, penalizzando la filiera del riciclo e lo sviluppo di un’economia circolare. Serve una strategia di medio-lungo periodo che vada oltre lo stato di emergenza, ad esempio sulla plastic tax. Conciliare l’oggi (stimolo all’economia) col domani (decarbonizzazione) è infatti la sfida che ogni policy maker nazionale ed europeo dovrà affrontare d’ora in avanti.

La crisi pandemica sta mordendo anche il settore ambientale e la stessa economia circolare che dovrebbe invece guidare le scelte strategiche delle imprese e dei policy maker in questo nuovo decennio – il cui inizio è stato tutt’altro che banale.

Partendo da una disamina dei servizi di raccolta dei rifiuti urbani, da inizio anno si sta registrando un calo dei volumi di raccolta pari al 7-8% rispetto allo stesso periodo del 2019 e nel solo mese di aprile il calo ha raggiunto un -20% rispetto all’anno precedente.

La raccolta dei rifiuti segna un -7-8% nel 2020 (vs stesso periodo 2019) con un picco di -20% nel mese di aprile (vs aprile 2019)

Le cause di questo crollo sono ben note e da ricercare nel lockdown delle attività commerciali e produttive i cui rifiuti sono, in varia misura, assimilati a quelli urbani.

La situazione di difficoltà economica e finanziaria di alcune categorie di utenti del servizio di raccolta dei rifiuti urbani ha sollevato un legittimo dibattito sull’opportunità di prevedere misure di favore tariffario nei confronti di tali categorie. In questo caso, come per molte altre situazioni emergenziali di questo inizio 2020, gli interventi sulla tariffa a favore delle categorie penalizzate può e deve venire prevalentemente da interventi del Governo. A tal fine si evidenzia che nell’ultimo decreto sono stati stanziati 3,5 miliardi di euro a favore dei Comuni e uno dei capitoli di spesa a cui possono essere dedicate tali risorse è proprio quello dei costi di raccolta.

Il Decreto Rilancio stanzia 3,5 miliardi di euro a favore dei Comuni da destinare anche alla raccolta dei rifiuti

Del resto, il gestore del servizio, a fronte di un calo dei volumi raccolti, non ha assistito ad un’analoga riduzione del costo totale del servizio, essendo la maggior parte dello stesso caratterizzata da costi fissi (quasi la metà è infatti costo del personale), e senza considerare i costi emergenti legati ai servizi aggiuntivi resisi necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria (es. frequenza e tipologia dei giri di raccolta).

Non sorprende quindi che, a livello complessivo, il costo del servizio di raccolta abbia finora fatto registrare una contrazione di pochi punti percentuali.

Andando nel dettaglio di alcune altre voci di costo del gestore, le tariffe di smaltimento del rifiuto indifferenziato sono infatti stabilite dall’Autorità Regionale (in attesa delle disposizioni di ARERA) e corrispondono quindi a componenti esogene per il gestore del servizio.

Il crollo del valore delle materie prime seconde (plastica in primis) penalizza la filiera del riciclo, essenziale per l’economia circolare e su cui l’Italia ha puntato investendo molto

Parallelamente, i costi di trattamento e recupero, legati alle matrici oggetto di raccolta differenziata, stanno soffrendo del crollo del valore delle materie prime seconde (in particolare plastica e carta) a causa del rallentamento della domanda. Questa dinamica di mercato si traduce in in minori ricavi da cessione delle materie raccolte e, dunque, in un costo residuo maggiore del servizio di raccolta dei rifiuti urbani rispetto ad un contesto di prezzi non depressi.

La domanda di materie prime seconde, del resto, è in contrazione per effetto della crisi economica, ma non soltanto. Nel caso della plastica, ad esempio, il crollo del mercato petrolifero ha portato i valori dei polimeri vergini a 700 euro/ton, ossia a soglie assolutamente insostenibili anche per la filiera del riciclo delle plastiche più nobili, con il rischio di far saltare un intero comparto su cui il Paese ha investito in modo importante nell’ultimo decennio e che rappresenta un pilastro per lo sviluppo di un’economia circolare.

Serve una strategia che vada oltre lo stato di emergenza, ad esempio sulla plastic tax

In questo contesto straordinario sarebbe necessario adottare una visione di medio-lungo termine che vada oltre lo stato di emergenza attuale, e sarebbe stato preferibile dar seguito alla scelta di introdurre un onere differenziale tra costo della plastica vergine e quello della plastica riciclata, come la plastic tax (450€/ton di imposta sulla sola plastica vergine – non riciclata e non compostabile – destinata agli imballaggi), che invece è stata recentemente rinviata a gennaio 2021.

Il gettito di una plastic tax potrebbe poi essere dedicato ai processi di conversione dei trasformatori di plastica vergine e/o allo sviluppo di nuove applicazioni per il polimero riciclato, alimentando ulteriormente il processo di sviluppo della green economy all’interno della stessa filiera.

Inoltre, l’attuale scenario di prezzi bassi del petrolio e dell’energia riduce l’impatto relativo di una plastic tax sulla competitività di costo delle industrie indirizzate, rendendo quindi l’attuale congiuntura come un’occasione per cominciare a modificare la fiscalità nazionale e comunitaria verso gli obiettivi al 2030.

Una plastic tax efficace potrebbe poi essere condivisa a livello europeo, per non penalizzare la competitività di un materiale comunque “nobile” (se ben progettato e avviato a riciclo) e delle produzioni italiane.

Conciliare l’oggi (stimolo all’economia) col domani (decarbonizzazione)

Affrontare le urgenze del post-COVID non può quindi compromettere le esigenze di lungo termine nella lotta ai cambiamenti climatici, di cui l’economia circolare costituisce un tassello di non poco conto. Conciliare l’oggi con il domani è la sfida che ogni policy maker nazionale ed europeo dovrà affrontare d’ora in avanti, andando a misurare ciascun intervento pubblico sia sulla dimensione dell’efficacia di breve termine (stimolo all’economia) che su quella di lungo termine (decarbonizzazione).

Il compito non è sicuramente facile, ma dimenticare di effettuare tale esercizio potrebbe compromettere irrimediabilmente gli sforzi verso una green economy, facendo perdere al Paese o all’UE l’opportunità di destinare risorse economiche alle soluzioni che meglio contemperino le esigenze di breve e di lungo termine.

La Commissione Europea sta già facendo i primi passi in tal senso, come emerge dalle proposte di Recovery Plan presentate al Parlamento europeo dalla Presidente Ursula von der Leyen, in cui spiccano i 560 miliardi di euro sotto il titolo di Recovery and Resilience Facility, destinati ad interventi a supporto di una “ripresa sostenibile”.


Stefano Venier è Amministratore Delegato  Gruppo HERA


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Foto: Apocalypto

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