9 Giugno 2020

Controreplica a Claudio Palmieri

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La controreplica di Giovanni Goldoni alle argomentazioni mossegli da Claudio Palmieri in risposta al post del 19 maggio Quer pasticciaccio brutto (dei certificati bianchi).

Dall’ultima relazione che è stata inviata dal nostro Governo all’Unione Europea sull’applicazione dell’articolo 7 della direttiva 2012/27/UE sui regimi obbligatori di efficienza energetica (aprile 2019), esce una situazione che è ben rappresentata dal grafico qui riportato. I nostri dati consuntivi arrivano fino al 2018. Questo implica che nei due anni (che erano) rimasti, dovremmo più che raddoppiare il totale dei risparmi realizzati nei precedenti quattro per centrare l’obiettivo nazionale al 2020. Il deficit, per non dire la voragine, si sta creando proprio nell’area azzurra dei risparmi derivanti dai certificati bianchi. A dispetto del primato riconosciuto al meccanismo da vari e autorevoli opinionisti.

La rivista Energia ospita da molti anni contributi di analisi sulle criticità, purtroppo croniche, dei certificati bianchi. Il prof. Stefano Clò, dell’Università degli Studi di Firenze, nel numero 4 del 2012 sintetizzava analisi e conclusioni di uno studio molto esteso a cui aveva partecipato, da cui erano emerse numerose criticità dal lato dell’offerta. Per porvi rimedio veniva illustrato un lungo elenco di proposte di policy, molte delle quali restano tuttora valide.

Il prof. Luigi De Paoli, dell’Università Bocconi, nel numero 4 del 2017 espose in un lungo articolo un modo, giusto e ragionevole, per tornare ad ancorare il sussidio insito nel prezzo dei certificati bianchi ai prezzi dell’energia, concludendo con grande onestà intellettuale che la sua proposta non garantiva che l’obiettivo di risparmio fissato (vedi sopra) venisse raggiunto.

Io stesso ho affrontato almeno un paio di volte l’argomento. Nel numero 2 del 2015 cercai di evidenziare sia la concezione poco razionale dei due articoli che sono i pilastri della direttiva 2012/27/UE, il 3 e il 7, sia i rischi a cui l’Italia si era esposta nella fissazione degli obiettivi nazionali, in particolare di quelli collegati ai regimi obbligatori dell’art. 7. Mi ero poi azzardato a prevedere che la decisione di assegnare al meccanismo dei certificati bianchi un ruolo preminente nel conseguimento degli obiettivi non avrebbe affatto ridotto questa esposizione.

Chi volesse leggere l’ultima valutazione dei progressi realizzati dagli Stati membri nel conseguimento degli obiettivi nazionali di efficienza energetica per il 2020 e nell’attuazione della direttiva 2012/27/UE troverebbe conferma dell’esistenza di squilibri poco naturali. L’Italia, ad esempio, è promossa a pieni voti per la riduzione dei consumi primari e finali di energia, ma è giudicata in ritardo nel conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 7.

Tra l’effetto sui consumi del lockdown e i pasticci combinati con i certificati bianchi molto verosimilmente questa forbice sarà molto più aperta alla fine del 2020. Non so come l’Unione Europea valuterà il tutto. Personalmente ribadisco quello che ho scritto nel blog: potrebbe essere una buona occasione per riallineare, anche retroattivamente, la domanda di certificati bianchi, ovvero gli obblighi dei distributori, all’offerta.

Ho poi la cattiva abitudine di seguire l’evoluzione degli argomenti di cui scrivo. Nel numero 4 del 2018 sono tornato a studiare l’applicazione del meccanismo e ho classificato come un fallimento della regolazione l’incapacità di tenere in un equilibrio accettabile la domanda e l’offerta di titoli. A distanza di un anno e mezzo trovo che le cose sono ulteriormente peggiorate sul versante dell’offerta di nuovi certificati, e nel blog ho deciso di scomodare Carlo Emilio Gadda e il suo pasticciaccio brutto. D’altra parte l’ing. Dario Di Santo, che è stato negli ultimi anni uno degli analisti del meccanismo più attenti, più costanti e più ascoltati, ha evocato allo stesso proposito la selva oscura di Dante Alighieri.

Nella replica al mio commento apparso sul blog della rivista si parla di un monte risparmi di 26 milioni di TEP conseguiti e misurati grazie ai certificati bianchi. Ribadisco che quell’ammontare è tale solo sulla carta. Per prima cosa una parte, di cui temo non conosceremo mai la precisa estensione, è frutto di frodi, ossia di interventi che non sono stati correttamente eseguiti. In secondo luogo, la fetta maggiore dei 26 milioni di TEP deriva da schede standardizzate, che stimano a tavolino il risparmio di energia derivante dall’installazione delle diverse UFR (unità fisica di riferimento) e lo cristallizzano sul foglio della scheda tecnica.

Quel che corrisponde precisamente alla mia definizione di risparmio “sulla carta”: incerto ovvero non precisamente quantificabile. Potrebbe anche essere superiore. Chi può dirlo? Solo i progetti con rendicontazione a consuntivo forniscono un dato di risparmio misurato. Ma sono una quota decisamente minoritaria. E sono sempre più difficili -progetti e risparmi- da realizzare. I nuovi criteri del GSE sono probabilmente quel che più si avvicina alla misura ideale del risparmio di energia da incentivare. Semplicemente non possono essere impiantati brutalmente in un meccanismo che ha già un vincolo da rispettare sul lato della domanda.

Nella replica si riporta una mia citazione “virgolettata” che non compare nel testo. Se si tratta del passaggio in cui stigmatizzo chi ha alimentato: “una fiducia incrollabile nelle virtù del meccanismo di stimolare risparmi di energia sempre nuovi, sempre maggiori e sempre a costi contenuti”, ribadisco con forza il messaggio. Una visione più realistica non solo dei pregi ma anche dei molti limiti del meccanismo avrebbe evitato di caricarlo di aspettative eccessive. È oggi evidente che i risparmi stimati stanno calando e non crescendo come dovrebbero. E i dati più recenti dell’osservatorio CESEF rappresentano l’impennata inevitabile del costo in euro per ogni TEP risparmiata grazie al meccanismo dei certificati bianchi, adesso almeno 3-4 volte superiore rispetto al periodo d’oro 2012-2016.

Gli operatori coinvolti nel meccanismo cambiano opinione. È legittimo farlo. Nel 2011 il responsabile di Energy Management di HERA esprimeva concetti condivisibili e formulava un giudizio complessivamente negativo del meccanismo. Posso capire che i successivi incrementi del contributo tariffario e dei prezzi dei certificati abbiano dischiuso opportunità interessanti a distributori ed ESCO, figure che a volte, come nel caso di HERA si sovrappongono.  

Posso anche capire le loro preoccupazioni di fronte a un futuro incerto, soprattutto per quanti abbiano sottoscritto nell’ultimo biennio contratti di energy service performance in cui si sono esposti al rischio di variazione dei prezzi dei certificati bianchi. Sono anche sicuro che i progetti che hanno superato la dura selezione del GSE hanno un grande valore energetico e industriale. Ma tutti insieme producono un risparmio insufficiente a tenere in equilibrio il meccanismo e a mantenere sotto controllo gli oneri da recuperare in bolletta.

Cito questi ultimi perché l’unica variazione nella regolazione del meccanismo inceppato occorsa in questo anno e mezzo è quella imposta dal TAR della Lombardia, dopo che due distributori (ACEA e Italgas) avevano presentato un ricorso contro la fissazione di un valore massimo al contributo tariffario. Ricorso accolto, ed è ormai certa una nuova delibera di ARERA che rimetterà le cose come stavano dopo il decreto ministeriale del 10 maggio 2018. Giusto per parlare di cose poco utili alla causa.

Per quanto riguarda l’idea di applicare uno strumento come la Market Stability Reserve al meccanismo dei certificati bianchi, mi permetto due osservazioni tra loro collegate. Il MSR è applicato a un mercato dei permessi di emissione per provare a risolvere un eccesso d’offerta cronico, che deprime i prezzi, attraverso il ritiro temporaneo dei permessi. A partire dal 2023 sarà addirittura previsto l’annullamento dei permessi accantonati nella riserva che risulteranno in eccesso rispetto al volume dei permessi assegnati tramite asta l’anno prima. Non è detto che lo strumento possa adattarsi bene a una situazione diametralmente opposta, in cui ai titoli che dovrebbero essere resi disponibili, non è ancora chiaro in che quantità e a quali condizioni, prima o poi dovranno corrispondere progetti e risparmi realizzati. E anche fosse possibile adattare lo strumento, per farlo sarà indispensabile, e non solo utile, studiare bene le cause che hanno portato a questo brutto pasticcio.

Concludo con un altro omaggio a Carlo Emilio Gadda, dove insieme all’efficienza compare un’altra vexata quaestio sollevata dalle politiche dell’Unione europea: quella della biomassa termica: “nessun aumento di temperatura si verificò nella sala, davanti a quella macchina operante a rendimento termico nullo, che è il fesso e assolutamente rimbecillito caminetto” (La cognizione del dolore).


Giovanni Goldoni è professore presso l’Università di Verona e membro del Comitato Scientifico della rivista Energia


Sul tema certificati bianchi leggi anche:
Risposta a Giovanni Goldoni: i TEE non sono un pasticciaccio, ma un vero successo di innovazione ed efficacia, di Claudio Palmieri, 9 Giugno 2020
Quer pasticciaccio brutto (dei certificati bianchi), di Giovanni Goldoni, 19 Maggio 2020
Efficienza energetica: una valutazione delle misure individuate nel PNIEC, di Stefano Venier, 6 Marzo 2019
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Foto: Unsplash

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