È tempo di un primo bilancio per il “bonus-malus” che penalizza l’acquisto di auto che emettono più di 160 CO2gr/km e premia quello di elettriche ed ibride plug-in, le uniche in grado di attestarsi al di sotto della soglia dei 60 grammi. Introdotta dal governo “giallo-verde” con un emendamento notturno alla Legge di Bilancio 2019, la misura è piuttosto controversa. Il principio è condivisibile – far pagare chi inquina così da avvantaggiare chi lo fa in misura molto minore – ma l’applicazione è stata tanto iniqua e quanto inefficace.
Mentre centinaia di migliaia di italiani attendono, probabilmente non del tutto fiduciosi, il cosiddetto bonus bici – invero una nuova versione del “buono mobilità” già previsto all’articolo 2 del DL 111 del 2019, l’ambizioso Decreto Clima, ma rimasto lettera morta – alla Camera, complice una specifica interrogazione, si fatto un rapido bilancio della misura malus-bonus introdotta con la Legge di Bilancio 2019.
Una misura piuttosto controversa, non a caso introdotta con un notturno emendamento dell’incredibile, almeno fino al giuramento, “governo giallo-verde” come è stato ribattezzato dalla stampa.
Tanto che la caterva di critiche pervenute provocò una parziale marcia indietro. La misura – subito ribattezzata ecotassa – introduceva infatti un’imposta modulata sui grammi di CO₂ “emessi”, a partire dalla soglia di 110, da pagare per ogni autovettura di nuova omologazione, un malus che sarebbe andato da 150 fino a 3 mila euro. Mentre il bonus sarebbe andato ad elettriche ed ibride plug-in (ricaricabili dunque col la spina), le uniche in grado di attestarsi al di sotto della soglia dei 70 grammi di CO₂ emessi per km percorso, attribuiti in sede di omologazione (valore abbassato a 60 con l’ultimo Milleproroghe dello scorso febbraio). L’incentivo, fino a un massimo di 6 mila euro (3 mila per le ibride plug-in) nel caso di un’improbabile rottamazione, sarebbe andato a vetture senza limiti di prezzo d’acquisto alcuno.
Così mentre la più economica delle Panda (anche per via del non nuovissimo motore 1.200) avrebbe pagato 300 euro, una super berlina ibrida ricaricabile da 210 mila euro (in grado di spingersi fino a più 300 km/h!) e un mastodontico SUV elettrico, che allora costava più di 160 mila euro, avrebbero beneficiato rispettivamente fino a 3 mila e 6 mila euro di bonus.
Un capolavoro di equità insomma, che anche nella versione finale, rivista e corretta, con un malus che parte da 1.100 euro fino a 2.500 euro e un bonus da 1.500 fino ad un massimo di 6.000 euro ha mantenuto la pregiudiziale impostazione iniziale.

Il principio, ormai arcinoto, era quello di far pagare chi inquina così da avvantaggiare chi lo fa in misura molto minore è ovviamente condivisibile, ma l’applicazione è stata tanto iniqua e quanto inefficace.
Le emissioni, al pari dei consumi, dipendono in ogni caso da quanti chilometri si percorrono (e da come li si percorre)
Le emissioni sono calcolate in grammi di CO₂ per chilometro percorso, infatti, sono solo un altro modo per esprimere i litri di carburante consumati: più si consumano carburanti fossili più anidride carbonica si emette. Le emissioni, al pari dei consumi, dipendono in ogni caso da quanti chilometri si percorrono (e da come li si percorre).
E dunque, poiché il mix di generazione italiano, benché sempre più pulito è lontanissimo dallo zero, e i km percorsi con un kWh non sono poi così tanti, è piuttosto facile, conti alla mano, dimostrare che non è detto che una vettura elettrica o ibrida plug-in emetta meno di una alimentata a gasolio, benzina, GPL o metano, specie se la prima viene utilizzata più della seconda.
La misura è stata ripresa in Francia, dove però non si paga il bollo (che già colpisce le emissioni teoriche)
Andrebbe pure ricordato che la misura italiana è stata ripresa dal bonus-malus écologique francese. In Francia però non si paga il bollo, l’invisa imposta legata al possesso che grazie al superbollo, in Italia oltre a rappresentare di fatto una patrimoniale (le Ferrari e Lamborghini più potenti pagano anche più di 8 mila euro l’anno, per i primi cinque anni) è già parametrata sulla potenza del motore e quindi già colpisce le emissioni teoriche. È ovvio infatti che – a parità di chilometri percorsi – una supercar consumerà e inquinerà di più di una city car, con un motore grande un quarto che eroga un ottavo o anche un decimo della potenza della prima.
Ci sarebbe anche da dire che i produttori sin dal 2009 sono, a dir poco, spronati a immettere sul mercato automobili sempre più parche con tanto di obiettivi vincolanti, sanzioni e (super) vantaggi per le vetture elettriche, i supercrediti (si veda E se l’auto vecchia scaccia quella nuova?).
Ma forse è il caso di citare le ripetute rimostranze espresse tanto da Anfia, che rappresenta l’intera filiera automobilistica italiana, quanto da Unrae, che rappresenta le case estere che operano in Italia, che pure le auto elettriche e ibride plug-in le vendono già da un po’. Anfia parla esplicitamente di “atteggiamento ideologico e sordo a qualunque argomento pragmatico”.
Il fatto che oltre il 77% dei veicoli siano stati incentivati senza contemporanea rottamazione lascia supporre che ne abbia beneficiato chi non possiede un catorcio da rottamare
Ecco, stante così le cose, forse il successo che avrebbe riscosso quello che il Ministero dello sviluppo economico chiama ecobonus, locuzione, in verità, già accaparrata dal settore edile, forse va letto con qualche scetticismo.
Un giudizio sulla misura certamente non può limitarsi al conteggio, a fronte dei 55 milioni di euro erogati fino al 10 giugno sono stati incentivati poco più di 14 mila autoveicoli (automobili fino a 9 posti, per la precisione), la più parte dei quali (oltre il 77%) senza contemporanea rottamazione.
Un risultato di cui non c’è da stupirsi, almeno per due ragioni: 1) del bonus possono beneficiare anche le società (peraltro i maggior acquirenti di auto elettriche); 2) è piuttosto raro che chi possa spendere fino a 61 mila euro per una vettura elettrica (e comunque non meno del doppio prezzo dell’analoga versione a benzina nel caso delle meno costose) possegga un catorcio da rottamare.
Più curioso è il caso delle moto e dei ciclomotori, dove la contestuale rottamazione è obbligatoria, la misura non ha avuto grande successo: dei 10 milioni di euro disponibili, che sarebbero dovuti terminare già a fine 2019, ne sono stati erogati meno di un terzo.
Antonio Sileo è esperto di mercati energetici, politiche energetiche e ambientali, automotive
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Per una transizione energetica eco-razionale della mobilità italiana, di Redazione, 16 Marzo 2020
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Su transizione energetica ed equità si legga anche:
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Foto: Pixabay
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