La pandemia si è rivelata nient’affatto egualitaria ed ha al contrario aggravato, dilatandole, le disparità sociali (per genere, età, reddito, istruzione, territori, occupazione) così che “i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. L’editoriale del nuovo numero di ENERGIA è a firma del sociologo Fabrizio Battistelli e affronta la complessa dialettica tra conflitti e transizioni sociali durante la pandemia e soprattutto nella crisi economica che le farà seguito. Gli effetti di queste disparità sociali rischiano di protrarsi a lungo accentuandosi. Servono procedure democratiche e il coinvolgimento dei cittadini, ma soprattutto il valore dell’equità deve essere posto al centro della ricostruzione, anche nell’accezione di giustizia ambientale.
In una società in cui la stratificazione sociale seleziona l’accesso ai beni comuni in proporzione inversa alla solidità economica, sociale e culturale dei soggetti, la pandemia da coronavirus ha introdotto – pur senza negare la legittimità e funzionalità delle misure assunte dal governo – ulteriori discriminazioni finendo per accentuare le disparità sociali.
“Ben lungi dall’attenuare le differenze” scrive il sociologo Fabrizio Battistelli nell’editoriale del numero 2.20 di ENERGIA, “nella società contemporanea la pandemia genera quello che Robert K. Merton chiamava l’effetto San Matteo: «Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza ma, a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha»” con riferimento non alle risorse spirituali, bensì a quelle materiali.
Scientificamente non ha fondamento la tesi di un’azione «livellatrice» di un morbo che è figlio della globalizzazione e che, come è stato giustamente osservato, «viaggia in business class»
Ben individuabili sono i vincitori e i vinti di questa emergenza. Da una parte, i giganti del web e un pugno di azionisti e di manager che beneficiano degli extraprofitti della distribuzione globalizzata. Sul fronte opposto, sono a rischio decine di migliaia di micro-imprese e le centinaia di migliaia di persone ad esse legati, mentre altre categorie sono già state penalizzate dalle misure di confinamento, a partire dalle donne e le categorie ai due estremi della scala anagrafica (adolescenti/bambini e anziani), ma “è da ritenere che anche quelle socialmente determinate come il titolo di studio, l’attività lavorativa, la condizione patrimoniale e il reddito, abbiano fatto sentire tutto il loro peso nell’emergenza pandemica”.
“Mentre questa situazione discriminatoria ha preso corpo all’apice della pandemia e nel contrasto ad essa culminato nel lockdown, c’è da chiedersi se e quanto l’iniquità nella ripartizione degli oneri tra i diversi strati sociali farà sentire i suoi effetti anche in seguito”. Un interrogativo dirimente, “essendo quello dell’equità non un mero auspicio ma un presupposto della sopravvivenza per una società confrontata dalle sfide della complessità”.
Esempio emblematico di tali sfide è costituito dalla questione ambientale, non a caso oggetto di sempre maggior conflittualità sociale nel vicino passato pre-COVID, come stanno ad indicare le proteste dei Gilet Gialli in Francia e quelle in Cile nell’ottobre 2019, ma anche mobilitazioni come Fridays for the future o Extintion Rebellion, già affrontati su questa Rivista da Luigi Pellizzoni.
L’equità non è un mero auspicio ma un presupposto della sopravvivenza per una società confrontata dalle sfide della complessità, come quella ambientale
“Al di là di singole soluzioni che la politica può e deve in taluni casi escogitare, il divario tra proposte ambientaliste e bisogni popolari esiste e merita una spiegazione”. La cornice teorica proposta il sociologo parte dalla distinzione tra valori materialistici e post-materialistici, le diverse società nelle quali si sviluppano e il rapporto biunivoco che lega tra loro i relativi bisogni “nel senso che i secondi prendono corpo e chiedono di essere soddisfatti nella misura in cui sono stati soddisfatti i primi”.
Grandi questioni universali come l’ambiente, la pace, il genere vengono sollevate da “quegli strati (giovani, istruiti, appartenenti alle società affluenti) che sono in grado di avvertirne il bisogno e di dedicarvi le proprie energie in quanto provengono da società (e all’interno di esse, da ambiti sociali) che i bisogni primari li hanno da tempo e adeguatamente soddisfatti”. Ossia quelle società, dove vi sono “determinati standard nella sfera economica (produzione e consumi) e in quella politico-giuridica (stato di diritto), così come accade attualmente nelle democrazie occidentali”.
Come se non bastasse il compito di gestire le pressioni top down esercitate dalle lobby, una società democratica ha anche il compito di comprendere e affrontare quelle bottom up rappresentate dalla resistenza dei ceti popolari nei confronti di misure sospettate di aggravare condizioni di vita già difficili
Guardando al futuro, bisogna porre il valore dell’equità al centro della ricostruzione, anche nelle politiche ambientali che si invocano come antidoto alla crisi, così da appianare il divario che sinora hanno manifestato rispetto ai bisogni delle classi popolari su cui hanno più gravato. Per questo servono procedure democratiche (“non sono soltanto un costo ma anche e soprattutto un vantaggio competitivo”) e il coinvolgimento dei cittadini “nelle tappe di un cambiamento che l’eccezionalità stessa del momento mette all’ordine del giorno”. Nella società post-industriale infatti “sarà sempre più difficile imporre le politiche pubbliche per decreto”.
Riprendere là dove si era rimasti, ricorrendo alle medesime politiche, sarebbe un errore grave e controproducente rispetto agli obiettivi attesi, con il rischio di incontrare ancor più resistenze di quanto sinora accaduto.
Il post presenta l’articolo Pandemia, conflitti e transizioni sociali (pp. 6-9) di Fabrizio Battistelli pubblicato su ENERGIA 2.20
Fabrizio Battistelli è docente presso il Dipartimento di scienze sociali ed economiche, Sapienza Università di Roma
Foto: Unslpash
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