1 Luglio 2020

L’idrogeno verde passa dal giallo e dal blu

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La strategia europea per l’idrogeno verde dovrebbe arrivare entro il mese di luglio con l’obiettivo di rilanciare il vettore energetico nel processo di decarbonizzazione degli usi finali al 2050. Esiste infatti una domanda potenziale, ma il successo dell’idrogeno dipende dalla composizione del mix elettrico dei prossimi decenni, che dovrà essere dominato dalle rinnovabili. Nel frattempo, l’idrogeno blu è una soluzione già disponibile per il breve-medio periodo che offre un miglioramento in termini di impronta carbonica e prepara il mercato allo switch. Come sulla tavolozza di un pittore, lo sviluppo dell’idrogeno verde in Europa nel lungo periodo passa per una combinazione di colori e di policy.

Un paio di settimane fa il Ministero tedesco per gli Affari Economici e l’Energia ha presentato la propria strategia per promuovere il vettore idrogeno all’interno della transizione energetica in corso, anticipando (forse?) quelle che saranno le linee della “Hydrogen strategy” dell’esecutivo comunitario, attesa per il mese di luglio.

Negli ultimi anni si è ripreso, a distanza di decenni, a parlare di idrogeno quale protagonista in un dibattito energetico che si era incentrato a considerare elettrificazione e rinnovabili elettriche come unica soluzione green per il continente europeo, anche sulla spinta di un Clean Energy Package decisamente elettrone-centrico.

La disfida tra gas puliti ed elettrico per la supremazia al 2050 – quando cioè il settore energetico europeo dovrebbe diventare carbon neutral – sembra ora essersi risolta a favore di un salomonico “elettrico con gas” che può mettere d’accordo tutti. Dico appositamente “elettrico con gas” perché il ruolo del leone lo faranno il settore power e la generazione da fonti rinnovabili elettriche, mentre ai gas puliti dovrebbe essere riservato uno spazio costituito da alcuni consumi finali che mal si prestano (almeno per ora) all’elettrificazione.

Quale il ruolo dell’idrogeno nel 2050 e quale il percorso dell’idrogeno a quella data? La domanda non è retorica, poiché esistono varie “colorazioni” di idrogeno, su cui si concentreranno le policy comunitarie, nazionali e le altre normative a supporto della decarbonizzazione.

Nella roadmap al 2050 l’idrogeno cambia colore: da ‘grey’ a ‘green’ entro 30 anni per la decarbonizzazione europea degli usi finali

Sembra scontato il destino dell’idrogeno “grigio”, così come di quello “verde”. Il primo è ottenuto dalla scomposizione della molecola delle fonti fossili (es. il gas naturale) senza alcun sequestro di carbonio e non può quindi considerarsi “carbon neutral”. Difficile ipotizzare che esso possa essere contemplato nel mix target al 2050 o nel menu di vettori di accompagnamento a tale data. Anche se, ad oggi, è la tipologia maggiormente prodotta a fini industriali e produttivi e dalla tecnologia più matura.

È immaginabile, invece, che l’idrogeno “verde” farà parte del mix al 2050: ottenuto dalla scomposizione della molecola dell’acqua tramite elettrolisi, con un processo alimentato da energia da fonti rinnovabili. L’idrogeno così derivato è carbon neutral e può essere utilizzato per soddisfare la domanda finale. Già…. ma quale domanda finale?

Lo sviluppo dell’idrogeno verde in Europa dipende dall’esistenza di una domanda potenziale: nei prossimi decenni potrebbe essere impiegato negli usi industriali, nella mobilità e negli usi civili

Ecco la prima questione a cui i policy maker devono rispondere. Andiamo per ordine e con un po’ di approssimazione e di buon senso, analizzando le varie componenti della domanda di gas naturale odierna:

1. Generazione termoelettrica – al 2050, secondo le ambizioni europee, la generazione elettrica da fonti fossili dovrà essere molto contenuta e in progressivo esaurimento, quindi non sarà questo segmento di clientela il target per il vettore idrogeno;

2. Usi civili – utilizzare idrogeno nelle reti di distribuzione gas potrebbe avvenire secondo due scenari: (a) blending dell’idrogeno al metano; (b) sostituzione del metano con l’idrogeno. Il caso (a) avrebbe il vantaggio di utilizzare un asset già esistente (la rete) e di non richiedere investimenti da parte del cliente finale. Ma il blending, per rispettare i due vantaggi appena menzionati, non potrebbe essere spinto oltre determinate percentuali, a discapito della carbon neutrality di questa soluzione. Nel caso (b), invece, i costi di adattamento della rete e delle apparecchiature dei clienti finali si troverebbero ad essere alternativi a quelli di migrazione al vettore elettrico, la scelta del cliente residenziale quindi verrebbe a dipendere da questo confronto. Ad oggi la tecnologia elettrica appare più matura e dovrebbe quindi rivelarsi più competitiva;

3. Usi industriali – le industrie maggiormente gas intensive – che già oggi necessitano di metano per alimentare i propri processi produttivi – potrebbero trovare interessante la soluzione dell’idrogeno verde per disporre di un vettore pulito e ad elevata densità energetica;

4. Mobilità – anche in questo caso alcuni segmenti del trasporto, per i quali la densità energetica è un elemento di rilievo, potranno privilegiare la soluzione dell’idrogeno (e dei gas puliti) a quella dell’elettrificazione. Si pensi in questo caso al trasporto marittimo e su gomma di lungo raggio.

Dopo aver verificato che la sussistenza della prima condizione per il successo dell’idrogeno verde – l’esistenza di una domanda potenziale – passiamo a una seconda condizione: l’esistenza di fonti rinnovabili in proporzione talmente schiacciante da rendere energeticamente preferibile la conversione di elettricità in molecole di idrogeno.

L’altra componente fondamentale per il successo dell’idrogeno verde è la composizione del mix elettrico: la sua produzione in larga scala dipende dalla penetrazione delle fonti rinnovabili nei prossimi decenni

L’idrogeno verde sarà efficacemente prodotto in larga scala solo quando i consumi elettrici saranno quasi completamente alimentati dalle fonti rinnovabili. In caso contrario dalla trasformazione di elettricità rinnovabile in idrogeno si avrebbe un dispendio di energia e, al tempo stesso, si renderebbe necessaria l’accensione di generazione da fossile marginale (il gas) per soddisfare la domanda elettrica residua. Questa è una condizione molto ambiziosa, che sarà raggiunta – forse – nei prossimi decenni e che necessita di molto “giallo” (energia rinnovabile) per essere rispettata.

Che fare fino ad allora? E nel frattempo, non verranno trovate altre soluzioni che permetteranno al vettore elettrico di conquistare anche i segmenti di consumo che abbiamo esaminato?

A prescindere dagli obiettivi di carbon neutrality e dalla massimizzazione del rendimento energetico, i gas puliti possono rappresentare un’occasione per l’Europa per promuovere obiettivi altrettanto importanti come l’economia circolare (es. biometano da rifiuti, scarti, fanghi, etc.), la resilienza del sistema (la pluri-vettorialità come forma di ridondanza e come stimolo alla concorrenza tra vettori) o ancora la costituzione di una filiera economica a prevalenza comunitaria, tutti obiettivi che in questo 2020 hanno guadagnato sempre più attenzione a causa della crisi in corso.

Ecco che allora il fattore tempo è dirimente per il successo dell’idrogeno di medio e lungo termine: le esigenze della domanda potenziale di idrogeno e gas puliti dovrebbero essere indirizzate quanto prima, ricorrendo a quelle soluzioni che sono disponibili e che offrono comunque un miglioramento sensibile in termini di impronta carbonica. Tra queste figura anche l’idrogeno “blu”.

Nel frattempo l’idrogeno blu offre un miglioramento in termini di impronta carbonica e prepara il mercato allo switch. Per l’AIE ha un costo di 2-5 volte inferiore all’idrogeno verde

L’idrogeno blu è ottenuto con un processo analogo a quello dell’idrogeno grigio, partendo dalle fonti fossili come feedstock ma è anche abbinato a tecnologie di sequestro e cattura del carbonio. Secondo le stime dell’AIE esibisce una carbon footprint pari al 10% dell’idrogeno grigio, quindi pur non essendo completamente carbon neutral è comunque utile all’obiettivo della decarbonizzazione.

Sviluppare il mercato dell’idrogeno blu, ad esempio fino al 2035 (o fino a quando l’idrogeno verde raggiungerà una scala adeguata) consentirebbe di impostare intanto quella piattaforma su cui costruire sia la domanda finale che l’offerta, elementi essenziali per rendere possibile in un futuro lo switch dal “blu” al “verde” (con il bisogno di tanto “giallo”). La creazione di un mercato nel breve termine è poi condizione necessaria affinché sia promossa ulteriormente l’attività di R&D e, quindi, la tecnologia possa evolvere verso soluzioni di maggiore scala e dai costi più contenuti. Sempre l’AIE stima che nel 2019 il costo dell’idrogeno blu fosse tra le 2 e le 5 volte inferiore a quello dell’idrogeno verde.

Invece, la recente strategia sull’idrogeno tedesca si concentra in modo preponderante sull’idrogeno verde (R&D, infrastrutture dedicate, incentivi all’industria e ai trasporti, partnership internazionali, acquisto di energia rinnovabile dall’estero, etc.) e menziona solo incidentalmente l’idrogeno blu, riconoscendo la possibilità di utilizzarlo come vettore transitorio su cui sviluppare un mercato. Difficile che un richiamo così scarno possa segnalare al settore industriale un chiaro indirizzo di policy sull’idrogeno blu. Passare direttamente a un mercato dell’idrogeno verde pare irrealistico nel breve termine per ragioni tecnologiche e di efficienza generale del sistema energetico.

Una strategia ottimale per l’idrogeno dovrebbe sviluppare anche tanto “blu” e tanto “giallo” nel breve e medio periodo, come si farebbe su una tavolozza di colori

Inoltre, bisogna ricordare che il problema climatico va affrontato in una prospettiva globale: non importa pervenire ad un sistema regionale (quello tedesco o quello europeo) che sia carbon neutral se il saldo netto su scala globale è l’accensione di ulteriori impianti di generazione alimentati da fonte fossile. Riprendendo quanto già scritto a inizio anno insieme sul Blog di Energia a Stefano Venier, qualunque switch verso una fonte meno carbon-intensive dovrebbe essere perseguito in questa fase di transizione per anticipare il picco del carbonio, indipendentemente dal fatto che faccia parte o meno del mix al 2050.

Una strategia ottimale per l’idrogeno, quindi, dovrebbe certamente puntare sull’idrogeno verde (nel lungo periodo) ma solo dopo aver sviluppato tanto “blu” e tanto “giallo” (nel breve e medio periodo), come si farebbe su una tavolozza di colori. Non resta quindi che aspettare la versione della strategia europea di metà luglio per verificare se a Bruxelles si sarà fatto un uso più variegato dei colori dell’idrogeno.


Stefano Verde, Strategy and Policy Making Manager del Gruppo Hera


Foto: Unsplash


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