21 Settembre 2020

Quanto è verde la finanza mondiale?

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La finanza sta davvero diventando più green? Con quali strumenti? Ma soprattutto, con che ritmo? Perché nella lotta ai cambiamenti climatici è il tempo il fattore cruciale. Su ENERGIA 3.20, Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca propongono un’approfondita analisi dell’andamento degli investimenti reali, dei green bond e degli ETF ESG. Ne concludono che, nonostante vi siano segnali di uno spostamento della finanza mondiale verso attività green, questo è purtroppo molto modesto e si muove con una velocità insufficiente per decarbonizzare l’economia mondiale in tempi utili

“Il processo di decarbonizzazione è sufficientemente veloce da mitigare gli effetti nefasti del cambiamento climatico riportandoli entro limiti accettabili?” Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca tornano su un filone di ricerca più volte affrontato su su questa Rivista (si vedano Faremo in tempo?Cosa significa per l’Italia abbattere le emissioni; Il mito del decoupling) puntando questa volta la lente sulla finanza e il suo crescente interesse verso le attività sostenibili.

Il clima è un fenomeno globale: l’espansione delle rinnovabili in alcuni paesi industrializzati e il decoupling crescita economica-emissioni nei paesi ricchi rappresentano solo un pezzo della storia

Lo fanno basandosi come sempre sui dati, tre categorie in questo caso che “Purtroppo, al di là della retorica green, (…) non sono confortanti”:

  • intensità carbonica e tassi di decarbonizzazione coerenti con l’obiettivo di 1,8 °C (par. 1);
  • volumi di investimento green reali (par. 3);
  • volumi di investimento green (ETF ESG e green bond) (par. 4 e 5).

“Un dato su tutti che dovrebbe far riflettere è quello relativo all’intensità carbonica dell’energia, ovvero il rapporto tra la CO2 emessa e l’energia consumata (che) nel 1990 (…) era pari a 2,39 (e) Nel 2018, dopo quasi trent’anni, (…) a 2,32” (par. 1. Decarbonizzazione: verità e retorica). Rapporto che addirittura aumenta se si guarda al settore elettrico, dove le rinnovabili esprimono al meglio la loro penetrazione (“dal 2,50 del 1990 al 2,52 del 2018”).

Se il ritmo è questo occorreranno 250 anni per decarbonizzare totalmente la generazione elettrica mondiale!

Che le cose non vadano affatto bene lo si vede chiaramente confrontando anche i tassi di crescita medi annui della CO2 e quelli di decremento che secondo la IEA sarebbero necessari per contenere la crescita della temperatura entro 1,8 °C. Anche qui, il settore elettrico rivela un quadro addirittura peggiore che nell’energia primaria e rivela “distanze abissali” per alcuni paesi chiave se si confronta “il dato storico e quello normativo di scenario”: 4,8% vs –4,4% per l’India e 4,3% vs –5,7% per la Cina.

Fatto il punto sulla lentezza della decarbonizzazione, gli Autori passano ad osservare la finanza sostenibile: “se si riuscirà a dimostrare che è in atto uno spostamento vigoroso degli asset dell’economia mondiale, e degli investimenti, verso attività green, allora si potrà concludere che, effettivamente, il transatlantico ha cominciato a modificare la sua rotta e che la velocità di tale cambio di direzione, oggi lento, diverrà in pochi anni straordinariamente veloce”.

Nel par. 2 (Rischio climatico significa rischio d’investimento) si rileva “la necessità di un framework di riferimento omogeneo per delimitare i confini della finanza sostenibile e rendere il più trasparente possibile il flusso di capitali destinati a traghettare il sistema verso un futuro low carbon”.

Iniziative in questo senso sono state intraprese dal fondo di investimento BlackRock e dall’Unione Europea con la sua “tassonomia”, ma “tutto sembra accadere con una lentezza esasperante, seppure si tratti solo di definire uno standard”.

La tassonomia UE è considerata una priorità, ma il fatto che entrerà in vigore 6-7 anni dopo l’Accordo di Parigi dimostra come il concetto di urgenza sia del tutto relativo

Partendo da considerazioni incerte sull’ammontare di impegno finanziario richiesto (da 1,6 trilioni di dollari l’anno al 2050 fino a 7 al 2030), gli Autori provano quindi “a delineare lo stato dell’arte di questi investimenti e il trend della finanza sostenibile” (par. 3. Investimenti e finanza sostenibile).

La difficoltà deriva in parte dal fatto che la finanza green è un insieme eterogeneo che include diversi prodotti (azioni, bond, investimenti in infrastrutture, pubblici e privati) e settori: dagli impianti di rinnovabili alla conversione edilizia, dal risparmio di risorse alla protezione della biodiversità fino alla gestione dei rifiuti”.

Ovunque si leggono titoli entusiastici sulla crescita degli investimenti green ma sono abbastanza rapidi per l’obiettivo 2°C? Lapidaria la posizione IEA: ‘Today’s investment trends are misaligned with where the world appears to be heading’

Dopo aver tracciato un quadro degli investimenti green reali, gli Autori approfondiscono quali sono gli strumenti sviluppati dalla finanza sostenibile:

  • i green bond (par. 4), “strumenti finanziari relativamente nuovi, che hanno registrato un tasso di crescita elevato dal 2007 a oggi”
  • gli Exchange Traded Funds green (par. 5. La spettacolare ascesa degli ETF green), la cui analisi “è interessante per la transizione energetica essendo in grado di fornire un’indicazione sintetica – difficilmente reperibile attraverso l’analisi della miriade di prodotti finanziari disseminati nei mercati mondiali – sull’andamento e sulla direzione dei flussi di investimento finanziario”.

Pur registrando una crescita straordinaria, i green bond e gli ETF green rappresentano ancora quote insignificanti sul totale degli strumenti finanziari

Nelle conclusioni (par. 7. La transizione debole) si rimarca come i dati analizzati “forniscono da diverse prospettive indicazioni sulla transizione energetica, mostrando in modo inequivocabile che la transizione energetica è assai lenta con uno iato tra la diffusa retorica di un mondo nuovo più verde che s’imporrebbe in tempi brevi e la realtà. (…) Eppure, di tale insufficienza non sembra esservi consapevolezza a livello dei media e dei policy makers, con la transizione assunta come fenomeno reale e di successo”.

La riflessione finale lascia aperta una porta di speranza: “Resta da capire se la regolazione possa svolgere un ruolo chiave nel rimuovere le barriere che ostacolano il green business. La risposta è positiva”. Ma non bisogna sottovalutare la “resistenza sociale alla crescita dei costi energetici”. Come insegnano i gilet gialli, “un caso di scuola che sottolinea la distanza tra l’ideale green – sempre esibito – e il portafoglio”.


Il post presenta l’articolo Quanto è green la finanza mondiale? (pp. 24-35) di Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca pubblicato su Energia 3.20


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Foto: Unsplash

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