In che direzione andrà l’ordine economico dopo la pandemia? Non c’è modo di ritornare alla ‘vecchia’ normalità: la globalizzazione era nei guai profondi già da prima. Se il terrore dell’isolamento è esagerato, rivalità e instabilità minacciano il sistema costruito dopo la Grande Depressione. Il Professor Jeremy Adelman dell’Università di Princeton spiega su ENERGIA 3.20 come ripensare l’interdipendenza economica dopo il Covid-19
È possibile ripartire da dove eravamo prima del Covid-19? Per Jeremy Adelman (Università di Princeton), la reazione scoordinata e frammentata dei paesi alla pandemia mostra con evidenza la fragilità delle istituzioni internazionali create il secolo scorso. Ma cela anche l’opportunità di reinventare un nuovo ordine economico, col pericolo che si accentui la competizione. Riportiamo qualche estratto dell’editoriale pubblicato su ENERGIA 3.20.
“L’ordine multilaterale pre-Covid-19 era denso di problemi. Ha aiutato meno chi aveva bisogno rispetto a chi non ne aveva. I problemi che avrebbe dovuto risolvere – come la decarbonizzazione dell’economia – sono diventati ancor più complessi. Al crescere delle minacce e della competizione, i paesi forti hanno rinnegato le loro stesse regole. E non vi torneranno a meno che non ne abbiano un incentivo convincente”.
La scelta non è tra globalizzazione o isolamento, ma tra interdipendenza tribale e un nuovo modello globale. Invece di ripristinare il vecchio mondo, è un buon momento per reinventarlo
Un fenomeno rilevante degli ultimi anni che potrebbe acuirsi si chiama «slowbalization». Il costo del commercio ha smesso di scendere, dopo le rivoluzioni logistiche e dei trasporti non ci sono state innovazioni altrettanto importanti (par. 1. Catene di approvvigionamento usurate). “Dalla Seconda Guerra Mondiale, i paesi di tutto il mondo hanno abbattuto le barriere commerciali, dopodiché si sono fermati. Le economie avanzate si sono orientate verso forme invisibili di protezionismo, come licenze e requisiti nei commerci avanzati, mentre i governi statunitense ed europei assecondavano le lobby agricole”.
“Mentre i battibecchi tra Washington e Pechino dominano i titoli dei giornali, si è verificato un più insidioso, anche se meno drammatico, indebolimento delle regole commerciali mondiali. La Casa Bianca ha sistematicamente bloccato la nomina dei giudici presso la Corte d’Appello dell’OMC, ostruendo il meccanismo di gestione delle controversie commerciali. Incapaci di trovare giustizia nei tribunali dell’OMC, i partner commerciali hanno dovuto regolare le loro dispute «a mani nude», senza mediazioni. Il risultato è stato la proliferazione di barriere commerciali e delle preferenze per gli amici rispetto ai nemici – minando un principio del commercio multilaterale ed estendendo i livelli tariffari delle «nazioni più favorite» a tutti coloro che erano disponibili a giocare secondo le stesse regole”.
Con il blocco delle istituzioni per la risoluzione delle controversie commerciali internazionali, i paesi hanno ripristinato barriere e adottato tariffe secondo preferenze nazionali
Un altro elemento che merita attenzione è la ‘questione cinese’ (par. 2). “La Cina si trova ad affrontare il noto dilemma dei paesi a basso reddito che escono da una crescita sovralimentata per poi adagiarsi nel comfort di essere diventati a medio reddito”. Se generalmente questo passaggio avviene anche grazie a dinamiche di interdipendenza economica con altri paesi, “(…) l’acredine e il sospetto che circondano le relazioni della Cina con i suoi partner impediscono questa via. La querelle su Huawei e la minaccia della cyber-balcanizzazione tra un sistema digitale cinese e uno statunitense sono un esempio degli effetti del passaggio della Cina da cliente a concorrente”. E “il Covid-19 ha aggravato la cyber-rivalità”.
I rapporti economici tra i paesi erano già usurati, la pandemia ha peggiorato la competizione. È lì che si celano le tentazioni per i potenti di comportarsi in maniera predatoria
“Infine, non si può capire il crocevia della globalizzazione senza tenere conto dei partner zoppicanti. (…) Tra i più vulnerabili c’è l’Argentina. Chiusa in una spirale inflazionistica e in una situazione di stallo con i creditori, l’Argentina sta attraversando il suo nono default sovrano dal 1816. Subito dietro ci sono Zambia, Ecuador, Ruanda e in difficoltà troviamo Libano, Iran e Venezuela. Altri ne saranno intaccati, come Sudafrica e Brasile”. Per questi paesi, “un’ondata di default era incombente anche senza il Covid-19. Ora è quasi inevitabile. Di fronte a questa minaccia, i leader del G20 hanno invitato i creditori a «fermare» i pagamenti forzati. Ma nessuno si aspetta che l’annuncio faccia molta differenza senza una presa di posizione del Tesoro statunitense” (par. 3. Minacce dai mercati emergenti).
I paesi deboli dovranno trovare sollievo presso qualunque creditore-consumatore sia disposto a concludere un accordo, anche a costi predatori
L’ultima minaccia per il sistema multilaterale proviene dagli Stati Uniti: secondo Adelman, “Tump punta a un’interdipendenza tribale, un modello in cui i forti sottomettono i deboli per creare blocchi che tengano a bada i rivali. Lui e i suoi consiglieri economici non amano il multilateralismo perché vincola il potente e distribuisce il potere. Alla Casa Bianca non importa nemmeno se la Cina crea il suo proprio ordine gerarchico, purché non sia di minaccia agli Stati Uniti. Anche se il Presidente Trump dovesse perdere le elezioni a novembre, questi ultimi quattro anni hanno permanentemente segnato la leadership del Paese”.
Il disinteresse del Presidente Trump per la cooperazione internazionale segnerà profondamente il ruolo degli Stati Uniti nei contesti multilaterali
Nel quadro di incertezza economica che caratterizza il 2020, i timori per la dissoluzione delle relazioni internazionali sono infondati, perché “l’interdipendenza non sparirà”. Ma l’impatto del Covid-19 sulle istituzioni multilaterali evidenzia con forza “l’opportunità – e la necessità – di reinventare la globalizzazione in modo che non sia né nostalgica né tribale” (par. 4. Perlomeno reinventare).
Il post presenta l’articolo La globalizzazione di cui abbiamo bisogno (pp. 6-9) di Jeremy Adelman pubblicato su ENERGIA 3.20
Jeremy Adelman è Direttore del Global History Lab dell’Università di Princeton
Questo articolo era stato originariamente pubblicato in inglese col titolo The Globalization We Need ed è stato riprodotto per gentile concessione dell’Institut Montaigne
Foto: Unsplash
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login