Sono sempre maggiori le speranze che l’idrogeno si riveli una chiave di volta nella transizione energetica e conseguente contrasto ai cambiamenti climatici. Ma cosa rende l’idrogeno così speciale? Perché si è tornati a parlarne ora con tanta insistenza sebbene si utilizzi da tempo per fini industriali mentre il suo impiego in ambito energetico era stato profetizzato già negli anni Novanta? Proponiamo un estratto dell’articolo “Rischi per la transizione energetica europea” di Clémence Pèlegrin e Renato Francesco Rallo (Groupe d’Etudes Geopolitiques) pubblicato su ENERGIA 2.20.
“Proprio mentre l’ondata di contagi da COVID-19 costringeva i primi paesi europei al lockdown, il 10 marzo la Commissione europea proponeva la sua nuova strategia industriale, con tre priorità: competitività globale, neutralità carbonica al 2050, digitalizzazione. L’intersezione tra industria e climate neutrality porta, oltre a strade già consolidate, anche verso qualcosa che negli ultimi decenni è stato evocato più volte restando però di fatto nella sfera delle novità: l’idrogeno. A quanto pare stavolta le aspettative al riguardo sono elevate, tanto che nel citato documento si lancia la proposta di una Clean Hydrogen Alliance (CHA), simile alla European Battery Alliance istituita nell’ottobre 2018. Lo spirito è di mettere allo stesso tavolo aziende private, enti di ricerca e istituzioni pubbliche per accelerare lo sviluppo di tecnologie che abbisognano ancora di sforzi collaborativi. La nuova CHA (14) doveva essere lanciata in estate, ma a causa dell’emergenza sanitaria esiste il rischio che passi in fondo alle priorità.
L’idrogeno ha natura duale: vettore energetico e materia prima per l’industria
Ma facciamo un passo indietro, e spendiamo due parole per l’idrogeno. La sua natura duale, sia come energy carrier che come materia prima dell’industria, non facilita una valutazione chiara delle sue potenzialità e criticità. È vero che nel caso di «estrazione» di idrogeno dal metano l’ambiguità ha una sua giustificazione di processo. D’altronde, negli altri casi è sempre bene tenere a mente a quale uso dell’idrogeno ci si sta riferendo, in modo da fare confronti economici corretti. È improprio definire l’idrogeno come fonte di energia, essendo piuttosto un energy carrier, un vettore energetico che ha necessità di essere generato da fonti primarie e in alcuni casi ri-trasformarsi in altre forme prima dell’uso finale, con rendimenti da valutare passaggio per passaggio.
Le sue potenziali applicazioni sono teoricamente infinite nel settore energetico, al punto che negli scorsi decenni si è parlato di «economia dell’idrogeno» come soluzione ai problemi ambientali. Al vaglio della realtà le cose sembrano essere molto più complicate, per vari ordini di ragioni. Dal punto di vista climatico, l’idrogeno più interessante è quello con origine «verde» o rinnovabile, ottenuto cioè dall’elettrolisi dell’acqua. Un processo che presenta tuttavia costi ancora elevati rispetto all’idrogeno originato dal metano. Per quanto la storia delle energie rinnovabili ci insegni che, raggiunto un certo abbrivio, i costi possono scendere con pendenze molto ripide, vi è ancora molta incertezza circa i tempi con cui questa dinamica potrebbe interessare l’idrogeno.
Un (altro) aspetto critico dell’idrogeno è il trasporto: la rete attuale soffre già con percentuali molto basse di idrogeno mischiate al metano
Altro aspetto critico è quello del trasporto. Due i possibili scenari: conversione della tubazione che attualmente trasporta il metano o creazione di una rete parallela ad hoc. Dal punto di vista meccanico e fluidodinamico, la rete attuale soffre già con percentuali molto basse di idrogeno mischiate al metano. Un suo adattamento per sopportare agevolmente percentuali più alte ha un costo stimato tra il 5 e il 30% dell’investimento che richiederebbe una rete dedicata.
Entrambe le soluzioni sono economicamente impegnative, anche considerato che una distribuzione capillare dell’idrogeno dovrebbe andare di pari passo con una conversione delle utenze che oggi utilizzano un gas composto quasi unicamente da metano. D’altro canto, alcuni, tra cui la Commissaria europea all’energia Kadri Simson, sottolineano l’importanza dell’idrogeno per salvare la rete del gas naturale dal rischio di diventare uno stranded asset. In ogni caso, per quanto lontano si possa andare con la fantasia, il trasporto di idrogeno via rete sembra essere uno degli ultimissimi passi di questa ancora lunga transizione.
L’idrogeno potrebbe salvare la rete del gas naturale dal rischio di diventare uno stranded asset
2.1. Utilizzi promettenti per decarbonizzare settori critici
La partita più interessante forse si gioca sul piano degli utilizzi finali. Storicamente vi è il mercato dell’idrogeno ad uso industriale (petrolchimico, chimico, siderurgico e cementizio), ma almeno altri due settori si stanno affacciando con interesse: il bilanciamento della rete elettrica e il settore dei trasporti. Per quanto riguarda il primo, si tratta di un servizio di cui le reti nazionali hanno sempre più bisogno nel momento in cui vengono allacciati sistemi di produzione variabili, specie in punti localizzati della rete.
Gli elettrolizzatori, grazie alla loro grande velocità di risposta, possono avere la doppia funzione di assorbire carichi in eccesso e nel frattempo produrre idrogeno, per uso industriale o per generare nuova potenza elettrica in momenti di maggiore bisogno (nel processo power-to-gas-to-power, anche se le efficienze sono basse con costi di stoccaggio elevati). Riguardo i trasporti, dopo decenni di aspettative e ricerca ad ampissimo raggio, alcuni player (tra cui IEA) consigliano ora di individuare i nodi nevralgici da cui partire. Vista la complessità del puzzle idrogeno, dove bisogna incastrare capacità di stoccaggio, disponibilità di energia a basso costo e vicinanza agli utilizzatori finali, i punti nello spazio dove i business model possono già funzionare sono i grandi hub industriali, di logistica e portuali.
Il trasporto marittimo è una delle grandi voci energivore difficili da decarbonizzare che ben potrebbe adattarsi dall’utilizzo dell’idrogeno
Il trasporto pesante, svolgendosi spesso su tratte prefissate e stabili nel tempo, si presta bene alla sperimentazione di un carburante che ha difficoltà ad essere distribuito con capillarità territoriale. Allo stesso modo, il trasporto marittimo è una delle grandi voci energivore difficili da decarbonizzare e può rappresentare un’alternativa economicamente percorribile per trasportare lo stesso idrogeno in altre località costiere. La sperimentazione in questo senso è ancora lunga, ma Air Liquide, uno dei leader europei nel settore, insieme ad Energy Observer ha lanciato già da tre anni un primo progetto pilota di nave alimentata a idrogeno.
Se l’idrogenizzazione totale dell’economia sembra quindi, almeno per il momento, fantascienza, un approccio più realistico è quello della «greenizzazione» dell’idrogeno, attraverso applicazioni mirate in filiere o settori specifici. Da questa rapidissima panoramica emerge che le possibili direzioni sono tante, ma nessuna di queste ha ancora raggiunto una soglia di credibilità autonoma e definitiva. Il ruolo e lo sviluppo dell’idrogeno, così come di ogni tecnologia passata e futura, sarà dettato dalla sensatezza fisica e dalla puntualità delle decisioni e degli investimenti.
Sul primo aspetto è fondamentale che ricerca scientifica e industria lavorino insieme, affinché le strade non percorribili vengano rapidamente spuntate dalla lista delle ipotesi. Restano le strade percorribili, su cui la dinamica degli investimenti deve essere modulata nel miglior modo. Come è noto, viviamo un periodo di risorse finanziarie limitate che devono far fronte a situazioni anche più urgenti di quella climatica. Prenderne coscienza deve essere un richiamo alla responsabilità per tutte le filiere, soprattutto quelle che abbisognano ancora di forti investimenti pubblici, per farne un uso mirato e possibilmente già quasi economicamente sostenibile. Come l’esperienza insegna, anche tecnologie promettenti possono soffrire effetti paradossali di incentivi sovradimensionati. Non siamo nel momento storico adatto per correre di nuovo questo rischio.
L’incertezza economica derivante dalla crisi sanitaria avrà probabilmente l’effetto di ridurre, almeno per un periodo, il margine di manovra degli Stati nelle loro ambizioni industriali. Tuttavia, diversi paesi, a iniziare da Germania (15), Paesi Bassi, Belgio, hanno espresso una reale volontà di sostenere l’idrogeno. Un’iniziativa europea come la CHA potrebbe permettere di unire gli sforzi finanziari, mettere in comune le competenze per sviluppare l’idrogeno pulito generando economie di scala, promuovere gli usi più rilevanti e federare un ecosistema di attori europei”.
Il post è un estratto dell’articolo Rischi per la transizione energetica europea (pp. 38-45) di Clémence Pèlegrin e Renato F. Rallo pubblicato su ENERGIA 2.20
Renato F. Rallo, ingegnere e PhD in Ambiente e Risorse energetiche, è membro di Groupe d’Études Géopolitiques (GEG)
Clémence Pèlegrin, consulente Energie e infrastrutture PwC, è Direttrice del programma Énergie et Environnement di Groupe d’Études Géopolitiques (GEG)
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Foto: PxHere
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