5 Ottobre 2020

Idrogeno: tra promesse e incertezze

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Sono sempre maggiori le speranze che l’idrogeno si riveli una chiave di volta nella transizione energetica e conseguente contrasto ai cambiamenti climatici. Ma cosa rende l’idrogeno così speciale? Perché si è tornati a parlarne ora con tanta insistenza sebbene si utilizzi da tempo per fini industriali mentre il suo impiego in ambito energetico era stato profetizzato già negli anni Novanta? Proponiamo un estratto dell’articoloRischi per la transizione energetica europea” di Clémence Pèlegrin e Renato Francesco Rallo (Groupe d’Etudes Geopolitiques) pubblicato su ENERGIA 2.20.

“Proprio mentre l’ondata di con­tagi da COVID-19 costringeva i primi paesi europei al lockdown, il 10 marzo la Commissione europea proponeva la sua nuova strategia industriale, con tre priorità: com­petitività globale, neutralità carbo­nica al 2050, digitalizzazione. L’in­tersezione tra industria e climate neutrality porta, oltre a strade già consolidate, anche verso qualcosa che negli ultimi decenni è stato evo­cato più volte restando però di fatto nella sfera delle novità: l’idrogeno. A quanto pare stavolta le aspetta­tive al riguardo sono elevate, tanto che nel citato documento si lancia la proposta di una Clean Hydrogen Alliance (CHA), simile alla Europe­an Battery Alliance istituita nell’ot­tobre 2018. Lo spirito è di mettere allo stesso tavolo aziende private, enti di ricerca e istituzioni pubbli­che per accelerare lo sviluppo di tecnologie che abbisognano anco­ra di sforzi collaborativi. La nuova CHA (14) doveva essere lanciata in estate, ma a causa dell’emergenza sanitaria esiste il rischio che passi in fondo alle priorità.

L’idrogeno ha natura duale: vettore energetico e materia prima per l’industria

Ma facciamo un passo indietro, e spendiamo due parole per l’i­drogeno. La sua natura duale, sia come energy carrier che come mate­ria prima dell’industria, non facili­ta una valutazione chiara delle sue potenzialità e criticità. È vero che nel caso di «estrazione» di idroge­no dal metano l’ambiguità ha una sua giustificazione di processo. D’altronde, negli altri casi è sempre bene tenere a mente a quale uso dell’idrogeno ci si sta riferendo, in modo da fare confronti econo­mici corretti. È improprio definire l’idrogeno come fonte di energia, essendo piuttosto un energy carri­er, un vettore energetico che ha ne­cessità di essere generato da fonti primarie e in alcuni casi ri-trasfor­marsi in altre forme prima dell’uso finale, con rendimenti da valutare passaggio per passaggio.

Le sue potenziali applicazioni sono teoricamente infinite nel set­tore energetico, al punto che negli scorsi decenni si è parlato di «eco­nomia dell’idrogeno» come solu­zione ai problemi ambientali. Al vaglio della realtà le cose sembrano essere molto più complicate, per vari ordini di ragioni. Dal punto di vista climatico, l’idrogeno più inte­ressante è quello con origine «ver­de» o rinnovabile, ottenuto cioè dall’elettrolisi dell’acqua. Un pro­cesso che presenta tuttavia costi ancora elevati rispetto all’idrogeno originato dal metano. Per quanto la storia delle energie rinnovabili ci insegni che, raggiunto un certo abbrivio, i costi possono scendere con pendenze molto ripide, vi è an­cora molta incertezza circa i tempi con cui questa dinamica potrebbe interessare l’idrogeno.

Un (altro) aspetto critico dell’idrogeno è il trasporto: la rete attuale sof­fre già con percentuali molto basse di idrogeno mischiate al metano

Altro aspetto critico è quello del trasporto. Due i possibili scenari: conversione della tubazione che attualmente trasporta il metano o creazione di una rete parallela ad hoc. Dal punto di vista meccanico e fluidodinamico, la rete attuale sof­fre già con percentuali molto basse di idrogeno mischiate al metano. Un suo adattamento per sopporta­re agevolmente percentuali più alte ha un costo stimato tra il 5 e il 30% dell’investimento che richiedereb­be una rete dedicata.

Entrambe le soluzioni sono eco­nomicamente impegnative, anche considerato che una distribuzione capillare dell’idrogeno dovrebbe andare di pari passo con una con­versione delle utenze che oggi uti­lizzano un gas composto quasi uni­camente da metano. D’altro can­to, alcuni, tra cui la Commissaria europea all’energia Kadri Simson, sottolineano l’importanza dell’idro­geno per salvare la rete del gas na­turale dal rischio di diventare uno stranded asset. In ogni caso, per quanto lontano si possa andare con la fantasia, il trasporto di idrogeno via rete sembra essere uno degli ultimissimi passi di questa ancora lunga transizione.

L’idro­geno potrebbe salvare la rete del gas na­turale dal rischio di diventare uno stranded asset

2.1. Utilizzi promettenti per decarbonizzare settori critici

La partita più interessante for­se si gioca sul piano degli utilizzi finali. Storicamente vi è il merca­to dell’idrogeno ad uso industriale (petrolchimico, chimico, siderurgi­co e cementizio), ma almeno altri due settori si stanno affacciando con interesse: il bilanciamento del­la rete elettrica e il settore dei tra­sporti. Per quanto riguarda il pri­mo, si tratta di un servizio di cui le reti nazionali hanno sempre più bisogno nel momento in cui vengo­no allacciati sistemi di produzione variabili, specie in punti localizzati della rete.

Gli elettrolizzatori, grazie alla loro grande velocità di risposta, possono avere la doppia funzione di assorbire carichi in eccesso e nel frattempo produrre idrogeno, per uso industriale o per generare nuova potenza elettrica in momen­ti di maggiore bisogno (nel proces­so power-to-gas-to-power, anche se le efficienze sono basse con costi di stoccaggio elevati). Riguardo i trasporti, dopo decenni di aspetta­tive e ricerca ad ampissimo raggio, alcuni player (tra cui IEA) consi­gliano ora di individuare i nodi nevralgici da cui partire. Vista la complessità del puzzle idrogeno, dove bisogna incastrare capacità di stoccaggio, disponibilità di energia a basso costo e vicinanza agli uti­lizzatori finali, i punti nello spazio dove i business model possono già funzionare sono i grandi hub indu­striali, di logistica e portuali.

Il trasporto maritti­mo è una delle grandi voci energi­vore difficili da decarbonizzare che ben potrebbe adattarsi dall’utilizzo dell’idrogeno

Il trasporto pesante, svolgendo­si spesso su tratte prefissate e sta­bili nel tempo, si presta bene alla sperimentazione di un carburante che ha difficoltà ad essere distribu­ito con capillarità territoriale. Allo stesso modo, il trasporto maritti­mo è una delle grandi voci energi­vore difficili da decarbonizzare e può rappresentare un’alternativa economicamente percorribile per trasportare lo stesso idrogeno in altre località costiere. La sperimen­tazione in questo senso è ancora lunga, ma Air Liquide, uno dei lea­der europei nel settore, insieme ad Energy Observer ha lanciato già da tre anni un primo progetto pilota di nave alimentata a idrogeno.

Se l’idrogenizzazione totale dell’economia sembra quindi, al­meno per il momento, fantascien­za, un approccio più realistico è quello della «greenizzazione» dell’i­drogeno, attraverso applicazioni mirate in filiere o settori specifici. Da questa rapidissima panoramica emerge che le possibili direzioni sono tante, ma nessuna di queste ha ancora raggiunto una soglia di credibilità autonoma e definitiva. Il ruolo e lo sviluppo dell’idroge­no, così come di ogni tecnologia passata e futura, sarà dettato dalla sensatezza fisica e dalla puntualità delle decisioni e degli investimenti.

Sul primo aspetto è fondamenta­le che ricerca scientifica e industria lavorino insieme, affinché le strade non percorribili vengano rapida­mente spuntate dalla lista delle ipo­tesi. Restano le strade percorribili, su cui la dinamica degli investimen­ti deve essere modulata nel miglior modo. Come è noto, viviamo un pe­riodo di risorse finanziarie limitate che devono far fronte a situazioni anche più urgenti di quella climati­ca. Prenderne coscienza deve esse­re un richiamo alla responsabilità per tutte le filiere, soprattutto quel­le che abbisognano ancora di for­ti investimenti pubblici, per farne un uso mirato e possibilmente già quasi economicamente sostenibile. Come l’esperienza insegna, anche tecnologie promettenti possono soffrire effetti paradossali di incen­tivi sovradimensionati. Non siamo nel momento storico adatto per correre di nuovo questo rischio.

L’incertezza economica derivan­te dalla crisi sanitaria avrà proba­bilmente l’effetto di ridurre, alme­no per un periodo, il margine di manovra degli Stati nelle loro am­bizioni industriali. Tuttavia, diversi paesi, a iniziare da Germania (15), Paesi Bassi, Belgio, hanno espres­so una reale volontà di sostenere l’idrogeno. Un’iniziativa europea come la CHA potrebbe permettere di unire gli sforzi finanziari, met­tere in comune le competenze per sviluppare l’idrogeno pulito gene­rando economie di scala, promuo­vere gli usi più rilevanti e federare un ecosistema di attori europei”.


Il post è un estratto dell’articolo Rischi per la transizione energetica europea (pp. 38-45) di Clémence Pèlegrin e Renato F. Rallo pubblicato su ENERGIA 2.20


Renato F. Rallo, ingegnere e PhD in Ambiente e Risorse energetiche, è membro di Groupe d’Études Géopolitiques (GEG)

Clémence Pèlegrin, consulente Energie e infrastrutture PwC, è Direttrice del programma Énergie et Environnement di Groupe d’Études Géopolitiques (GEG)


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Foto: PxHere

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