Il nucleare non è la soluzione alla lotta ai cambiamenti climatici, ma senza non si avrà soluzione. Lo ha dichiarato l’Agenzia Internazionale dell’Energia lo scorso anno e lo ha ribadito quest’anno. Pur lentamente le cose vanno modificandosi, più per ragioni geopolitiche che energetico-climatiche e il nucleare potrebbe conoscere un futuro migliore di quello attualmente previsto. Ne guadagnerebbe l’ambiente globale, la capacità competitiva dell’industria occidentale, l’equilibrio geopolitico internazionale
Ho sempre pensato che il nucleare sia solo una delle soluzioni per combattere i cambiamenti climatici ma altresì che senza nucleare non possa esservi soluzione. Almeno nei termini in cui la si vorrebbe combattere: contenendo il riscaldamento entro (almeno) i 2°C come deciso (ma affatto attuato) nell’Accordo di Parigi del 2015 o raggiungendo una piena neutralità carbonica entro i prossimi tre decenni, come proposto dalla nuova Commissione europea.
Numerose le ragioni che spiegano l’uscita di questa tecnologia dal radar delle politiche occidentali: accettabilità sociale, dopo le tragedie di Chernobyl e di Fukushima; fallimenti di mercato; difficoltà delle imprese a investire enormi somme per sviluppare una nuova generazione di reattori; impossibilità di far ricorso agli aiuti di Stato; non ultimo, politica e ideologia.
L’Europa ha sacrificato un’eccellenza continentale
Le politiche europee in particolare hanno sacrificato un’eccellenza continentale in barba ad ogni principio di neutralità tecnologica sostenendo la riconversione dei sistemi energetici sulle spalle delle sole nuove rinnovabili. Sarebbe bastata una frazione degli immani incentivi riconosciuti alle rinnovabili – di cui in gran parte si è avvantaggiata l’industria cinese – per sostenere in Europa lo sviluppo di una nuova generazione di reattori nucleari.
Nei paesi OCSE la generazione elettrica da nucleare dopo essere cresciuta di circa 30 volte tra 1965 e 1990 ha registrato una leggera crescita per prendere poi a flettere da un decennio in qua. Opposto l’andamento nel resto del mondo, specie in Russia e Cina forte di un’autonomia tecnologica acquisita nel 2006 dalla giapponese Toshiba.
Se un tempo la leva politica della scelta nucleare in Occidente era la difesa della sicurezza nazionale, prima ancora che i suoi bassi costi, oggi potrebbe esserlo la lotta ai cambiamenti climatici, essendo il nucleare tra le tecnologie che vantano le minori emissioni climalteranti nel suo intero ciclo di vita.
Quel che non è avvenuto, anche a causa della penetrazione delle nuove rinnovabili (solare ed eolico) che ha ridotto la sua quota negli scorsi venti anni di 7 punti percentuali al 10%, guadagnandone altrettanti portandosi al 9%. Morale: la penetrazione delle nuove rinnovabili nella generazione elettrica non è andata a danno delle fossili – che restano dominanti col 63% del totale (contro il 65% di venti anni fa) – ma del nucleare. Su cui, tuttavia, negli ultimi anni in Occidente ha ripreso a crescere l’interesse.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia il nucleare è condizione necessaria (ma non sufficiente) per raggiungere lo Scenario Sviluppo Sostenibile al 2040
A riaprirlo è stato nel 2019 l’Agenzia di Parigi, emanazione dell’OCSE, nel rapporto Nuclear Power in a Clean Energy System che perveniva alla conclusione che “senza il nucleare vi è il rischio di un enorme aumento delle emissioni di CO2”. Meglio tardi che mai, anche se vi è il concreto rischio che i buoi siano già scappati come ebbi a scrivere lo scorso anno.
Ma servono 15 GW all’anno di nuova capacità nucleare
Concetto ribadito quest’anno nel Nuclear Power: Tracking progress 2020 nel quale il nucleare risulta tra le tecnologie not on track rispetto al perseguimento dello Sustainable Development Scenario (SDS) che richiederebbe una media di 15 GW annui di nuova capacità nucleare tra il 2020 e il 2040.
Se la spinta non proviene dalla transizione energetica e dalla lotta ai cambiamenti climatici, potrebbe essere la geopolitica a far smuovere le cose nel mondo nucleare
[Seconda parte – Nucleare e geopolitica]
Alberto Clô è direttore della rivista ENERGIA
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Foto: PxHere
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