21 Ottobre 2020

Nucleare tra clima e geopolitica/2

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Gli Stati Uniti non gradiscono il duopolio nucleare Russia-Cina e sono pronti a tornare sui loro passi. La leadership nucleare consente l’espansione dell’influenza geopolitica come dimostra, da ultimo, il rapporto tra Russia e Bielorussia. Una prospettiva cui l’Occidente non ha prestato sinora alcuna attenzione. La geopolitica potrebbe portare a un futuro più roseo per il nucleare di quello attualmente previsto. Molto dipenderà dalla revisione della legislazione, dalla ripresa degli investimenti, ma soprattutto dallo sviluppo di reattori avanzati.

[Prima parte – Nucleare e clima]

Pur lentamente le cose sono andate modificandosi soprattutto nella patria del nucleare: gli Stati Uniti. Per capirne le ragioni è utile rammentare quel che nel frattempo era accaduto al di fuori del mondo occidentale. Un fatto su tutti: l’acquisita leadership mondiale dell’industria nucleare da parte della Russia.

Da quando Vladimir Putin salì al potere nel 1999 Mosca ha realizzato più centrali nucleari degli Stati Uniti, Francia, Cina, Sud Corea e Giappone messi insieme. Un’espansione che ha accresciuto il suo potere geopolitico nei paesi in cui penetrava. A partire dalla Bielorussia di Aleksandr G. Lukashenko, ove la dipendenza dal nucleare russo sostituirà nei prossimi anni quella dal metano (sempre russo) che soddisfa ora la quasi totalità del fabbisogno elettrico del paese.

Un contratto nucleare altro non significa che un’alleanza strategica di lunghissimo termine tra le parti, sbilanciata a favore del venditore

Per capirne la ragione bisogna rammentare che un contratto nucleare altro non significa che un’alleanza strategica di lunghissimo termine tra le parti, sbilanciata a favore del venditore. La quasi generalità dei contratti include infatti il finanziamento del progetto; la fornitura dell’uranio; la formazione dei tecnici; la manutenzione, con conseguenti effetti di lock-in (impossibilità a recedere dal contratto) e soggezione politica, specie nei paesi ove la produzione nucleare soddisfa gran parte dei consumi.

A beneficiare dell’espansione della Russia è stato il suo ‘campione nazionale’ Rosatom – costituito nel 2007 e che conta 250 mila ingegneri, ricercatori, venditori, altri occupati – che ha assunto nell’economia e politica russa un ruolo simile a quello di Gazprom per il metano e Rosneft, per il petrolio – con un portafoglio ordini di più di 30 contratti del valore di oltre 200 miliardi di dollari.

I sostegni economici, finanziari, politici assicurati dal Cremlino a Rosatom si sono tradotti in altrettanti vantaggi competitivi che gli hanno consentito di vincere a mani basse le gare cui partecipava. Come accaduto in quella ungherese per la costruzione di due reattori (Paks II) dove Rosatom ha vinto su Westinghouse grazie agli 11 miliardi di dollari garantiti da Putin al premier Viktor Orban divenuto suo stretto alleato.

O come accaduto in altri paesi dell’Unione Europea, come Slovacchia o Bulgaria, o in Egitto (un tempo alleato degli Stati Uniti) per la costruzione di quattro reattori del valore di 30 miliardi di dollari, o ancora in Turchia, membro della NATO.

La prospettiva, cui l’Occidente non ha prestato sinora alcuna attenzione, è un business dominato dal duopolio Russia-Cina..

Col nucleare, la Russia ha esteso la sua influenza geopolitica internazionale – già accresciutasi nel petrolio con l’alleanza con l’Arabia Saudita – e, insieme, ha rafforzato la sua industria.

La prospettiva, restando così le cose, è che il business nucleare mondiale sia in futuro sempre più dominato dal duopolio Russia-Cina. Una prospettiva cui l’Occidente non ha prestato sinora alcuna attenzione, specie in Europa, ma che ha fatto maturare negli Stati Uniti un sempre più diffuso convincimento che sia giunto il momento di Restoring America’s Competitive Nuclear Energy Advantage, come titola un rapporto dello US Department of Energy (DOE) uscito lo scorso 23 aprile.

..ma gli Stati Uniti sono pronti a tornare sui loro passi

Partendo dal presupposto che “Nuclear power is intrinsically tied to National Security”, il rapporto propone una strategia finalizzata a ricostruire la competitività del nucleare statunitense, persa nel mercato mondiale – stimato in 500-740 miliardi di dollari nel prossimo decennio – non per ragioni economiche ma per il sostegno politico fornito alle imprese concorrenti dagli Stati che le controllano: Russia e Cina.

La strategia proposta mira sostanzialmente a due obiettivi. In primo luogo, rafforzare la ricerca e sviluppo della nuova generazione di reattori, gli advanced nuclear reactors, di molta minor potenza ma molta miglior sicurezza. In secondo luogo, rafforzare la cooperazione internazionale tra Stati Uniti e alleati come richiesto da diversi think tank statunitensi (come dai rapporti di Atlantic Council, Columbia University’s Center on Global Energy Policy, Global America Business Institute).

Per riuscirvi, è necessario modificare la legislazione USA degli anni Cinquanta che regola gli investimenti esteri nei programmi nucleari statunitensi, ormai del tutto obsoleta a fronte di supply chain globalizzate.

La strategia gode del pieno supporto bipartisan

Punto di forza di questa strategia è il pieno supporto bipartisan del Congresso come degli ultimi presidenti Obama e Trump che ha proposto nel bilancio del 2021 1,2 miliardi di dollari per la R&S per “rivitalizzare l’industria nazionale e la capacità delle tecnologie americane di competere sui mercati esteri”.

Il nucleare, che oggi rappresenta circa un quinto della generazione elettrica statunitense e metà di quella carbon-free, potrebbe quindi conoscere un futuro migliore del previsto dimezzamento a metà secolo della sua quota (al 12%) della generazione elettrica.

Molto dipenderà dalla revisione della legislazione, dalla ripresa degli investimenti oggi fermi a solo due centrali in costruzione, ma soprattutto dallo sviluppo degli oltre settanta reattori avanzati specie dopo il lancio dell’Advanced Reactor Demonstration Program da parte del DOE. Allo sviluppo di questa nuova generazione di reattori sono impegnate una settantina di imprese private, università, laboratori di ricerca con la concreta prospettiva che nel giro di pochi anni possa avviarsi la loro costruzione.

Ne guadagnerebbe l’ambiente globale, la capacità competitiva dell’industria occidentale, l’equilibrio geopolitico internazionale. All’opposto di quel che ritengono gli organismi dell’Unione Europea illusoriamente convinti che nel futuro dell’energia la geopolitica conti poco. Coi più vivi ringraziamenti di Russia e Cina, da cui essa sempre più dipenderà.       


Alberto Clô è direttore della rivista ENERGIA  


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Foto: PxHere

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