Energia e clima sono un terreno di scontro che potrebbe rivelare punti deboli per entrambi i contendenti alla Casa Bianca. Anche per questo è stato appena sfiorato nel dibattito televisivo. I rischi maggiori non provengono dal confronto con le tesi dell’avversario, ma da quello interno al proprio partito. La questione ambientale resta fuori dal dibattito elettorale, ma ha acquisito maggior rilevanza nei sentimenti dell’intero elettorato.
Quanto pesano energia e clima nell’attuale sfida per la Casa Bianca? Non molto si direbbe pensando allo sgangherato dibattito televisivo del 30 settembre, nel quale entrambi i contendenti alla Casa Bianca Joe Biden e Donald Trump hanno assunto in materia posizioni molto vaghe e defilate.
Sembrerebbe ripetersi il copione di 4 anni fa, quando gli allora sfidanti Clinton e Trump non sfiorarono minimamente la questione ambientale portando Paul Krugman sul New York Times a tacciare il loro comportamento come “irresponsabilmente criminale”.
Un film già visto?
A ben vedere, vi sono sostanziali differenze, tanto che prima dell’esplodere della pandemia la questione ambientale stava divenendo tema prioritario nella corsa alla Casa Bianca offuscato in seguito dal corso degli eventi. La vaghezza mostrata nello scontro televisivo cela infatti un terreno di scontro che potrebbe rivelare punti deboli per entrambi i contendenti. Quali?
Per quanto riguarda Trump, tre sono gli aspetti sensibili: gli scarsi risultati ottenuti con l’inversione della politica di Obama; l’accresciuta sensibilità dell’elettorato verso la questione ambientale; le posizioni critiche verso la sua politica assunte all’interno del suo stesso partito.
Energia e clima: 3 nodi per Trump
Nonostante l’uscita dall’Accordo di Parigi annunciata nel giugno 2017 nel tormentato G7 di Taormina e la cancellazione di oltre cento provvedimenti amministrativi adottati da Obama – ad iniziare dal Clean Power Plan promulgato due mesi prima di Parigi – le cose non sono andate come Trump sperava.
A ‘tradirlo’ è stato paradossalmente il mercato. Il consumo di carbone, già in forte declino, si è ulteriormente ridotto negli scorsi quattro anni di oltre il 40% – fatto che i minatori probabilmente non dimenticheranno nel voto – a vantaggio del più conveniente gas naturale aumentato del 14% e soprattutto del solare ed eolico, pur ancora marginali sull’insieme dei consumi (5%), che Trump non ha ostacolato nonostante abbia sostenuto che le turbine eoliche provocano il cancro.

Dopo il crollo dell’occupazione nell’industria del carbone, arriva quello nell’industria petrolifera
L’unico risultato di cui Trump potrebbe vantarsi è la quasi raggiunta indipendenza energetica, chimera di tutti i presidenti USA. La dipendenza energetica dall’estero crollata a pochi punti percentuali mentre nel petrolio e gas naturale gli Stati Uniti sono divenuti esportatori netti. Risultato, tuttavia, raggiunto più per le convenienze di mercato (che ha spinto la shale revolution) più che per le politiche governative.
A compensare questo risultato vi è però la tragedia del coronavirus, che si è abbattuta drammaticamente sull’industria petrolifera statunitense (11 milioni di occupati tra diretti e indiretti), provocando un crollo della produzione, fallimenti a catena tra i 6.000 produttori indipendenti del tight e shale oil, oltre 100 mila licenziamenti, perdite di capitale per centinaia di miliardi.
Non solo l’elettorato, un crescente numero di parlamentari repubblicani si è convertito alla causa climatica
Il secondo aspetto sensibile della politica energetica e ambientale di Trump riguarda i mutati sentimenti e le preoccupazioni di una larga parte dell’elettorato verso i rischi dei cambiamenti climatici. Sembra infatti aumentare nell’opinione pubblica la percezione che i numerosi disastri che hanno flagellato e continuano a flagellare il Paese siano riconducibili ai cambiamenti climatici. Una preoccupazione che inevitabilmente si scontra con l’atteggiamento isolazionista e negazionista assunto da Trump sull’argomento.
Infine, vi sono le posizioni assunte all’interno dello stesso partito. Alcuni storici leader dei Repubblicani, tra cui gli ex Segretari di Stato James A. Beker III e George P. Shultz, hanno infatti proposto – supportati da un crescente numero di parlamentari repubblicani convertitisi alla causa climatica – una carbon tax sulle emissioni prodotte nel punto in cui le fonti fossili entrano nell’economia per devolverne il ricavato, un ‘carbon dividend’, alle famiglie.
Biden si propone come campione delle rinnovabili, ma si è allontanato dalle posizioni più oltranziste
Dal canto suo Biden ha teso a riconfermarsi campione delle rinnovabili allontanandosi però dalle posizioni più oltranziste del firmamento ambientalista statunitense, capeggiate da Alexandria Ocasio-Cortez (AOC) eletta alla Camera per i Democratic Socialists of America, principale partito socialista degli Stati Uniti, che circa un anno fa ha presentato una proposta legislativa di Green New Deal – termine subito scimmiottato dall’Unione Europea.
Riecheggiando il piano di riforme di Franklin D. Roosevelt per fronteggiare la Grande Depressione del 1929, il New Deal “verde” di AOC mira a ridurre le emissioni di gas serra degli Stati Uniti sino al 60% dal 2030 (rispetto al 2010) e azzerare quelle nette al 2050. Un autogol per l’asinello (come scrissi in un post dello scorso anno), tanto che il candidato democratico se ne è prontamente allontanato.
Più che un piano di politica energetico-climatica, un tentativo di modificare l’american way of life
Più che un piano di politica energetico-climatica quella proposta è stata interpretata come il tentativo, dietro l’alibi ambientalista, di rivoluzionare l’economia e la società statunitense, modificando gli stili di vita della popolazione, il modo in cui allevare gli animali, costruire abitazioni, guidare le automobili e via andare. Il tutto in appena dieci anni.
All’entusiastico sostegno dei movimenti e lobby ambientaliste si sono però contrapposte reazioni nettamente negative del mondo repubblicano ma anche di una larga parte di quello democratico. Perché proposta di stampo prettamente dirigista, dai costi elevatissimi, invisa all’elettorato moderato che vede nella libertà d’impresa e nell’economia di mercato i pilastri del sistema americano.
La conclusione è che entrambi i contendenti alla Casa Bianca hanno le loro ragioni per eludere il tema dei cambiamenti climatici anche in considerazione del fatto che solo il 42% dell’elettorato lo considera “molto importante” rispetto a quello dell’economia (79%), del coronavirus (62%), delle ineguaglianze razziali (52%) (si veda Wildfires shine harsh light in US climate change divide su Financial Times).
Entrambi i contendenti più che confrontarsi con le tesi dell’avversario hanno ragione di preoccuparsi delle posizioni diversificate all’interno dei loro stessi partiti. Tuttavia, la questione ambientale, pur se in secondo piano, ha acquisito maggior rilevanza nei sentimenti dell’intero elettorato.
Che vinca Trump o Biden, non dobbiamo attenderci mutamenti sostanziali della politica energetica degli Stati Uniti
Nei fatti è tuttavia probabile che sia ancora valido quanto sostenuto da Ed Hirs, Energy Fellow nell’Università di Houston, in un articolo pubblicato sul trimestrale ENERGIA: che vinca Trump o Biden, non dobbiamo attenderci mutamenti sostanziali della politica energetica degli Stati Uniti. Nonostante l’apertura di Biden verso alcuni aspetti del Green New Deal (come la carbon tax) sembra infatti “poco probabile che nei primi anni post-elezione vengano adottati programmi climatici che, di fatto, implicano un aumento di costi per i consumatori” mentre sussiste l’interesse “a perseguire – in continuità con Obama e Trump – lo sviluppo energetico e la sicurezza energetica, col mantenimento dei più bassi prezzi per gli elettori”.
Qualunque sia il vincitore, in conclusione, è prevedibile che le dinamiche energetiche statunitensi continueranno a riflettere quelle di mercato piuttosto che quelle, per lo più fallimentari, della politica.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia
Sulle elezioni presidenziali USA leggi anche:
Ambiente ed Energia nella corsa alla Presidenza USA, di Redazione, 29 Giugno 2020
Il futuro del Pianeta e le elezioni statunitensi, di Alberto Clò, 6 Febbraio 2020
L’incredibile autogol dell’Asinello americano, di Alberto Clò, 31 Luglio 2019
Foto: PxHere
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