13 Novembre 2020

Covid e transizione energetica: il lato positivo

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La pandemia di Covid-19 sta avendo conseguenze senza precedenti sul settore energetico e sulle emissioni di gas serra e nel medio termine potrebbe avere implicazioni cruciali per la decarbonizzazione del sistema produttivo, accelerando la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio oppure, al contrario, interrompendola del tutto. Quali fattori potrebbero accelerare la transizione energetica? Un estratto della pubblicazione di Ivan Faiella e Filippo Natoli su ENERGIA 3.20

Mentre i governi stanno adottando misure via via più stringenti per arginare la diffusione della pandemia, pur nell’incapacità di prevederne il corso nei prossimi mesi, il mondo dell’energia si prepara ad affrontare le incertezze congiunturali e anticiparne possibili contraccolpi. Tra gli interrogativi, una domanda prevale su tutte: quale sarà l’impatto della crisi sanitaria sulla transizione energetica? Su ENERGIA 3.20 Ivan Faiella e Filippo Natoli (Bankitalia) identificano alcuni aspetti critici in grado di costituire un turbo o un freno per la decarbonizzazione. Nell’estratto che segue riepiloghiamo in che modo la pandemia potrà incidere positivamente sulla transizione energetica (qui invece vengono esaminati gli aspetti negativi).

“Mentre il calo della domanda di energia è una conseguenza diretta delle misure di contenimento, lo shock pandemico potrebbe avere implicazioni per il settore energetico e per le emissioni che vanno oltre gli effetti immediati. Una serie di fattori, tra cui gli effetti della pandemia sugli equilibri dei mercati del petrolio, potrebbe accelerare l’adozione di tecnologie per la decarbonizzazione dell’economia.

Un motivo per aspettarsi che la pandemia possa accelerare la transizione è legato alle tendenze osservate sui mercati finanziari. La crisi del Covid-19 ha dimostrato che la preferenza degli investitori per gli investimenti sostenibili rimane forte (2). In effetti, i fondi comuni di investimento e gli ETF (Exchange Traded Funds) «ESG», vale a dire quei fondi che investono in attività con elevati punteggi ambientali, sociali e di governance (in inglese Environmental, Social and Governance), hanno resistito meglio durante il grande crollo del mercato di marzo 2020. Mentre ciò può essere in parte guidato da effetti di composizione – in particolare da una minore esposizione dei fondi ESG verso società legate alla produzione e gestione dei combustibili fossili e da una maggiore esposizione verso alcune grandi società statunitensi risultate resilienti alla crisi (come le high-tech) – sembra che la preferenza per le attività con punteggi ESG elevati abbia giocato un ruolo importante (Ferriani e Natoli 2020) (3).

Durante la recente flessione del mercato, i fondi ESG non solo hanno registrato performance migliori, ma hanno anche attirato afflussi sostanziali: come mostrano i dati di Morningstar (2020), nel primo trimestre 2020 i fondi comuni ESG hanno registrato afflussi netti (2,7 miliardi di dollari), mentre la più ampia categoria di fondi comuni azionari ha avuto deflussi netti (pari a 5,7 miliardi). Questa differenza probabilmente spingerà ulteriormente i flussi verso i fondi ESG e incentiverà la creazione di nuovi fondi ESG nel periodo post-coronavirus, portando risorse finanziarie ai settori chiave per la decarbonizzazione.

“La crisi del Covid-19 ha dimostrato che la preferenza degli investitori per gli investimenti sostenibili rimane forte”

Un altro motivo per aspettarsi un’accelerazione della transizione è legato alle prospettive per il settore petrolifero. Il mercato petrolifero, dopo il crollo di primavera, ha visto ridursi la forbice tra domanda e offerta. Secondo le valutazioni dell’Energy Information Administration (EIA) di luglio, l’entità del calo della domanda di prodotti petroliferi non è così drammatica come precedentemente stimato: nel secondo trimestre del 2020 il consumo è stato di 84,4 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g), in calo di 16,3 mil. bbl/g rispetto allo stesso periodo del 2019 (contro il calo di 18,8 mil. bbl/g stimato a maggio) (EIA 2020).

Le dinamiche tra domanda e offerta si sono riflesse in una graduale ripresa dei prezzi dai minimi toccati in primavera. I prezzi spot del Brent sono stati in media intorno ai 40 doll./bbl in giugno, in aumento di 11 dollari da maggio e di 22 dai minimi di aprile. I prezzi sono aumentati quando i produttori dell’OPEC Plus hanno concordato di estendere i tagli alla produzione fino a luglio. L’EIA prevede che i prezzi del Brent superino i 40 doll./bbl nella seconda metà del 2020 e i 50 nel 2021.

Nel medio periodo il mercato petrolifero è atteso tornare ai valori precedenti allo scoppio della pandemia

Mentre in passato alcune categorie di produttori hanno ristrutturato rapidamente la loro produzione (ad esempio, le società statunitensi specializzate nell’estrazione di shale gas e light tight oil dopo l’ultimo ciclo del prezzo del petrolio 2014-2016), questa volta potrebbe non essere così. Le aspettative sugli investimenti in esplorazione e produzione nel 2020 e nel 2021 sono state riviste ai livelli più bassi osservati nel periodo dopo la Grande Recessione (Rystad Energy 2020). Una minore spesa in conto capitale può ridurre la produzione a medio termine e ciò potrebbe far salire i prezzi qualora la domanda globale si riprendesse.

In secondo luogo, i paesi OPEC Plus hanno un forte incentivo economico a sostenere i prezzi del petrolio. Secondo Goldman Sachs (2020d), negli ultimi cinque anni le compagnie petrolifere dei paesi OPEC hanno perso competitività nei confronti dei loro pari nell’UE e negli Stati Uniti, dove le società hanno aumentato l’efficienza e la resilienza dei loro bilanci; di conseguenza, i «breakeven fiscali» dell’OPEC sono diventati più alti, invertendo la situazione prevalente nel periodo 2010-2014 (4). Se la domanda si riprenderà e il cartello petrolifero (forse nella versione OPEC Plus) sarà in grado di agire in modo coordinato, i prezzi potrebbero tornare, nel medio periodo, ai loro valori precedenti”.

[Seconda parte – Il lato negativo]

Il post presenta l’articolo Il Covid-19 ha infettato la transizione verde? (pp. 36-42) di Ivan Faiella e Filippo Natoli pubblicato su ENERGIA 3.20

Ivan Faiella e Filippo Natoli sono ricercatori di Banca d’Italia


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Foto: Unsplash

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