12 Novembre 2020

Idrogeno: una strategia strategica per chi?

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Qual è la linea del Governo sull’idrogeno, ma soprattutto chi la detta e sulla base di quali considerazioni? “Solo verde”, come vuole il Ministro dello Sviluppo economico, o “verde e blu (+ CCS)”, come suggeriscono invece dal Ministero dell’Università e della ricerca? La scelta di “quale” idrogeno dovrebbe tener conto dei diversi trade-off senza creare conflitti tra obiettivi. È anomalo che la strategia nazionale sull’idrogeno si fondi su previsioni disallineate rispetto a quelle prevalenti tra gli studiosi, le istituzioni e l’industry. Ed è ancor più strano che la principale fonte, per quanto autorevole, del Ministro dello Sviluppo economico sia un’azienda a controllo statale, che è parte in causa e protagonista nelle partite energetiche dei prossimi anni.

Ma il Ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, avrà il numero di telefono del collega responsabile dell’Università e della ricerca, Gaetano Manfredi? E i due si parlano mai?

Ecco cosa dice l’uno, in audizione davanti alla Camera, a proposito della strategia italiana sull’idrogeno: “non condivido il ragionamento sull’idrogeno blu che molto spesso assomiglia al greenwashing. Non credo che la captazione e lo stoccaggio siano le strade giuste da implementare… Quindi sono convinto che sia da sostenere l’idrogeno verde e non altro”.

Contemporaneamente, sul sito del Ministero dell’Università e ricerca uscivano le linee guida con le prime indicazioni per una strategia italiana sull’idrogeno. Si legge: “La produzione di H2 da fonti rinnovabili intermittenti ha il limite della discontinuità, di tempi di funzionamento limitati e l’aumento dei costi. Per un utilizzo su larga scala, la filiera idrogeno va integrata con produzioni alternative”, tra cui quelle “da combustibili fossili abbinata a sistemi di cattura della CO2 prodotta (Carbon Capture and Sequestration – CCS)”.

Patuanelli dice verde, Manfredi dice verde e blu (+ CCS)

Quindi: qual è la linea del Governo?

Quella enunciata da Patuanelli (solo idrogeno verde) oppure quella rivelata da Manfredi (e, qualche mese fa, dallo stesso Giuseppe Conte), aperta anche al blu?

Queste domande necessitano di una risposta che si articola su vari piani. Uno, ovviamente, riguarda l’opportunità di investire sull’idrogeno come strumento di decarbonizzazione: una questione ancora aperta, alla quale però la politica europea sembra aver già dato una risposta (sapremo solo ex post se sarà una scommessa lungimirante o se, invece, andremo incontro a un nuovo sperpero di denaro pubblico).

Un secondo tema è relativo a “quale” idrogeno: ammesso e non concesso che tale vettore abbia un senso tecnologico ed economico, i processi che possono portare alla sua produzione sono diversi e tutti impongono dei trade-off. Come ha spiegato Stefano Verde, tuttavia, l’idrogeno verde – quello cioè ottenuto attraverso elettrolisi con energia rinnovabile – crea oggi almeno altrettanti problemi di quanti ne risolve. Non solo per ragioni di costi – decisamente superiori rispetto alle alternative – ma anche perché, trattandosi di una produzione estremamente energivora, rischia di cannibalizzare la generazione verde.

La produzione di idrogeno da rinnovabili rischia di cannibalizzare la generazione elettrica da rinnovabili

Non è un dettaglio: non è affatto ovvio che il risparmio di emissioni dovuto all’idrogeno verde anziché blu sia maggiore di quello che si ottiene riversando in rete l’intera produzione rinnovabile. Una questione che va messa a sistema con le altre e complesse sfide economiche, regolatorie e tecnologiche poste dall’idrogeno.

D’altronde, l’idrogeno blu – pur avendo un basso contenuto carbonico – implica comunque il rilascio di una certa quota di emissioni. Per questa ragione, sarebbe sensato differenziare gli eventuali regimi di sostegno, tenendo tuttavia conto del fatto che esso può rappresentare un volano per le tecnologie di cattura e stoccaggio le quali possono poi trovare anche altre applicazioni.

Non trascurare lo spillover tecnologico: l’idrogeno blu può fare da volano al CCS

Tutti questi problemi vengono risolti da Patuanelli tagliandoli con l’accetta. Sorprendentemente, il Ministro ha spiegato di aver derivato le sue certezze da “una chiamata fatta ieri” con l’Amministratore Delegato dell’Enel, Francesco Starace, il quale gli avrebbe garantito che “nell’arco di 3-5 anni l’idrogeno verde avrà un valore assolutamente competitivo”.

Non sappiamo cosa si siano detti Starace e Patuanelli, ma le aspettative del titolare dello Sviluppo economico appaiono assai ottimistiche: il consenso tra gli esperti (condiviso anche dalla Commissione Ue) è che l’idrogeno verde sarà economicamente competitivo con quello blu non prima del 2030 (mentre non sappiamo se l’idrogeno, comunque prodotto, avrà prezzi inferiori a quelli del gas, pur tenendo conto del costo della CO2).

In regions where renewable electricity is cheap, electrolysers are expected to be able to compete with fossil-based hydrogen in 2030 – Commissione europea

È anomalo, insomma, che la strategia nazionale sull’idrogeno si fondi su previsioni così disallineate rispetto a quelle prevalenti tra gli studiosi, le istituzioni e l’industry. Ed è ancor più strano che la principale fonte del Ministro, per quanto autorevole, sia un’azienda a controllo statale, che è parte in causa e protagonista nelle partite energetiche dei prossimi anni. Circostanza resa ulteriormente singolare dal fatto che lo stesso Premier si affida, per la politica energetica, ai vaticini di una consigliera d’amministrazione dell’Enel, Mariana Mazzucato.

Patuanelli ha il diritto di indirizzare la strategia sull’idrogeno nel verso che ritiene più appropriato, ma ha il dovere di giustificare le sue scelte. Non è accettabile, tanto meno in una sede istituzionale, che un’inversione di rotta venga spiegata unicamente sulla base di un colloquio informale e privato con un soggetto con ovvi e legittimi interessi nell’esito della decisione.

Carlo Stagnaro è direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni

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Foto: PxHere

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