Se per mercato dell’energia intendiamo un meccanismo in cui i prezzi dell’energia elettrica sono formati dal libero gioco domanda-offerta consentendo di remunerare gli impianti e stimolare gli investimenti, allora il mercato dell’energia non esiste (quasi) più. Gli squilibri seguiti all’ingresso delle rinnovabili ne hanno cambiato completamente la natura. Occorre prendere atto che la breve stagione della libertà imprenditoriale ha ceduto il passo a quella delle decisioni politiche.
Grande è l’affanno per cercare di far funzionare e migliorare il mercato dell’energia. Le proposte non mancano, ma come è emerso con grande chiarezza da un recente seminario organizzato da AREL, tutte rischiano di scontrarsi con un fatto ormai incontrovertibile: il mercato dell’energia non esiste (quasi) più.
Se per mercato dell’energia intendiamo un meccanismo grazie al quale i prezzi dell’energia elettrica si formano quasi esclusivamente nel gioco fra domanda e offerta e il risultato è tale da consentire non solo un’equa remunerazione degli impianti partecipanti, ma anche lo stimolo agli investimenti necessari con una relativa certezza che anche essi sarebbero remunerati dal libero formarsi dei prezzi.
L’ingresso delle rinnovabili, remunerate secondo meccanismi non di mercato, ha cambiato completamente la natura del mercato dell’energia
Forse una configurazione siffatta è stata vissuta solo nella prima fase, la prima decade degli anni 2000, quando la domanda crescente di energia ha assicurato prezzi marginali sufficienti e portato ad importanti investimenti.
Ma l’ingresso di quote sempre più importanti di energie rinnovabili che trovavano la loro remunerazione prevalentemente in meccanismi non di mercato ne ha cambiato completamente la natura, mescolando fra di loro cose completamente diverse e per certi versi inconciliabili.
Il termoelettrico non è più profittevole, ma resta necessario a sopperire all’intermittenza delle rinnovabili
Quando poi è arrivata la recessione, la stasi e la diminuzione dei consumi energetici, la diminuzione delle ore di funzionamento richieste al parco termoelettrico, la caduta verticale dei prezzi di borsa, essi non sono stati più capaci né di remunerare il capitale investito né di stimolare nuovi investimenti. Resi necessari non più dall’aumento dei consumi di energia, ma dagli squilibri introdotti nel sistema da fonti non programmabili.
Ed ecco quindi il mercato ridursi quasi esclusivamente al mercato dei servizi. Anche esso però severamente osservato dalla politica e dall’Autorità ogni qual volta i prezzi superassero inevitabilmente certi limiti. Alle aziende è stato detto in sostanza: quando perdete sono fatti vostri, quando guadagnate stabiliamo noi quanto.
Resta un mercato dei servizi
Gli squilibri evidenti hanno portato a nuove decisioni fuori dal puro mercato dell’energia. Diverse dichiarazioni di essenzialità, che di fatto hanno sottratto al mercato un altro certo numero di impianti. E l’introduzione del capacity market, che certo avviene con meccanismi di mercato, ma completamente al di fuori del disegno originario basato sul semplice mercato dell’energia.
Ora arrivano i nuovi obbiettivi, sia italiani che europei. Essi impongono che la quota predominante di energia elettrica dovrà essere soddisfatta dalle rinnovabili. Decine di migliaia di MW dovranno essere realizzati ed è evidente che essi non troveranno la loro remunerazione nei prezzi di mercato, nonostante il conclamato raggiungimento della grid parity.
Peraltro, anche i meccanismi di PPA sono in crisi per l’alta incertezza sui prezzi futuri tendenzialmente avviati verso il basso, se la remunerazione dei nuovi impianti sarà garantita ancora una volta da meccanismi esterni alla formazione dei prezzi sul mercato.
La breve stagione della libertà imprenditoriale ha ceduto il passo a quella delle decisioni politiche
Forse meglio prendere atto in modo definitivo che una stagione si è chiusa. Il cosiddetto mercato “energy only” si trasferisce, solo in parte, in altri meccanismi. Nelle aste per l’assegnazione degli incentivi alle rinnovabili e al capacity market. La neutralità tecnologica è morta e, secondo me, se l’obiettivo è quello di una forte riduzione della CO2 anche la misurazione dell’efficienza delle diverse fonti nel perseguire questo obiettivo.
Le imprese che avevano goduto di un periodo di discreta libertà imprenditoriale, seppur vigilata dalla Autorità, tornano ad essere prigioniere delle decisioni politiche. Assumano più lobbisti e meno ingegneri.
Chicco Testa è presidente di FISE Assoambiente
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Foto: Pixabay
Molto opportuna la riflessione di Chicco Testa sull’argomento.
Incredibilmente, l’Italia rischia di ripetere l’errore già fatto oltre 20 anni fa quando, unici per dimensione delle nuove realizzazioni, furono realizzati oltre 30.000 MW di nuove e modernissime Centrali a ciclo combinato (NGCC ) che, successivamente ed in largo anticipo rispetto alla loro obsolescenza ed ammortamento, furono anche dismesse perchè hanno lavorato pochissimo. Primariamente per il costo del Gas Metano che le rendeva fuori mercato.
Poi si è deciso di sensibilmente aumentare l’incredibile e fuorviante Tassa sul Carbonio per cercare di mettere artificiosamente fuori mercato le Centrali a Carbone, incluse le nuove e moderne Centrali, come quella di Civitavecchia, che si vorrebbe addirittura dismettere quando questa ha solo 10 anni di attività!
Quando il mondo avanzato uscirà da questa ubriacatura del teorico “Riscaldamento Globale Antropogenico”, invece di prendere atto con opportuni approfondimenti dalla storia del clima, che questo è sempre cambiato anche nel lontano passato e continuerà a cambiare perchè, fondamentalmente dovuto a fattori esterni al pianeta, sui quali l’uomo fortunatamente ha ben poco a che fare.
L’assurdità di tale fittizia ed ingannevole “Carbon Tax” è dimostrata altresì dal fatto che, anche volendo credere che la CO2 sia davvero “nociva” per l’uomo ed il pianeta (?), allora perchè non la si conteggia ed applica dopo aver opportunamente determinato quelle che sono le emissioni di “G.H.G.” e CO2eq nell’intero ciclo di Vita dei combustibili (LCA), comprendendo quindi anche le Emissioni della “Fase precombustione”, dove il Gas ha un’incidenza davvero significativa ?
Recentissimamente, gli Amici della Terra hanno realizzato un primo studio che focalizza l’attenzione su tale argomento che può essere visionato andando sul loro sito web.
Da tenere presente che le emissioni CO2eq del GAS non riguardano solo le “Emissioni Fuggitive” del CH4, ma anche quelle liberate (“VENTED”) in atmosfera, in fase di estrazione del Gas Naturale, così definito dopo “depurazione di: CO2, H2S, N2O.
Ci sono interessanti studi anche di Robert Howarth della Cornell University su parte di tali emissioni nel LCA.
Buon approfondimento.