7 Dicembre 2020

3 questioni sulla fattibilità del piano energia-clima della Commissione

LinkedInTwitterFacebookEmailPrint

L’influenza dei fattori extra-scientifici nella percezione che ha il cittadino della sostenibilità ambientale è in grado di minare la realizzazione degli obiettivi al 2030. Eppure questi fattori vengono sistematicamente ignorati nelle strategie europee anche se i decisori ne conoscono molto bene l’influenza. Perché? Questioni di consenso e convenienza politica, che tengono in conto anche l’età media della popolazione votante sostiene GB Zorzoli che dopo aver affrontato questo punto prende in esame, nell’articolo in pubblicazione sul trimestrale ENERGIA 4.20, il peso egemonico della Germania nel determinare gli obiettivi europei, nonché le difficoltà che ne derivano per l’Italia a livello di produzione elettrica e trasporti.

“Quando mettono a punto piani di decarbonizzazione o misure per attuarli, l’Unione Europea e gli Stati membri, in questo immancabilmente concordi, fanno sempre i conti senza l’oste. Una dimenticanza priva di valide giustificazioni: le analisi sul ruolo dell’oste non mancano”.

Questo l’incipit dell’articolo in pubblicazione su ENERGIA 4.20 nel quale G.B. Zorzoli rileva, per l’ennesima volta (si vedano Rendere le rinnovabili socialmente convenienti su ENERGIA 2.20 e I costi del non decidere su ENERGIA 2.19), il passo lento della decarbonizzazione e la difficoltà di perseguire obiettivi sempre più ambiziosi. L’analisi critica non manca però, come sempre nello stile dell’autore, di affiancare una controparte propositiva volta a far quadrare i conti fatti senza l’oste. Questo estratto dell’introduzione si concentra sugli aspetti extra-scientifici. Segue una presentazione dei successivi paragrafi sul peso egemonico della Germania nel determinare gli obiettivi del nuovo piano della Commissione e le difficoltà per l’Italia si raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi.

Effetto rimbalzo: gli aumenti di efficienza energetica, mi spingono a consumare di più

“Innanzitutto, l’esistenza dell’effetto rimbalzo (rebound effect)(1), che si verifica quando le riduzioni dei consumi a seguito di interventi di efficientamento energetico risultano spesso inferiori (perfino di segno opposto) a quelle preventivate. Si tratta di un fenomeno noto fin dal 1865, quando l’economista inglese Stanley Jevons osservò che, malgrado la macchina a vapore di Watt fosse più efficiente di quelle prima usate, il consumo di carbone, invece di diminuire, era addirittura aumentato. Naturalmente il rimbalzo «varia in funzione delle tecnologie impiegate, dei settori di consumo, delle classi di reddito dei consumatori» (Clô 2017, p. 77) ed è particolarmente evidente nei consumi domestici (Schmitz e Madlener 2020).

Più in generale, decisori politici e pianificatori energetici tendono a ignorare l’influenza di fattori extra-scientifici nella percezione che ha il cittadino della sostenibilità ambientale, e a «concentrarsi principalmente sul contributo delle scienze STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), trascurando la sua natura eminentemente culturale e comportamentale» (Winter e Koger 2003, p. 2). Un limite confermato da una recente analisi sui comportamenti energetici in ambito domestico (Inghilesi et al. 2020).

Fattori extra-scientifici vengono ignorati dai decisori, anche se ne conoscono molto bene l’influenza

In realtà, decisori e pianificatori conoscono molto bene quell’influenza. Non a caso l’incapacità, non solo in Italia, dei decisori politici di gestire la crisi pandemica trova riscontro nel desolante bilancio dei risultati conseguiti nel contrasto al cambiamento climatico (Di Giulio e Migliavacca 2020). Incapacità che, in entrambi i casi, è in non piccola parte dovuta al timore di perdere consensi tra i cittadini modificando le loro abitudini; preoccupazione, soprattutto oggi, non campata per aria.

Decenni di egemonia del neoliberismo, con la sua esaltazione dell’individualismo radicale, hanno reso i cittadini propensi a seguire i messaggi politici di chi li assolve da ogni responsabilità per stili di vita che aumentano il contagio o il degrado ambientale e, di conseguenza, si guarda bene dal ricordargli che hanno anche dei doveri verso gli altri (Zorzoli 2020a) (…).

Tra i conti fatti senza l’oste va aggiunto anche l’aumento dell’età media della popolazione nei paesi sviluppati, che vede l’Italia in pole position. Gli anziani sono meno propensi a farsi carico di problemi che trascendono il loro orizzonte temporale (…).

Questioni di consenso e convenienza politica, che tengono in conto anche l’età media della popolazione votante

È insomma lunga la strada da percorrere prima che trovi largo consenso un’incisiva politica di decarbonizzazione, in grado quindi di trasformare in profondità l’attuale assetto economico e sociale. E ancora più lungo è il tragitto che ci separa dall’idea condivisa che la sostenibilità dello sviluppo richieda anche cambiamenti degli attuali «stili di vita», destinati a incidere sui comportamenti quotidiani: dalla dieta alimentare alla scelta dei mezzi di trasporto, dalla gestione oculata dei consumi alla selezione, negli acquisti, di prodotti ecocompatibili e di lunga durata.

La fattibilità dei nuovi obiettivi di decarbonizzazione, indicati dalla Commissione europea, è innanzitutto condizionata da alcuni fattori intrinseci: disponibilità delle tecnologie, propensione all’investimento, adeguatezza delle procedure autorizzative, misure atte a favorire la riconversione produttiva di alcuni settori industriali. E su questi si soffermeranno i prossimi paragrafi (…).”

Poiché tutti gli Stati membri sono uguali, ma la Germania è più uguale degli altri

L’analisi muove quindi sul peso egemonico della Germania nel determinarne gli obiettivi del piano della Commissione (1. I nuovi obiettivi europei sulla scia della Germania). L’autore ripercorre l’influenza tedesca sui piani energetici e climatici dell’Unione stabiliti sulla base non degli interessi comunitari, bensì del “rapporto incestuoso esistente in Germania tra governo e industria”.

Il successivo paragrafo si concentra su cosa comporta per il nostro Paese triplicare l’obiettivo di decarbonizzazione, anziché raddoppiarlo come era previsto nell’obiettivo incorporato nel PNIEC (2. Le ricadute sulla produzione elettrica). “Per avere un’idea dell’accelerazione richiesta, nel corso del 2019 sono stati installati impianti fotovoltaici per circa 750 MW, mentre a partire dall’anno prossimo, e per tutto il prossimo decennio, dovremo mediamente aggiungere 4.400 MW ogni anno, cioè 5,9 volte tanto”. La parte propositiva su questo fronte è riservata alla presentazione di un “tecnologia che sta riscuotendo interesse nel mondo agricolo”: l’agro-fotovoltaico.

Le rinnovabili elettriche dovranno grosso modo contribuire per il 70% al mix produttivo (nel 2019 era il 39,8%)

Nella terza parte vengono invece approfondite le ricadute dell’innalzamento della quota di rinnovabili sul settore trasporti (par. 3). Benché il piano della Commissione richieda di passaredal 22% previsto dal PNIEC al 24%, non si deve cadere nell’errore di ritenerlo “un modesto impegno aggiuntivo”. Anzi, tutto il contrario.

Nel renderne conto, l’autore compara il nostro programma di promozione della mobilità elettrica con quello della Germania, ritenuto maggiormente credibile anche se più ambizioso, e sull’idrogeno, ambito nel quale il nostro Governo si perde nel tracciare scenari immaginifici senza preoccuparsi “di ciò che sarebbe fattibile in tempi più brevi”, come il GNL. Non mancano infine riflessioni, sui settori downstream petrolifero e automotive. È in quest’ambito, infatti, che in assenza di un tempestivo piano di intervento si creerebbe un’opposizione al cambiamento da parte degli interessi economici e sociali colpiti.


Il post presenta l’articolo di GB Zorzoli Fare i conti senza l’oste (pp. 46-51) pubblicato su ENERGIA 4.20.

GB Zorzoli è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA.

Acquista il numero

Foto: Sean Benesh su Unsplash

0 Commenti

Nessun commento presente.


Login